il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2022
Charlotte Gainsbourg racconta la madre Jane Birkin
Charlotte Gainsbourg, che invidia a sua madre Jane Birkin?
Da ragazza avrei voluto tanto assomigliarle fisicamente. Mi consideravo brutta, con l’aggravante che nella nostra famiglia il lato estetico ha sempre avuto un peso importante. Però non rimpiango quel malessere, quella sofferenza: ha forgiato la mia personalità.
Dirigendo il documentario Jane by Charlotte (il 16 giugno in sala) regola i conti?
No, trovo immodestamente che sia un ritratto a tutto tondo: di lei e di me che cerco mia madre.
Jane è diventata una borsa, la celebre Birkin Bag di Hermès: lei a cosa ambisce?
(ride) È stato accidentale, con il presidente della maison si erano incontrati sull’aereo, lei si lamentava di non trovare una borsa adatta a una giovane madre… È la casualità divertente della vita, bello succedesse anche a me.
Dal 21 aprile sugli schermi, Gli amori di Suzanna Andler, per la regia di Benoît Jacquot, inquadra “una donna dell’alta borghesia, ricca, oziosa, al limite del suicidio, stretta tra doveri coniugali e desiderio”. Che cosa non le appartiene?
Non ho potuto in alcun modo condividere il suo esser cosi borghese, dipendere dal marito, non lavorare. Mi appartiene invece lo smarrimento, il sentirsi sull’orlo di crollare. E il mistero profondo di cui si ammanta, la capacità di fantasticare, una certa infantilità. Mi è piaciuto poi trasformarmi: capelli corti, abito anni Sessanta, a metà tra la Mia Farrow di Rosemary’s Baby e la Deneuve di Bella di giorno.
E Marguerite Duras, da cui è tratto?
Mi preoccupava: non mi sentivo adeguata, con una cultura sufficiente. È stato Jacquot a sottolinearmi la modernità del testo: tre giorni di prove, sette di riprese, il ritmo mi ha dato una libertà totale.
Con il suo compagno, il regista Yvan Attal, e vostro figlio Ben ha fatto L’accusa, sulla zona grigia dello stupro. Scelta coraggiosa.
Il film non fornisce risposte, ma è interessante proprio nel voler esplorare questa zona grigia. Per mio figlio si è trattato di un ruolo estremamente difficile, uno stupratore che si pente, ma non capisce appieno la portata delle sue azioni.
E la sua di parte?
Io difendo anche il mio personaggio, una femminista da sempre schierata dalla parte delle donne violentate e abusate che si trova improvvisamente con un figlio che ha perpetrato questa violenza: la madre prevale sulla femminista, è qualcosa di estremamente toccante.
All’ultima Mostra di Venezia ha portato anche Sundown di Michel Franco. Il suo film precedente per Nanni Moretti è un banco di prova: “Ti è piaciuto Nuevo Orden? Non siamo più amici”. Lei con chi sta?
(ride) Non lo so, Nuevo Orden non l’ho visto: glielo farò sapere.
Le piacciono ruoli, quali Antichrist e Nymphomaniac di Lars von Trier, che altri non si permetterebbero. Provocare è una missione?
Trovo sia fondamentale, mio padre ha incarnato lo spirito provocatore con esempi musicali che tutti conoscono, Je t’aime moi non plus con mia madre e Lemon Incest con me. Mi ha insegnato quanto sia utile provocare per sviluppare il dibattito ed esaltare l’umorismo: è un modo per esplorare noi stessi, e ringrazio Lars von Trier di avermelo ricordato.
Suo padre Serge Gainsbourg se n’è andato nel 1991. Lei aveva 19 anni.
La sua morte mi ha completamente distrutta, ho impiegato tantissimo tempo a superarla e ancora adesso non mi è semplice da affrontare. Sento la sua mancanza in tantissime occasioni. Quando è morto, uscivo dall’adolescenza e avevo bisogno di una guida… Solo ora ho deciso di aprire al pubblico la sua casa: sento necessario cedere le chiavi di quello spazio, che era il nostro e che è stato esclusivamente mio per tutti questi anni.
Serge era di origini ucraine, lei come si pone rispetto alla guerra?
Proprio grazie a questa terribile guerra mi sono resa conto che le origini di mio padre erano ucraine e non semplicemente russe. Sono cresciuta sapendo che proveniva da una famiglia di ebrei russi che aveva lasciato la patria nel 1917 per sfuggire alla Rivoluzione, poi ricordi e legami si sono incrociati con la Seconda guerra mondiale, i nazisti, la persecuzione degli ebrei e la Francia occupata.
Oggi?
Scopro le mie vere origini, guardando il popolo ucraino che si difende riesco a riconoscere dei tratti della mia identità, che è forte, che è l’identità ucraina alla quale aderisco al cento per cento. Trovo commovente la volontà di quel popolo di combattere fino alla fine per affermare la propria identità.
E l’Europa?
La guerra le restituisce valore. Durante la pandemia ogni Paese ha adottato il suo protocollo e marciava per conto proprio, mi sono chiesta se dopo la Brexit l’Europa avesse ancora senso. Oggi abbiamo trovato una unità morale, sono molto fiera di essere europea e di tutto quel che l’Europa sta facendo per aiutare l’Ucraina.