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 2022  marzo 11 Venerdì calendario

Il libro segreto sul nazismo di Feltrinelli

Ora vorrei soffermarmi su una vicenda che ho completamente “bucato” ai tempi delle mie ricerche e che, invece, ha grandemente impegnato mio padre in alcuni particolari anni. Il Quarto Reich. Un libro mai uscito, composto tra il 1960 e il 1963 da Thomas Harlan, a Varsavia, con l’aiuto di una redazione di venti persone, resa possibile grazie al Partito comunista polacco e a una rete internazionale di ricercatori interamente finanziata e coadiuvata proprio dall’editore di via Andegari. (…)
Il Quarto Reich. Scritto, mai pubblicato. Il dattilo è di quasi 4000 pagine, 1074 delle quali descrivono i crimini di massa tedeschi, in particolare in Polonia, 619 li documentano con trascrizioni di atti e numerose fotografie, 758 illustrano organigrammi e gerarchie, 1100 registrano 8000 biografie di persone direttamente coinvolte. Molte delle quali ancora al loro posto nei ministeri e nei parlamentini regionali, nell’alta burocrazia, nella polizia, nell’esercito e nei centri di potere industriali della Repubblica federale tedesca all’inizio degli anni sessanta.
Un’impresa monumentale. Un libro che, se fosse stato portato a termine e pubblicato, avrebbe cambiato alla radice la storia dell’elaborazione dei crimini del nazionalsocialismo. (…) Thomas Harlan (1929-2010) nella vita è stato regista di cinema e di teatro e scrittore, ma ha fatto anche molte altre cose, tra cui andare in un kibbutz a ventiquattro anni. Con lui l’attore Klaus Kinski, tra i primi tedeschi non ebrei a quei tempi in Israele. Un nomade, apolide, una vita dentro una fuga interminabile perché figlio di Veit Harlan, il regista di Süß l’ebreo (1940), il film che sbancò in Germania e diede il suo miserabile contributo alla “soluzione finale” dello sterminio antisemita. Ben prima della caduta di Berlino, a Thomas fu chiaro chi era l’amico di suo padre che aveva visto ogni tanto a cena: Joseph Goebbels, proprio lui. Il ministro della Propaganda del Terzo Reich era capitato in casa anche la sera del compleanno di Thomas e aveva fatto aprire, in piena notte, il miglior negozio di giocattoli della città perché il piccolo si scegliesse il regalo più bello.
Ad Harlan, con l’aggravante blasfema di chi era suo padre, non occorse molto tempo per riconoscere l’orrore del proprio paese, il silenzio seguito al più inaudito buco di civiltà, l’impunità dei crimini, l’assenza di conseguenze, il mancato orrore negli occhi degli altri. (…) Ad Harlan interessava il complesso generale dell’omicidio di massa, dal punto di vista non solo organizzativo, ma anche materiale, tecnico ed economico; non soltanto le uccisioni, ma anche tutto quello che le precedeva e le seguiva: l’emarginazione e la deportazione, l’“arianizzazione”, il furto, la stima dei possedimenti, la corsa verso lo sterminio di massa, lo sfruttamento dei prigionieri attraverso i lavori forzati e l’esecuzione tecnica degli omicidi, il saccheggio, lo “smaltimento” dei cadaveri, la cancellazione delle tracce, i profitti, i fornitori degli strumenti e delle apparecchiature, gli addetti alla logistica ferroviaria… insomma, la “collettività nazionale” dell’intera società tedesca.
Per sostenere la sua posizione e per difendersi dagli attacchi alle sue pièce di denuncia, nel 1958 Harlan partì per Varsavia, dove cominciò le ricerche – attraverso gli stretti legami con la Zentrale Stelle, cioè l’Ufficio centrale tedesco per le indagini sui crimini nazisti. (…) Da Varsavia, Thomas organizzò una squadra divisa in due gruppi. A Ovest riuniva parecchie delle persone che già nel decennio precedente avevano pubblicato opere sull’argomento nella Repubblica federale e aveva contatti con istituti di ricerca internazionali come il Centre de Documentation Juive e lo Yad Vashem di Gerusalemme. (…) Per completare le indagini, Harlan si spostò anche a Lublino, ?ód? e Cracovia, viaggi che – al pari della formazione di una biblioteca personale, una fotocopiatrice, un apparecchio fotografico per formato 24 e un’autovettura – furono finanziati da Feltrinelli. Così come l’intera rete a Ovest,a cui partecipavano attivamente l’avvocato di Francoforte Henry Ormond, già giudice distrettuale a Mannheim, radiato e deportato a Dachau; Hermann Langbein da Vienna, un comunista austriaco che aveva combattuto contro Franco ed era sopravvissuto alla vita e agli anni dei lager; il giornalista texano Paul Moor, che agiva come referente da Berlino; e infine, da Amburgo, il giornalista Hans Huffzky, a cui si accenna per altri contesti in Senior Service.
