Vanity Fair, 11 marzo 2022
Biografia di Victoria Cabello raccontata da lei stessa
Ma quanto ci era mancata Victoria Cabello? Eccola con la sua frangetta marchio di fabbrica, che butta lì una battuta come per mettere in chiaro da subito che il tono dell’intervista non può che essere ironico, come da sempre, nel suo stile. «Come direbbe Kim Kardashian, Pechino Express è stata un’esperienza life-changing», dice fingendo serietà. La partecipazione a Pechino Express, Kim Kardashian a parte, di certo segna per lei il ritorno ufficiale in tv, dopo otto lunghi anni di assenza. L’ultimo programma in cui avevamo riso alle battute di Victoria era stato X Factor, anno 2014. Poi, più niente. La malattia di Lyme, una infezione debilitante e la cui diagnosi è arrivata dopo parecchio tempo, le aveva imposto una pausa dal lavoro.
Uno stop improvviso e non cercato per una conduttrice unica nel suo genere che per vent’anni non si era mai fermata. Veejay a Mtv quando Mtv era il riferimento per eccellenza degli adolescenti degli anni Novanta, inviata pazza delle Iene che a George Clooney chiedeva di sposarla, autrice e conduttrice di programmi di qualità come Victor Victoria, alla guida ufficiale di Sanremo e a quella folle di Quelli che… il calcio, senza sapere niente di calcio. Ora con l’amico pr Paride Vitale, Victoria forma la coppia dei «Pazzeschi», che su Sky, dal 10 marzo, si misura lungo la «rotta dei sultani», tra Turchia, Uzbekistan, Giordania ed Emirati Arabi. Non esiste segreto meglio custodito al mondo dei vincitori di Pechino Express, ma sulle linee generali del programma si può commentare: «Da televisiva, pensavo che a telecamere spente qualcuno ti passasse un panino, che non fosse così dura. E invece mi sbagliavo: è tutto vero, è tutto spinto all’estremo delle forze. Il gioco degli autori è: mandiamoli fuori di testa», racconta.
Qual è la cosa che l’ha colpita di più di Pechino Express?
«La durezza. Pensavo tutto il tempo: ma questi sono pazzi. E poi la bontà e la generosità delle persone: gente che mollava tutto per dare un passaggio a un coglione con lo zaino e si ritrovava a 200 chilometri di distanza. In Italia non sarebbe possibile, sicuramente non a Milano, però sarebbe bello fare una Napoli edition. Scoprire che c’è gente così generosa migliora anche la tua vita».
Lei è generosa?
«È brutto dirselo da soli. Di sicuro sono una persona sulla quale puoi fare affidamento. Credo di essere stata fortunata nella vita e cerco di restituire un po’ agli altri».
È fortunata?
«Be’, la fortuna un po’ te la crei. Ho avuto culo nella vita ma ho anche lavorato moltissimo».
Chi è Paride Vitale, suo compagno di avventure di Pechino Express?
«È il mio migliore amico. Ci conosciamo da vent’anni, volevo una persona che mi conoscesse nel bene e nel male e lui è la prima persona che mi è venuta in mente. Soprannominato il Bisgnani di Pechino (il riferimento è al faccendiere Luigi Bisignani, ndr), è un genio delle relazioni e delle strategie, ma soprattutto è una persona amabile, empatica e generosa».
Su Instagram ha scritto che Pechino per lei rappresentava tre cose: «Uscire dalla mia comfort zone, dare nuovo materiale alla mia analista e fornire aneddoti imbarazzanti agli amici». Partiamo dall’analista?
«La mia analista è stata una figura chiave, senza di lei non avrei accettato di partecipare al programma. Per un lungo periodo mi sono fermata a causa di una malattia che è stata molto dura. Ed è difficile uscire dalla comfort zone della malattia».
La malattia può diventare una comfort zone?
«È strano ma sì: per quanto dolorosa, è la cosa che conosci meglio, è reale. Quando sono guarita e ho pensato che era ora di rimettermi al lavoro, mi sono resa conto che era tutto cambiato: i social, meno voglia di sperimentare, i nuovi player».
Come ha fatto a stare senza lavoro per tutti questi anni?
«C’è stato un lungo periodo in cui non potevo proprio fisicamente lavorare. Quando sono stata meglio, sono ripartita da cose piccole che erano importanti per me. Una malattia ti toglie tutto, annulla quello che hai fatto prima, diventa complicato ricordarsi quel che c’è stato prima».
Racconti.
«Ti causa un sacco di insicurezze. Quando vivi un periodo in cui non riesci più a camminare e sei semi paralizzata, non riesci più a scandire le parole e hai la memoria a breve termine compromessa, non sei più sicura di niente. Ho dovuto fare un lungo periodo riabilitativo e lavorare sulla sicurezza, per tornare a essere in grado di affrontare un palco. Anche banalmente per ricordare le cose da dire sul palco. Così ho fatto lavori fuori dalla tv, presentando eventi, e ho riconquistato passo dopo passo la fiducia in me stessa e la voglia di fare quel lavoro».
Le era passata?
