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 2022  marzo 12 Sabato calendario

Bolloré dice addio a Mediobanca dopo 20 anni

Anais Ginori, la Repubblica 
«Non capirai mai niente dell’Italia», ripeteva Antoine Bernheim a Vincent Bolloré. Il banchiere francese, amico di Enrico Cuccia e uomo forte di Generali, era stato per trent’anni il mentore dell’imprenditore bretone e l’aveva introdotto a Mediobanca, prima che il suo pupillo organizzasse una congiura per cacciarlo dal Leone di Trieste. Alla fine, Bolloré ha spiccato il volo da solo e si è allargato sempre di più nel Belpaese ma la sua campagna d’Italia non è andata come previsto. L’addio in Mediobanca segna la fine di un’avventura ventennale dentro Piazzetta Cuccia. L’ultima quota del 2% è stata ceduta, com’è indicato nella presentazione dei conti 2021 del gruppo.
Il conflitto con la famiglia Berlusconi sulla scalata a Mediaset e il nodo mai risolto sul controllo di Tim hanno lasciato il segno. «Bolloré ha sbagliato molto di quello che poteva sbagliare in Italia» confida un altro banchiere d’affari, Alain Minc, un tempo suo consigliere, avvalorando la “profezia” di Bernheim sulle mosse sbagliate tra mondo politico e finanziario.«Siamo qui per il lungo termine» era uno dei motti all’uscita delle riunioni di Piazzetta Cuccia. Bolloré figura negli annali del patto Mediobanca dal 2001, tramite una quota in Consortium. Nel 2003 conquista il 5% nell’accordo di sindacato che allora vincolava il 57% del capitale della banca; con la Financière du Perguet e assieme a Groupama, Dassault e Santander costituiva il “Gruppo C” dei soci esteri, detentore di poco meno del 10% del capitale della banca. Dopo la fine del “Gruppo C”, l’imprenditore bretone ha aumentato la sua quota fino ad arrivare al 7,9%, la seconda più elevata dopo quella di Unicredit.
Per quasi un decennio ha fatto parte del cda, rappresentato anche dalla figlia Marie Bolloré. A 26 anni, era stata la più giovane consigliera di Piazzetta Cuccia. Nel 2018, con il nuovo corso di Mediobanca e le difficoltà accumulate tra Mediaset e Tim, Bolloré ha annunciato l’uscita dal patto di sindacato. Un addio motivato, aveva spiegato, dal «crescente impegno finanziario del gruppo Bolloré nei confronti di Vivendi». È cominciata una progressiva dismissione delle quote, fino all’uscita definitiva, mentre Vivendi sta ricentrando le sue attività in Francia, dove è in corso l’Opa su Lagardère e sono tornate a circolare voci di un possibile interessamento sulla holding della famiglia Dassault, che controlla il quotidiano Le Figaro. Bolloré – 70 anni il mese prossimo – ha rinunciato negli ultimi anni alle cariche nel gruppo per passare il testimone ai figli. Yannick Bolloré è presidente di Vivendi, Cyrille è ceo del gruppo Bolloré mentre il quarantenne Sebastien è stato nominato co-ceo della capogruppo Financière de l’Odet.

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Leonardo Martinelli, La Stampa
All’uscita di tante riunioni in Piazzetta Cuccia, Vincent Bolloré amava dire: «Siamo qui sul lungo termine. Mediobanca è una finestra sul capitalismo italiano, è strategica». Metteva le mani avanti rispetto alla fama di raider finanziario che l’accompagnava a Parigi. Quelle parole le ha ripetute così tante volte, riguardo anche ad altri suoi investimenti. Ma in genere il magnate bretone entra e puntualmente esce (dopo averci guadagnato). E alla fine lo ha fatto anche con la banca italiana (ma ci ha messo più di vent’anni): all’inizio del 2022 ha azzerato completamente la sua quota in Mediobanca.
La notizia è arrivata con la presentazione dei conti del gruppo Bolloré. Si trattava ormai di appena il 2%, ceduto per 188 milioni di euro. Archiviata un’epoca? In realtà era già finita nel 2018, quando il miliardario era uscito dal patto di sindacato, per poi cedere progressivamente la sua partecipazione. Questa era arrivata a un massimo del 7,9%, allora la seconda più elevata dopo Unicredit. In Mediobanca era sbarcato agli inizi degli anni Duemila sotto l’egida di Antoine Bernheim, morto nel 2012, già banchiere di Lazard e deus ex machina a Parigi, che consigliò Bolloré, come altri miliardari d’Oltralpe, durante la loro ascesa (ma il bretone contribuì a farlo fuori dalla presidenza di Generali alla fine del 2010 e Bernheim, che si sentì tradito, non gli parlò più). Ora Bolloré esce da Mediobanca, ma resta in Italia: grazie alla media company Vivendi (controllata al 29,5%) è il principale azionista di Tim (con il 23,7%) e ha il 23,8% di Mediaset.
A proposito, a lungo Vincent ha detto che sarebbe finta davvero un’epoca il 17 febbraio scorso, per i 200 anni della sua azienda. Ufficialmente ha lasciato le redini ai quattro figli, anche se a Parigi non ci crede nessuno. L’uomo ha aperto nell’ultimo anno troppi dossier rompicapo, da gestire ancora, senza considerare che i figli mai si sono occupati dell’Italia. Comunque, presentando i conti del gruppo, non solo è stata annunciata l’uscita definitiva da Mediobanca, ma pure una novità inattesa riguardo alla successione. Finora dei quattro figli solo due avevano responsabilità davvero operative: Cyrille, 36 anni, Ceo del gruppo Bolloré, e Yannick, 42, presidente del consiglio di sorveglianza di Vivendi. Del primogenito, Sébastien, 44 anni, si sapeva solo che viveva a Sidney e che lavorava per la ricerca e sviluppo di Gameloft, produttore di videogiochi del gruppo. Manco c’erano foto recenti di lui e Vincent non ne parlava mai: l’uomo invisibile. Ebbene, è stato appena nominato numero due della Compagnie de l’Odet, l’holding di famiglia che controlla tutto l’impero, accanto al padre, che ne è ancora il Ceo. Non è chiaro cosa significhi la promozione lampo di Sébastien. Intanto continuano a girare voci secondo le quali i Bolloré vogliano entrare nel capitale di Dassault, colosso francese della difesa, che controlla Le Figaro. Diciamo che con Monsieur Bolloré non ci si annoia mai.