Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  marzo 11 Venerdì calendario

L’incubo recessione

Negli ultimi 50 anni, un forte e brusco rincaro del petrolio ha sempre annunciato una recessione. Ovvero fabbriche che licenziano, imprese che chiudono, disoccupati in più. Accadrà anche questa volta? Nell’incertezza senza pari che dà la guerra in corso, per ora si può solo dire che né la Banca centrale europea con le sue decisioni di ieri, né i mercati con le scelte che esprimono, credono ancora a questa eventualità.
I rischi possono venire da più parti. Certo una recessione si attende in Russia, per il pesante effetto delle sanzioni (da -7% a -15% il prodotto lordo quest’anno, nelle prime stime). Ma se la Russia è un gigante militare (maldestro quanto crudele, a giudicare dagli ultimi giorni) resta un nano economico rispetto alle sue ambizioni imperiali, meno di metà della Germania, poco più della Spagna, un decimo della Cina.
Anche per l’Italia le esportazioni in Russia non sono importanti, nonostante le lamentele delle imprese interessate: circa l’1,5% del Pil, e solo per una frazione soggette a sanzioni. Quanto alla finanza internazionale, in essa il Paese di Putin pesa ancora meno, come la presidente della Bce Christine Lagarde ha messo in chiaro ieri: escluderne le banche moscovite sta facendo danni pressoché solo a loro.
No, il problema vero sono i costi dell’energia per noi, come giustamente fanno presente le imprese ad alto consumo di energia. Sono benzina e gasolio per viaggiare su strada, kerosene per gli aeroplani, che rendono più caro spostare sia le persone sia le merci.
Qualche brutto segno già arriva. Ci sono imprese che sostengono di non aver altra scelta che ridurre la produzione, dati gli altri costi. Oppure tarda a vedersi la ripresa di iniziative che era attesa nell’uscita dalla pandemia. Nei mesi scorsi la recrudescenza del Covid ha già frenato (soprattutto in Italia, vedi produzione industriale di gennaio) un recupero che era sembrato vigoroso.
Però, una cosa dev’essere chiara. I due mali seri dell’economia di cui si parla in questi giorni, l’inflazione e la recessione, difficilmente possono capitare nello stesso momento. Se non si è disposti a pagare di più, si compra di meno. Quando si compra di meno, la pressione al rialzo dei prezzi diminuisce.
Per ora fra gli economisti si prevede che il fenomeno prevalente sarà l’inflazione, almeno nei prossimi mesi. Alle imprese il credito per lavorare non manca, nonostante la frenata più o meno pronunciata decisa dalle varie banche centrali. I governi continuano a immettere denaro in circolo; anzi maggiori spese militari si aggiungeranno probabilmente agli investimenti già decisi, in Europa per il Pnrr.
Proprio ieri un economista attentissimo all’andamento della congiuntura, Sergio De Nardis, ha valutato che con la guerra l’economia italiana sarà danneggiata fra mezzo e un punto di prodotto: quindi crescerà lo stesso, crescerà meno. Dalla Francia vengono stime simili. Né alla Banca d’Italia né fra gli analisti finanziari si ipotizza ancora una recessione. Intesa Sanpaolo, pur imputando troppo ottimismo alla Bce, vede per l’area euro una crescita 2022 nell’ordine del 3%; Unicredit un po’ sotto il 3%; la britannica Barclays al 2,4%.
Certo l’Italia è più fragile di altri paesi, con il suo alto debito e con famiglie ancora molto caute nelle spese. E l’Europa è più esposta degli Stati Uniti in parte autonomi nell’approvvigionamento di energia, e senza profughi da sfamare.
Se la guerra durasse a lungo, se le sanzioni alla Russia saranno mantenute a lungo o addirittura aggravate, il clima di incertezza potrà anche infiacchire l’economia al di là degli sforzi che i governi faranno per sostenerla. E gli equilibri internazionali stanno cambiando, mutano flussi e convenienze dei commerci tanto da rendere difficile agli operatori economici adeguarsi. Il mercato globale è bruscamente cambiato. La pandemia è tornata ad allargare i divari tra i Paesi avanzati, che se ne sono difesi meglio, e quelli emergenti.
All’interno dei Paesi avanzati, la guerra danneggia l’Europa più degli Usa; e provoca l’esclusione della Russia da quasi tutto. Nel tempo, la fatica dell’aggiustamento potrebbe diventare più forte della pressione sui prezzi. Ma in una recessione, teniamolo presente, i prezzi delle materie prime tornerebbero a diminuire.