Era stato lui, infatti, a offrire i primi reportage alla giovane Inge di Gottinga, e ora agiva come braccio destro di mio padre. A tutti questi si aggiungeva, non ufficialmente, il procuratore generale di Francoforte Fritz Bauer, un nome che sappiamo quanto sia stato importante nella ricerca della “ganze Wahrheit” sulla recente storia tedesca.
Fascicoli su fascicoli, con corrispondenze, note spese, pareri legali, rapporti, elenchi, ritagli di giornale, erano lì, sotto il mio naso. O meglio, erano in due scatole di cartone nello stambugio per la legna del camino nella nostra vecchia casa nel centro di Milano. Nascosti dietro congerie di oggetti in disuso, mi erano sfuggiti o, se li avevo notati, non ci avevo dato importanza. Ma, soprattutto, cosa diavolo ci facevano lì? Perché non erano al loro posto nei classificatori-schedario Olivetti Synthesis presso gli archivi della casa editrice,che tanto avrebbe voluto pubblicare Il Quarto Reich ? Scommetterei che c’entra il regime di segretezza che aveva permeato tutto il lavoro organizzato da Harlan. Per ragioni comprensibili, le sue ricerche non potevano essere viste di buon occhio da un apparato dello stato che non era stato smantellato.
Fin dall’inizio si era cercato di mantenere un profilo basso, dando al progetto un nomedi copertura, incaricando terzi per le telefonate e consegnando lettere solo tramite messaggeri fidati e mai via posta. (…) Harlaninstaurò una fecondarelazione di fiducia soprattutto con Fritz Bauer, Henry Ormond e Hermann Langbein. Apice delle loro attività congiunte sarà entrare in possesso di parte delle “Carteargentine” di AdolfEichmann, a partire dalle interviste che Willem Sassen gli aveva fatto dal 1957 nel buen retiro di Buenos Aires, dove Eichmann viveva sotto il falso nome di Ricardo Klement.
In queste conversazioni rilassate e a mente fredda, non senza un buon whisky, Eichmann aveva precisato il suo pensiero sulla soluzione finale, argomentando che, se avessero fatto fuori dieci milioni di ebrei – dieci milioni e trecentomila, per la precisione – invece di fermarsi a sei milioni, ecco, questo lui lo avrebbe considerato un lavoro ben fatto.Una versione parzialee accomodante di quelle interviste era stata pubblicata dallo stesso Sassen su Life, pochi mesi dopo il rapimento di Eichmann, trasportato da agenti segreti israeliani a Gerusalemme l’11 maggio 1960. Ma una trascrizione, più completa e copiosamente commentata nella pagina dalla grafia dello stesso Eichmann – e quindi indubitabilmente autentica –, aveva raggiunto anche Linz, la città austriaca hitleriana par excellence, e si trovava maldestramente custodita presso lo studio professionale del suo fratellastro. Hermann Langbein riuscì a far portare via nottetempo, grazie a un fabbro, le 900 paginette dall’ufficio di Robert Eichmann.
Come ha scoperto lo storico tedesco Henning Albrecht, Langbein diede appuntamentoaunsingolaremanipolo di uomini in un grande albergo di Francoforte: lì squadernò i documenti davanti a Thomas Harlan, Henry Ormond, Hans Huffzky e Paul Moor.
Il leggendario procuratore di Francoforte Fritz Bauer era certamente presente, sia pur invisibile. Era stato lui, due anni prima, a segnalare agli israeliani lapresenza di Eichmannin Argentina, non fidandosi delle agenzie del proprio paese.
Maquel tardo pomeriggio del3 marzo 1961, alla riunione in una camera del Frankfurter Hof, si aggiunse anche qualcun altro: e chi se non l’ineffabile, e per me simpaticissimo, Giangiacomo Feltrinelli?
Il testo è parte della postfazione scritta da Carlo Feltrinelli a “Senior Service”