«Quando non lo fai per tanto tempo inizi a pensare: cosa posso fare dopo? Poi a un certo punto mi sono detta: ma sì, e mi sono buttata. E così ho deciso di ripartire con la cosa più estrema. La cosa difficile quando sei dentro una malattia è svegliarsi una mattina e capire che stai bene, che non hai più scuse. Forse Pechino ha rappresentato il mio tornare alla vita, anche dal punto di vista lavorativo, perché la mia vita per tanti anni è stata il lavoro».
C’è una cosa positiva che ha trovato nell’esperienza della malattia?
«Ho imparato a dare il giusto peso alle cose, visto che non faccio un lavoro in cui si opera a cuore aperto. E poi ho imparato a essere più indulgente nei confronti di me stessa. Prima ero sempre alla ricerca della perfezione; mi sono resa conto di essere cambiata quando la mia frangia perfetta a Pechino è andata a farsi benedire. Lì ho capito che non si può controllare tutto e soprattutto non si deve».
È una maniaca del controllo solo nel lavoro o anche nella vita?
«Nella vita un po’ meno. Nel lavoro sì, da sempre, sono un po’ una Beyoncé, devo controllare tutto. Dal montaggio alle sigle ai vestiti. Sto in sala autori per davvero».
Era così anche da ragazzina?
«Sì. Vestivo mia sorella…».
Guarda la tv di oggi?
«Guardo tante serie tv. Programmi generalisti meno, ma ogni tanto guardo C’è posta per te, è aggiornamento professionale. Sono più per l’on demand. Credo di aver comprato il televisore quando ho iniziato Quelli che… il calcio».
La tv generalista italiana le piace?
«Ha delle cose che mi piacciono e altre meno. Ma sono contenta che oggi ci siano più player perché si è alzata la posta. Il problema delle generaliste è che investono poco nella sperimentazione».
Lei rappresenta una tipologia di conduttrice unica.
«Ho fatto tante cose in tv e ho avuto il tempo di fare il mio percorso, in un periodo storico in cui c’era voglia di sperimentare. Per esempio io, una che di calcio non sapeva niente, alla conduzione di Quelli che… il calcio…».
Possiamo dire che a quei tempi Victoria Cabello andava molto di moda?
«Non lo so. Ho avuto la fortuna di farmi le ossa, ho intervistato chiunque compreso il Dalai Lama a Mtv, ho fatto Le Iene nel periodo fertile con il trio Medusa, Fabio Volo, Lillo e Greg, Sanremo con Panariello. Oggi di certo è più difficile formarsi in quel modo».
Lei è passata da un periodo di grande popolarità al blackout. Oggi che è tornata, come vede cambiato il pubblico?
«I social hanno rivoluzionato tutto. Ma io non sono una influencer. È difficile portare persone che stanno sui social e generazioni più giovani a guardare la tv. Pechino ci riesce ma è un’eccezione».
Si orienta nel mondo social?
«Ogni tanto mi diverto. Mi dicono che dovrei postare con più continuità, ma io me ne fotto: se non ho niente da dire non posto. Mi viene difficile fare una foto del culo solo per far vedere che ci sono. La mia vita è fuori da lì».
Nella sua vita ha una grande famiglia di amici.
«Sì, io credo molto nella famiglia allargata e la mia rete fondamentalmente è Lgbtq+. Nel mio circolo ristretto ho persone che vengono da mille mondi, perché di natura sono curiosa. Le persone fantastiche della mia vita me le sono scelte negli anni, io che non ho mai investito personalmente nella famiglia, nel fare figli».
Non ha mai voluto una famiglia?
«Non ne ho mai sentito la mancanza né l’urgenza di fare figli. Mi piace molto la mia condizione di grande libertà, che mi permette di svegliarmi la mattina e decidere cosa fare. E poi una famiglia ce l’ho già, fatta di queste persone meravigliose».
Quando non stava bene l’hanno aiutata?
«C’erano, ma sono una che fa fatica a chiedere aiuto e quindi mi isolo in queste situazioni. Detesto l’idea che qualcuno debba occuparsi di me, sono sempre stata autosufficiente».
È il suo lato inglese?
«Forse sì. Sono cresciuta con una mamma inglese dolcissima, ma che quando avevo quattro anni e mi sgridava mi dava del lei: lei non mi deve parlare così. A parte gli scherzi, gli inglesi hanno un’impostazione diversa, la mia non è la classica madre italiana. Sono sempre stata incoraggiata ad arrangiarmi. Possiamo non sentirci per due mesi e poi quando ci parliamo è come se fossero passati cinque minuti».
Questa famiglia allargata è più importante di una storia d’amore?
«Sì, ma una cosa non esclude l’altra. In questo momento cercherei volentieri un trombamico». Ride.
È sola in questo momento?
«Sì, sola con un cane: Silvano, l’amore della mia vita. Il mio cocker, un patatone».
Dopo Pechino che cosa farà?
«Ho scritto alcuni format miei, mi piacerebbe tornare a sperimentare. O forse potrei andare a Qvc a fare le televendite».
È una fan di Qvc?
«È rilassante, ipnotico, con delle luci pazzesche. Io adoro fare cose inaspettate, potrei sparigliare e fare una cosa così. Ecco: il mio prossimo programma potrebbe essere su Qvc».