C’è un gap anche nei sogni?
«Sì, una ricerca del Laboratorio di sviluppo cognitivo della New York University promossa da Mattel dimostra che a partire dai 5 anni le bambine iniziano a sviluppare convinzioni autolimitanti e pensano di non essere intelligenti e capaci come i ragazzi. Smettono di credere che il loro genere possa raggiungere qualsiasi traguardo, inducendole a ridimensionare i propri sogni. Ecco allora la selezione di donne che le spingano a provare».
Quale messaggio dà dunque questa Barbie disegnata come lei?
«Il messaggio a tutte le giovanissime è che non bisogna mai sognare in piccolo. Perché la passione può far realizzare qualsiasi sogno. È quello che ho insegnato alle mie figlie Deborah, Valentina e Laura».
C’è ancora tanta strada da fare?
«Il percorso è lungo per superare la disparità di genere, basti pensare che soltanto una impresa su sei in Italia è guidata da donne. Ma il consiglio che do alle più piccole è che se si ha un sogno non si deve mollare: le difficoltà ci saranno, ma con determinazione si superano».
Che effetto le fa ora poterlo di fatto insegnare sotto forma di Barbie alle bambine di tutto il mondo?
«Senza retorica: è emozionante pensare di poter rappresentare un esempio vivente che tutto è possibile se ci crediamo. Anche ricoprire ruoli di solito degli uomini. Non ho un ristorante, ma in un certo senso rappresento un ruolo che nell’immaginario collettivo è maschile, quello di chef. Per di più l’ho unito al ruolo di manager di un’azienda online. E poi sono in compagnia di grandi personalità, come Lan Yu, la più influente fashion designer cinese, l’antropologa attivista indonesiana Butet Manurung che lotta per la salvaguardia del gruppo indigeno nomade della foresta di Jambi, la fotografa e digital creator francese Lena Mahfouf, l’imprenditrice sociale Melissa Sariffodeen che ha sostenuto l’alfabetizzazione digitale per donne e ragazze in Canada».
Lei vanta un Ambrogino d’Oro, massima onorificenza per i milanesi, e l’inserimento nella lista di Forbes tra le cento italiane più influenti. Si aspettava di diventare una Barbie?
«Beh, direi di no. Tutto è nato dopo che mi hanno contattato con un messaggio privato su Instagram per chiedermi di far parte della nuova linea. Ecco vorrei che le bambine capissero che le passioni possono diventare una carriera. Ora nel mio Sonia Factory ho una dozzina di dipendenti più altri collaboratori che mi aiutano a creare i programmi col mio compagno Francesco».
Come è stata pensata la bambola?
«È la mia rappresentazione sul lavoro, dai colori che preferisco (come l’azzurro Tiffany) allo stile informale. Non ho la casacca da chef, mi sento più la rassicurante vicina di casa, quella che ti abbraccia con una teglia di lasagne, ma a regola d’arte».