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 2022  marzo 13 Domenica calendario

Speculazioni sulla benzina? Come una tassa del 5%

I prezzi della benzina e del gasolio per auto e autotrasporto sono aumentati drammaticamente dal momento dell’aggressione scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina. E purtroppo, in sé, non è sorprendente. Ma era realmente inevitabile o i rincari potevano essere almeno contenuti? E l’Italia si sta rivelando un’anomalia internazionale o siamo in uno choc dei prezzi del petrolio che investe tutti i Paesi allo stesso modo?
Roberto Cingolani non pensa che quest’ultimo scenario sia vero, perché parla di una «colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini». Possibile che il ministro della Transizione ecologica abbia ragione? Dal confronto sui dati ufficiali fra l’Italia e gli indici internazionali, la risposta è un no iniziale e un sì sostanziale. No, in gran parte l’Italia non è un’anomalia internazionale nei recenti, bruschi aumenti del prezzo del carburante alla pompa. Ma sì: in Italia si potrebbe pagare almeno il 5% di meno circa se alle tensioni sui mercati internazionali non fossero corrisposti comportamenti di operatori nel Paese che, numeri alla mano, sembrano opportunistici e speculativi. Non tutto nell’aumento medio della benzina da 1,850 a 1,953 euro al litro da quando è scoppiata la guerra, era inevitabile.
In termini puramente industriali il carburante che si paga alla stazione di rifornimento dovrebbe riflettere i prezzi del petrolio di un mese prima circa, perché questo è un lasso di tempo che di solito separa l’acquisto del greggio da parte delle società di raffinazione e la vendita della benzina o del gasolio al dettaglio. Nella realtà però l’intera filiera tende a scaricare ai consumatori gli aumenti delle quotazioni del barile prima di subirli: vende il carburante da greggio comprato ai vecchi prezzi più bassi come se lo avesse pagato alle nuove quotazioni aumentate.

Il confronto
Anche stavolta il fenomeno si è rivisto sul piano internazionale, benché solo in parte. Dall’inizio dell’anno il Brent è rincarato del 45,6% mentre – secondo l’indice internazionale Platts di S&P – la benzina è salita del 20% e il gasolio del 29,3%. Da quando Putin firma il riconoscimento delle pseudo-repubbliche del Donbass il 21 febbraio, il Brent è cresciuto del 22%, la benzina a livello internazionale (Platts) del 9,9% e il gasolio del 16,7%. I rincari ci sono stati, rapidi, ma minori di quelli del petrolio. Dunque altri seguiranno.
Quanto all’Italia, la situazione di partenza è nota: al netto delle tasse il carburante qui costa meno che nella media europea, ma una volta aggiunto l’onere fiscale il prezzo al consumatore risulta più che raddoppiato e in assoluto fra i più alti dell’Ue. Ma stavolta cosa è successo? Rispetto agli aumenti internazionali, anche al netto delle tasse, la benzina in Italia è rincarata di più: del 27,6% dall’inizio dell’anno (contro il 20% dell’indice Platts) e del 10,7% dall’inizio della guerra (contro il 9,9% dell’indice Platts). Il gasolio in Italia invece è rincarato in linea con il resto del mondo da inizio anno (più 29% circa) e meno dall’inizio della guerra (più 11%), sempre al netto delle pesantissime tasse.

Le anomalie
Tutto normale dunque, tutto inevitabile? Per niente. La denuncia di Cingolani sui prezzi speculativi alla pompa non sembra affatto infondata. Andrea Rossetti, presidente di Assopetroli (l’associazione dei distributori al dettaglio), riferisce che dall’inizio della guerra si stanno verificando profonde anomalie nella filiera. Una più vistosa delle altre: di solito in Italia le società di raffinazione o importazione del prodotto già raffinato applicano uno «spread» (o commissione di intermediazione) di 8 centesimi al litro per la rivendita al distributore, pari circa al 5,5% della quotazione odierna del gasolio all’indice Platts. La stranezza è che dall’inizio della guerra questo spread sia esploso: alcune società lo fanno salire dal 5% all’11% (prima delle tasse), altre addirittura lo hanno imposto quasi al 19,7% del costo netto del prodotto di base. «È un fenomeno senza precedenti, in un mercato con pochissimi operatori – osserva Rossetti —. E non sembra avere giustificazioni». Se questa commissione degli importatori e dei raffinatori tornasse ai livelli tradizionali praticati fino a qualche settimana fa, benzina e gasolio sarebbero fino al 5% meno cari per il consumatore in Italia. In particolare la benzina, il cui prezzo sta crescendo più che nel resto dei Paesi avanzati, anche senza contare i sovrapprezzi degli intermediari su tutta la filiera. Una parte dei rincari di questi giorni forse non erano evitabili. Ma altri, con po’ meno di opportunismo, sì.