La Stampa, 10 marzo 2022
Mosca, città fallita
Mi raccontano che a Baku, in Azerbaigian, gli alberghi di lusso, il Badamdar e il Fairmont, l’Intercontinental, sono da giorni al tripudio del tutto esaurito come non si registrava da prima della vittoriosa spedizione punitiva contro gli armeni. Si respira un clima edonistico, qualche esagerato già parla di età dell’oro. Qui la guerra in Ucraina è semplicemente una benedizione di Allah. Clientela con i portafogli pieni: è tutta russa, e non sono turisti. Voli pieni da Mosca. Sono quelli che noi chiamiamo oligarchi, padroni del vapore e banchieri, tutt’altro che anchilosati dalla stangata economica delle sanzioni occidentali. Anzi. Sono indaffarati e ottimisti, vanno e vengono dalle banche e dagli studi che si occupano di transazioni finanziare e di avviare nuove attività economiche. Espatriare giova. Mentre noi li immaginiamo alle prese con la carta di credito che non funziona, assordati da domestiche e famiglie che esigono lo stipendio non pagato, loro stanno praticando l’esorcismo di trasferire i loro affari. Noi attendiamo fiduciosi l’annuncio che la Russia dichiari fallimento. Loro invece: Addio Europa crudele! Si comincia un’ altra storia e sempre lucrosa. Intanto un’altra via della seta si apre verso la Cina: anche qui il mediocre impiccio delle sanzioni diventerà uno sgradevole ricordo. Basta invertire il flusso di gasdotti. L’oriente è il nuovo eldorado dei magnati del putinismo. Obbligatorio per loro, murati con cura nella rigida piramide verticale creata da Putin nel suo ventennio, dar l’addio alla decadente Europa, sempre meno redditizia e alle sue insulse pretese democratiche. L’industria militare non è forse uno dei gioielli delle loro industrie obsolete? Il burro non rende, i cannoni sì. La guerra è un magnifico affare. Qualcuno vorrà prendersi la briga prima o poi di andare oltre la retorica narcisistica del coraggio leonino che l’occidente ha esibito nel decidere «le sanzioni più gigantesche» di tutti i tempi per scoprire quali saranno i loro effetti in Russia. Non solo sui portafogli ma soprattutto sugli umori e i rancori dei cittadini comuni: c’è il rischio di scoprire che potrebbero determinare l’effetto opposto a quello sperato, ovvero che il popolo, esasperato dalla tribolazione della chiusura del bancomat, assalti il palazzo d’inverno per una precoce primavera antiputiniana.La confisca dello yacht del satrapo russo a Sanremo o della villa a Saint-Tropez, è molto scenografica. Ma semmai bisogna ragionare, con un po’ di salubre empirismo, se funzioni davvero il meccanismo delle sanzioni. Fino ad ora nella storia sono servite soprattutto a sfumare di attivismo la impotenza di chi per molti motivi (ed alcuni erano ottimi come evitare lo scoppio della terza guerra mondiale per esempio) non poteva e voleva fare di più contro i responsabili di dittature e prepotenze. Cade in questa casistica perfino lo straccione imperialismo mussoliniano quando aggredì l’Etiopia poté deridere le «perfide» sanzioni albioniche, implacabili ma in realtà zeppe di buchi distinguo, e omissioni come quelle di oggi.Forse un buon metodo è quello di mettersi dal punto di vista dei sanzionati, il cittadino russo normale, quello che in questi anni ha sempre votato Putin. Sono loro il problema del signore della guerra russo, non il disamore degli oligarchi che come è regola sotto tutti i climi e le latitudini politiche sanno trovare scorciatoie, nicchie e accomodamenti.Allora il popolo comune. Europei e americani si sono affannati a precisare che il bersaglio sono il presidente e la sua corte, non i russi. Precisazione giudiziosa ancor più che etica. Sarebbe criminale ripetere l’errore commesso dalle democrazie vincitrici con la Germania nel 1914 quando per la prima volta si affermò che i popoli sono responsabili come i loro capi; e quindi ne dovevano pagare in solido gli errori e i misfatti. Così nacque la pace senza pace di Versailles, le promesse di rivincita di Hitler e la seconda guerra mondiale. Questa volta tutti è chiaro dunque. Chissà. I regimi autocratici come quello russo sono deprimenti per l’uomo. Ci sono gli eroi, quelli che sono disposti a ogni sacrificio per non abdicare al sopruso, alla corruzione, alla minaccia. Ma sono pochi. Talora in uno di quei grovigli che solo Dio può sciogliere la paura, il desiderio di vita tranquilla, di vantaggi, la umiltà di non pretendere di giudicare meglio della maggioranza, portano ad accettare.All’inizio, quando Putin era poco più che uno sconosciuto, pensarono che sarebbe passato come era passato Eltsin, qualche anno duro e poi la situazione sarebbe cambiata. E poi.. dall’estero tutti tendevano la mano a Putin, tutto gli lasciavano fare, Cecenia normalizzata a fucilate, Siria, Africa, Crimea, la prosopopea neoimperiale, tutto faceva pensare che il putinismo sarebbe durato in eterno.Su questi russi appena entrati in punta di piedi in una società in cui si comunica anche per mezzo delle cose è piombata addosso la occidentale punizione delle sanzioni. Di fronte alla realtà brutale, quotidiana di diventare più poveri, di non poter più viaggiare come erano ormai abituati, il ritorno alla vita grama, senza orizzonti, ragionare che questo in fondo è un modo legittimo scelto dall’Occidente per punire solo l’io ipertrofico di Putin e i suoi manutengoli, richiede un livello molto sofisticato di analisi politica, una capacità di distinguo da intellettuale raffinato. Capacità ancor più complicata in un Paese dove la informazione e la propaganda sono a senso unico, manipolatorie, intossicanti. Ecco allora che le virtuose sanzioni studiate a Bruxelles diventano «inique», un’altra l’ennesima macchiavellica macchinazione per nuocere alla Russia, di ridurla alla rassegnazione degli sfruttati come negli anni bui del disastro sovietico. La propaganda putiniana dell’aggressione trova nuovi argomenti, fa breccia. Il dittatore, invece che indebolito, ne esce rafforzato.