la Repubblica, 11 marzo 2022
Intervista a Pierfrancesco Favino
Fisico asciutto, taglio di capelli modaiolo, ossessione per cosmesi e fitness, per la giovinezza che a 49 anni sente sfuggirgli e a cui reagisce collezionando conquiste da mostrare agli amici.
Pierfrancesco Favino, 52 anni, in Corro da te di Riccardo Milani (in sala dal 17 ) è un uomo cinico e insicuro che incontra una violinista disabile, Miriam Leone, iniziando un viaggio sentimentale e di allargamento dello sguardo.
Non è la prima volta che l’attore affronta la disabilità al cinema, tema che gli sta a cuore.
È il suo personaggio più cialtrone. Perché le è piaciuto?
«Perché rappresenta buona parte del narcisismo nel quale viviamo, non solo maschile. Ci siamo divertiti a raccontare quest’uomo vittima delle sue paure, di questa necessità di sentirsi vincente e attraente, ancora su piazza. Il personaggio più giusto da mettere all’interno di una storia così, in cui poi trovi altro».
Come si è preparato?
«Innanzitutto fisicamente. Mi piace star bene, sono sportivo, ma non ho l’ossessione del corpo che ha il personaggio. Ho iniziato dall’aspetto fisico, ho seguito i profili di uomini che usano tanti cosmetici, profili di moda maschile. Mi sono interrogato sulla necessità di piacere, la fragilità.
Non mi sono dovuto occupare dell’aspetto della disabilità, lui è vittima del fatto di non averla vissuta. Miriam è stata molto brava a mettersi nei panni di questa donna».
Una ragazza ha postato la locandina del film: “Avrei voluto che la protagonista fosse una vera disabile”.
«Non scelgo io gli attori, tuttavia penso che sia un argomento corretto ma limitante. La famiglia Bélier, film francese in cui due attori belgi recitavano due sordomuti, per me è più coinvolgente del remake americano Coda, in cui il padre è interpretato da un attore sordomuto. Se limitiamo l’arte a rappresentare solo ciò che è, non facciamo un servizio alla diversità né all’unicità. Alla mia scuola di recitazione ho avuto ragazzi con disabilità: giudico la loro capacità di attori, non la loro condizione. Il film parla di un uomo abituato a guardare le apparenze, poi capisce che oltre le condizioni ci sono le persone. S’innamora di Chiara per ciò che è, non per come sta».
Cercando di smarcarsi dagli stereotipi.
«Abbiamo lavorato con le associazioni dei disabili, con loro ti rendi conto che certi atteggiamenti riguardano solo noi. La disabilità è uno specchio in cui vediamo le nostre paure e non ciò che affligge le persone, che non pensano alla propria disabilità come a una qualità. Il mio personaggio è guascone, disprezzabile a inizio film perché nella nostra società non siamo tutti così vicini a questi temi. Al cinema ci sono solo quattro posti per i disabili, non è assurdo?
Sono un fan di Bebe Vio, ma non possiamo far riferimento all’eccezione: chi non ha il suo talento cosa fa? Il tono del film nasce da queste riflessioni».
L’argomento la coinvolge.
«Nel ‘97 ho fatto un film in cui ero un disabile grave, Correre contro.
Da allora sono vicino a quel mondo, ho amici disabili con cui mi confronto».
Ha mai avuto un approccio insensibile di cui si è pentito?
«Di sicuro, incosapevolmente, posso aver ferito qualcuno. Ma vengo da una famiglia in cui la porta era sempre aperta e ogni tanto dovevo disfare il mio letto per cederlo a chi aveva bisogno di aiuto. Sono cresciuto con grande attenzione ai sentimenti degli altri».
Che momento è questo, per lei?
«Di serenità. Ho un progetto nuovo, seguo la mia scuola. Ho girato Il Colibrì con Francesca Archibugi e Nostalgia di Mario Martone. Del libro di Sandro Veronesi ho letto le bozze, innamorandomi del personaggio. Così come in un bar ho scoperto il libro di Ermanno Rea e ho sentito una connessione forte.
Sono personaggi diversi, uno resiste ai colpi della vita in modo apparentemente immobile, l’altro ha bisogno di ritrovare la vita che ha abbandonato in questa specie di Sud del mondo rappresentato da Napoli. Entrambi i racconti nascondono qualcosa di classico al loro interno».
È a un punto della carriera in cui può scegliere autori e personaggi.
«Nel nostro mestiere ogni giorno te lo guadagni, ogni film è un salto nel vuoto. Mette in discussione le tue certezze, una ricchezza che mi spaventerebbe abbandonare».
Lei ha due figlie. Hanno vissuto la pandemia, ora la guerra, eventi che non sono toccati alle generazioni precedenti.
«È vero. Sono molto in ascolto delle mie figlie. Da due anni vivono una realtà in cui “futuro” è qualcosa di complicato da realizzare. Mi spaventa e mi dispiace, quella è l’età dell’indipendenza, della scoperta, invece questi sono anni di chiusura. Il cinema ti porta a conoscere altri mondi e punti di vista, ti fa uscire dai confini. Sono convinto che andare a un concerto, a teatro, al cinema è più che mai necessario».