ItaliaOggi, 12 marzo 2022
Orsi & tori
Non c’è diritto senza rovescio. E il rovescio spesso, viene usato da chi è opinionisticamente sempre contro. Per esempio, sul sequestro dei beni degli oligarchi russi (per ora i superyacht) c’è subito chi, sempre contro, dice: ma così sono gli italiani che pagano la manutenzione invernale delle barche super lussuose, perché chi sequestra ha l’obbligo di conservare bene e in funzionamento l’entità sequestrata.
Bravi, bravissimi, ineffabili e instancabili contestatori. Preferireste che, invece di attuare le sanzioni, qualche migliaio di soldati italiani venisse mandato a combattere contro l’esercito di Vladimir Putin?
La verità, lo dice la fisica, a ogni azione corrisponde sempre una reazione. E quindi anche le sanzioni, eccome, hanno il loro rovescio.
Quando parte una guerra, tutte le persone serie dovrebbero farsi una semplice domanda: è stato fatto tutto il possibile
per evitarla? Sempre si scopre che da parte di tutti non è stato fatto il possibile, poi ci sono quelli invece che hanno fatto tutto il possibile perché la guerra scoppiasse. E fra questi non c’è solo la Russia, che la guerra l’ha dichiarata e avviata.
Ma cosa c’è dietro l’inizio della guerra? Che cosa non è stato fatto per evitarla?
Sono le domande a cui abbiamo cercato di rispondere su ItaliaOggi di sabato 5 marzo in Orsi&Tori. Tre, in sintesi le risposte:
1) Putin è convinto che la Nato e gli Stati Uniti vogliano armare con missili a testata nucleare l’Ucraina e, in secondo luogo, che l’Ucraina o debba essere territorio russo o quantomeno neutrale come la Finlandia;
2) La firma del documento fra Russia e Cina all’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Pechino in cui Putin e il presidente cinese Xi Jinping hanno convenuto che il mondo non debba essere più multilaterale, come vogliono gli Usa, ma multipolare;
3) La profonda determinazione del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky a difendere il suo governo, decisamente pro occidentale, e la scelta occidentale della maggioranza dei cittadini ucraini. Queste sono le cause essenziali della guerra.
Ora le domande da porsi sono altre, visto che la guerra continua e finora i tentativi di un dialogo sono falliti, con risposte di Putin all’Occidente altrettanto dure delle sanzioni comminate da Europa-Nato e Usa. E sono proprio da indagare gli effetti economici della guerra economica in tutti i paesi che vi sono coinvolti, in prima linea l’Italia.
La guerra in Ucraina ha fatto più che raddoppiare i prezzi europei del gas naturale e ha fatto salire i prezzi del petrolio a oltre 115 dollari al barile. Questi rincari verticali si aggiungono, per le banche centrali, al problema del grande balzo dell’inflazione anche a causa del Covid 19. Appare ovvio che, sommando i due fattori, i problemi delle banche centrali e in particolare della Bce si presentano enormi. Ma non è finita. Oltre all’aumento dei prezzi di gas e petrolio, i maggiori operatori del mondo occidentale stanno inevitabilmente abbandonando la Russia. La conclusione è ovvia: le altrettanto inevitabili sanzioni stanno colpendo come più di uno tsunami tutto il mercato delle materie prime russe. E se le esportazioni di energia russa venissero tagliate completamente, il prezzo del petrolio potrà salire, secondo varie stime, a 150 dollari al barile.
Se le banche centrali si comporteranno in maniera ortodossa, dovrebbero non tenere conto di questa inevitabile inflazione indotta dall’offerta shoccante di energia. Infatti, si tratterebbe di un effetto temporaneo sull’inflazione. Ma purtroppo c’è il precedente del periodo 2008-2011, durante il quale di fronte alla crescita dell’inflazione da offerta, la Bce aumentò i tassi finendo per accentuare drammaticamente la grande recessione che era già in atto. Poi, a novembre del 2011 arrivò a Francoforte Mario Draghi e nell’estate 2012 cambiò radicalmente la linea, dando al mercato tutta la liquidità che serviva e a tassi sempre più bassi.
