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 2022  marzo 10 Giovedì calendario

Le madri dei prigionieri

Facce gonfie e peste, occhi abbassati, voci tremanti. E poi altri volti, tumefatti, insanguinati, le bocche aperte, gli occhi chiusi, volti di morti gettati nel fango e nella neve. E poi fotografie di documenti e lettere, con i nomi e i numeri dei reparti militari Il canale Telegram Ishi Svoikh, “cerca i tuoi”, è un pugno nello stomaco, volutamente brutale, perché è diretto ai russi. Alle mamme e ai papà russi, per la precisione, che grazie a questo canale istituito dal ministero dell’Interno di Kyiv possono cercare i loro figli caduti sui campi ucraini, oppure catturati prigionieri. È grazie a Ishi svoikh che Sobirzhon Mustafaev di Novosibirsk ha scoperto che fine aveva fatto suo figlio Damur. Gli aveva parlato l’ultima volta il 22 febbraio, il 23enne Damur gli aveva detto di stare partendo per delle esercitazioni. L’ha rivisto qualche giorno dopo, seduto con sullo sfondo una bandiera ucraina, a raccontare di essere stato abbandonato dai suoi compagni: il carro armato nel quale si trovava si era rotto, la colonna ha proseguito lasciandolo indietro, Damur con i suoi compagni hanno dormito dentro al carro e poi sono scesi per andare a cercare le truppe russe, finendo in una palude dalla quale è stato ripescato dagli ucraini.
Ufficialmente il soldato semplice Mustafaev non esiste. Il ministero della Difesa russo non aggiorna da una settimana la lista dei caduti e dei feriti nella «operazione militare speciale», e non fa menzione di prigionieri. Sobirzhon ha raccontato a Meduza, il giornale online indipendente oscurato in Russia, di aver provato a contattare le autorità militari, che però non forniscono alcuna informazione, né su suo figlio, né sui suoi compagni. Gli ucraini hanno permesso a Damur di mandare un whatsapp a suo fratello, dice che viene trattato bene, ma che non sa quando verrà restituito alla sua patria e alla sua famiglia. Anche perché Damur è un soldato di leva, e Vladimir Putin nel suo discorso dell’8 marzo ha promesso alle mamme russe che le reclute e i riservisti non sarebbero stati mandati in Ucraina, dove combattevano soltanto ufficiali e soldati a contratto. È stato subito smentito: ieri il ministero della Difesa è stato costretto a reagire alle denunce dei genitori che avevano trovato i loro figli su Ishi svoikh, ammettendo che «purtroppo sono stati riscontrati alcuni fatti di presenza di coscritti», che sono stati «praticamente tutti» riportati in Russia. Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha annunciato un’indagine della procura militare contro i responsabili, ma è evidente che si tratta di un fenomeno di massa. Damur aveva raccontato al padre che i comandanti avevano cercato di convincerlo a firmare il contratto per trasformarlo, sulla carta almeno, in un professionista, ma molti altri genitori di ragazzi di leva dicono che sono stati mandati in Ucraina senza aver sottoscritto nulla.
Alcuni dei ragazzi nei video pubblicati dagli ucraini piangono quando telefonano alle mamme per dire «non erano manovre, ci hanno mandati in guerra, ora siamo degli occupanti». Potrebbe essere un’operazione di pressione psicologica sul nemico russo, ma decine di soldati mostrati da Kyiv sono stati riconosciuti dai genitori e dalle fidanzate. Galina ha scoperto che suo figlio era prigioniero da un video sulla pagina Facebook del comandante delle forze armate di Kyiv: «Come faccio a riportare a casa il mio bambino? A quali porte devo bussare? Se sapessi dov’è, ci andrei di persona, a supplicare pietà per lui», ha raccontato alla Bbc.
È esattamente la reazione che si aspettano al ministero dell’Interno di Kyiv, il cui sito fornisce alle mamme russe istruzioni su come venire a riprendersi i figli. Nella prima guerra in Cecenia, ormai 30 anni fa, i Comitati delle madri dei soldati sono stati una componente cruciale del movimento per la pace, denunciando le atrocità di una guerra combattuta da ragazzini impreparati e male armati. L’ex Armata rossa non sembra essere cambiata molto da allora, invece è cambiato il modo in cui il governo chiude la bocca a chi lo racconta: la nuova legge infligge fino a 15 anni di carcere a chi «diffonde fake sui militari in Ucraina». I media indipendenti vengono chiusi oppure oscurati, e Facebook è stato bloccato in Russia, così come il sito dell’iniziativa Ishi Svoikh (che però resta accessibile su Telegram). Volodymyr Zelensky ha girato un video in cui prega i soldati russi di tornare a casa: «Qui vi aspetta la morte, o la prigionia». Ma loro non possono vederlo. —