Il Messaggero, 10 marzo 2022
A 150 anni dalla morte di Giuseppe Mazzini
La figura di Giuseppe Mazzini è la più complessa e sfuggente tra quelle dei protagonisti del Risorgimento italiano. Questo sicuramente a causa dell’immagine stereotipata a noi tramandata dall’iconografia del tempo: sempre mesto e pensoso, più intellettuale che uomo politico. Inoltre, contribuisce alla difficile comprensione del personaggio la natura del suo operato. La diplomazia di Cavour si può misurare in trattati, alleanze e territori acquisiti. Per Garibaldi abbiamo le campagne militari. Mazzini, invece, andrebbe letto alla luce delle sue idee, attraverso la sua vita.
LA VITA
Chi fu dunque Mazzini e quale fu il suo contributo a quel processo di liberazione e rinnovazione che in Italia prese il nome di Risorgimento? I dati biografici sono ben noti. Nacque nel 1805 a Genova da famiglia benestante. Giacomo, il padre, era medico e professore universitario; la madre, Maria, era donna istruita e di mente aperta rispetto ai problemi del tempo. La famiglia fu per Mazzini rifugio e fonte di conforto morale e materiale per tutta la vita, che trascorse in gran parte all’estero, tra esiliati politici di varie nazionalità. Dalla famiglia nasce il cittadino, che rappresenta il primo passo verso la nazione, nella quale l’individuo adempie ai suoi doveri ed esercita i propri diritti.
Per meglio capire l’effetto dirompente di questa visione bisogna mettersi nei panni di Mazzini, nato in un’epoca in cui l’individuo non era considerato cittadino, bensì suddito. A 150 anni dalla sua morte, non tutto è cambiato, se si pensa a ciò che sta succedendo sotto i nostri occhi in Ucraina. Ma l’indignazione globale scatenata da questi eventi dimostra, se non altro, la condivisione del principio d’indipendenza nazionale. Non era così al tempo di Mazzini, quando parlare di diritti nazionali significava andare controcorrente ed esporsi a persecuzioni. Così Mazzini a venticinque anni fu costretto a un esilio – prima in Francia e Svizzera e poi in Inghilterra, che fu per lui una seconda patria – che durò per il resto della sua vita.
Sentirsi italiano quando l’Italia non esisteva come nazione voleva dire scavare nella storia della penisola divisa in otto staterelli, alla ricerca di temi capaci di unire. Per creare un popolo che fosse disposto a combattere per la propria indipendenza, bisognava diffondere ideali e sentimenti capaci di superare le divisioni. Mazzini ravvisò nel mito di Roma un tema che si prestava non solo a raccogliere gli italiani sotto un’unica bandiera, ma che allo stesso tempo donava all’Italia un posto di rilievo fra le nascenti nazioni del mondo. Roma fu caput mundi sotto i cesari e propagò il cristianesimo sotto i papi, adempiendo così a missioni universali, a vantaggio dell’umanità.
LA MILITANZA
Per diffondere queste idee Mazzini milita nelle file dei radicali, prima come studente universitario e poi come pubblicista e cospiratore. Si associa ai carbonari, che presto lo disilludono, perché troppo moderati e timidi nell’agire. Nel 1831 fonda a Marsiglia la sua associazione, la Giovine Italia, che risponde meglio alle sue aspettative. Non si illude di parlare per una qualsiasi maggioranza, ma per quei pochi ma buoni che recepiscono il messaggio. Mazzini li chiama fratelli e li esorta a prepararsi a una lotta difficile con spirito di sacrificio. La nazione non rappresenta però l’apice dell’ideale mazziniano. Tutt’altro. Egli fu tra i primi ad avvertire i pericoli che si presentano quando l’amor patrio sconfina nel nazionalismo. Oltre e sopra alla nazione, Mazzini guarda all’umanità. Sarebbe facile licenziare i riferimenti all’umanità che ricorrono negli scritti di Mazzini come semplici guizzi retorici privi di significato. Così facendo, si rischierebbe di sminuire la portata del suo pensiero, che tende a innalzarsi verso livelli di sempre più alta spiritualità. Ma non era la tranquillità dello spirito a interessarlo, bensì come infondere valori alle cose di questo mondo, a cominciare dalla lotta politica: la sua passione e il suo tormento.
L’Italia raggiunse l’unità tramite una monarchia che lui, tuttavia, avversava. E il suo nome incuteva timore negli ambienti governativi, che avrebbero voluto cancellare le tracce del suo operato. In certe oleografie del periodo post-risorgimentale, Mazzini non appare affatto tra i padri fondatori. Vi troneggia invece la figura di Vittorio Emanuele II, affiancata da quelle di Cavour e Garibaldi.
Mazzini è persona non grata nella sua terra natale. Ha commesso il grave peccato di rimanere fedele ai propri ideali repubblicani quando la maggioranza dei suoi seguaci aveva fatto la pace con la monarchia, che peraltro sarebbe stata disposta a perdonarlo, se fosse stato disposto a fare ammenda dei suoi peccati, dichiarandosi leale a Sua Maestà. Niente da fare. Mazzini ritornò in patria sotto falso nome per finire i suoi giorni a Pisa, il 10 marzo 1872.
IL LASCITO
Mazzini non fondò un partito repubblicano capace di portare avanti la sua eredità. Il suo lascito fu conteso da vari partiti e gruppi politici negli anni a venire, ma un movimento mazziniano vero e proprio non è mai emerso. E forse è per questo che la memoria di Mazzini si è affievolita con il passare del tempo. Peccato, perché il suo messaggio resta ancora oggi valido. La nazionalità resta il fondamento dell’ordine internazionale. Se oggi fosse vivo, forse si sentirebbe in sintonia con temi come il rispetto per la natura, la protezione dell’ambiente, i diritti delle donne, dei bambini, dei deboli, il movimento per la pace e per il disarmo. Tutti temi che si ricollegano a quell’etica religiosa che distingue il pensiero mazziniano da altre correnti del nostro tempo.