Questo contesto ricrea per il presidente Draghi un ruolo fondamentale in Europa, almeno per quanto riguarda l’influenza che può avere sulla Bce, visto anche che nel campo strettamente politico e strategico derivante dalla guerra ha preferito essere parsimonioso di interventi.
A congiurare, però, sulla possibilità di ripetere l’azione del 2012 c’è il fatto che ancor prima della temeraria e inumana guerra di Putin (ogni guerra è comunque sempre inumana) l’inflazione era già alta e quindi non sarà facile per i banchieri centrali di tutto il mondo occidentale e in particolare degli Usa avere il coraggio di un innalzamento dei tassi, che potrebbe essere letale sul piano della recessione. Sui loro libri hanno infatti il caso della guerra del Kippur, nel 1973, quando il blocco petrolifero fece balzare in alto i prezzi, generando super inflazione.
Il punto chiave per scelte equilibrate ed efficaci è la certezza (salvo evoluzioni imprevedibili) che le previsioni a medio termine dell’inflazione siano sostanzialmente stabili e che quindi si possa scegliere la strada classica di ragionare senza tener conto dei prezzi dell’energia.
C’è tuttavia un fatto certo: il balzo dei prezzi dell’energia inevitabilmente creerà una crescita inferiore, specialmente in paesi come l’Italia, dove il gas e il petrolio russo sono fondamentali. Il rovescio della medaglia, che non può essere ignorato, è quanto è accaduto negli Usa in seguito al Covid: è stata favorita una politica economica generosa e l’economia si è surriscaldata.
Ci vorrebbe, quindi, un novello Guido Carli, che in una vecchia intervista a Panorama, si definì mister Punta e Tacco. In fin dei conti, Draghi è quello che è anche grazie alla stima di Carli, che lo nominò direttore generale del Tesoro. Anche se la situazione più grave è quella italiana, comunque Draghi non potrà avere punta e tacco liberi come invece aveva Carli, tenuto conto che chi decide è Francoforte.
In un modo o nell’altro, si può essere comunque sicuri che Draghi terrà ben presenti i due fattori più strutturali dell’inflazione e cioè l’andamento dei prezzi core e l’andamento dei salari, che negli Usa sono cresciuti in un anno di ben il 5,7%, mentre l’inflazione core è pari al 5,2%.
Ben diversa è la situazione europea, dove l’inflazione core è al 2,7% e i salari crescono meno. Quindi, se i nervi restano saldi, la Bce non dovrebbe cambiare programma per quanto riguarda la politica dei tassi che aveva assunto. Le problematiche peculiari riguardano, purtroppo, soprattutto l’Italia, per la sua fortissima dipendenza energetica dalla Russia e da altri paesi, avendo in casa molto meno di quanto sarebbe stato possibile produrre senza i lacci e lacciuoli per lo sfruttamento dei giacimenti di gas nelle acque dell’Adriatico e del Tirreno.
Il fattore non previsto sono fenomeni di stress sui mercati offshore e quindi non è improbabile che le banche centrali e in particolare la Bce debbano chiedere dollari alla Federal Reserve.
Purtroppo, l’Italia è debole sia per l’enorme debito che per la dipendenza energetica dall’estero. E, anche a rischio di passare per ossessivi, sarà bene che il governo Draghi riprenda in considerazione una qualche formula, non importa quale, per tagliare il debito.
Ma le conseguenze della guerra di Putin e della risposta con sanzioni molto forti non sono solo quelle sull’inflazione e la crescita, in primo luogo dell’Italia e del resto dell’Europa. Quasi sicuramente si sta inaugurando una nuova epoca nel campo dei conflitti economici che sono sempre esistiti fra pareri o schieramenti opposti.
Le sanzioni e le misure varate dal mondo occidentale contro la Russia vanno a incidere su una economia stimata in 1600 miliardi di dollari. Per questo la risposta di Putin non si è fatta attendere e dalla sua bocca è uscita la minaccia nucleare. L’impoverimento della Russia avrà effetti in tutto il mondo e anche la Cina, nonostante l’alleanza con Putin, ne risentirà. C’è chi pensa che gli effetti negativi anche sulla Cina indurranno quest’ultima a meditare sul programma di riconquistare Taiwan. Si crea quindi uno spazio per una meditazione del mondo occidentale rispetto al pericolo di un ritorno all’autarchia, una parola che era scomparsa da decenni dal vocabolario internazionale.
L’azione del mondo occidentale contro la banca centrale russa va a colpire larga parte dei 630 miliardi di dollari di riserve estere della stessa banca centrale. La moneta russa, il rublo, non poteva non risentire con cadute del valore di percentuali mai conosciute prima. Inevitabilmente anche l’inflazione russa sta salendo alle stelle e le società internazionali hanno degradato il paese fino al vero e proprio default (Fitch).
C’è chi ipotizza per questo una sorta di cambiamento violento del vertice russo, ma Putin ha ben salda in mano la manopola del gas, mentre non trova spazio, neppure come caso estremo, l’arma atomica. Anche l’Occidente deve fare di tutto per evitarlo, se solo ricorda le bombe atomiche del 1945 che furono usate dagli americani e le conseguenze che hanno avuto per 3/4 di secolo.
Ma l’Occidente deve valutare bene anche qualsiasi altra azione, per esempio quella sui circuiti finanziari internazionali. Un blocco totale dei flussi finanziari non farà altro che far nascere altri circuiti. Quindi occorre valutare come da ciò potrebbe trarre vantaggio la Cina, che già ha messo disposizione della Russia il suo circuito Unionpay, che conta oltre 300 milioni di carte.
A maggior ragione, il rapporto sui flussi finanziari fra Cina e Russia potrebbe stringersi, dopo che da Pechino hanno osservato il blocco dei fondi della banca centrale russa all’estero. Se vi è un parallelo possibile fra Ucraina e Taiwan, anche se con comportamenti che comunque sarebbero assai diversi, considerata la razionalità della Cina di essere sempre più campione globale, è che la Cina ha compreso che potenzialmente anche le sue riserve di 3.300 miliardi di dollari potrebbero anche essere congelate. Per questo è possibile se non probabile che il primato dell’occidente nei sistemi finanziari possa essere messo in discussione, con sistemi nuovi che lo bypassino. Ed è significativo anche a questo proposito che all’Onu anche l’India democratica, oltre alla Cina, si sia astenuta sul voto di condanna della Russia.
Non ci vuole molto a intuire che l’onda lunga della guerra di Putin contro l’Ucraina possa cambiare nel profondo il primato dell’occidente nei sistemi finanziari e che quindi ne possa nascere, sulle fondamenta cinesi, un circuito alternativo asiatico, capace di radicarsi anche in occidente grazie alla forte tecnologia cinese.
Non si può non condannare una guerra, tanto più quando è diventata così cruenta verso gli esseri umani come quella in Ucraina. Ma se il mondo occidentale riesce a ragionare, deve interrogarsi su che cosa Putin ha scatenato, consapevolmente o inconsapevolmente, sia nel sistema economico che in quello finanziario mondiale. Nessuno oggi può prescindere dalla Cina, dal suo mercato ma anche dalla sua tecnologia. Perché dall’Ucraina si passi davvero a rischi di guerra planetaria, occorre che le diplomazie (più quella europea che quella imperialista americana) pensino a dialogare con la Cina per il suo dichiarato progetto di riannettere Taiwan. L’isola divenne autonoma durante la guerra civile del 1949 fra i nazionalisti (partito Kmt) di Chiang Kai-shek e il Pcc di Mao Zedong, grazie all’intervento degli Usa che consentirono ai nazionalisti di ritirarsi appunto in quel territorio, oggi maggior produttore mondiale (40% del totale) di microprocessori. Di questo il presidente Xi Jinping ha perfetta memoria. Che almeno la sanguinosa guerra in Ucraina serva da ammonimento ed esempio che la diplomazia deve sempre arrivare prima che la guerra scoppi.