la Repubblica, 10 marzo 2022
Intervista a Michelangelo (produttore musicale)
Nel calcio ci sono dibattiti sulla tattica concreti come il sesso degli angeli o l’uovo e la gallina. Per dire: Baggio era attaccante o trequartista? Ma su Michelangelo si esagera: difensore, regista (occulto, come capita in Italia) o attaccante di fascia? Proviamo a capirlo con l’interessato.
Ah, questo non è un articolo di sport, ma di musica: malgrado il nome da oriundo brasiliano, il 28enne Michelangelo è di Cremona, e di cognome fa Zocca. Ed è arrangiatore, anzi proprio produttore, di Brividi, la canzone di Mahmood e Blanco che ha vinto Sanremo.
Allora, Michelangelo, lei chi è? Il suo ruolo musicale fa pensare al classico regista dietro le quinte.
«I ragazzi hanno detto: “È come il difensore in una squadra, non fa gol ma difende la porta per farti vincere. Ha fatto tutto il lavoro sporco, è stato in piedi tutte le notti”. Mi ci ritrovo. Però nelle partite a calcetto con gli amici, il solo passatempo che ho, sono attaccante di fascia».
Ora basta calcio e sotto con la musica. Perché di lei alla fine si sa poco. Iniziamo proprio dal nome.
«Che in realtà è Michele, ma fin da piccolo per tutti ero Michelangelo. Il cognome l’ho tolto per evitare equivoci col paese di Vasco Rossi».
Come arriva alla musica?
«In quinta elementare prendendo lezioni di batteria, che poi praticavo a casa dei nonni, sante persone col frastuono che facevo. Alle medie la chitarra elettrica e aAggiungere le note al ritmo mi ha fatto nascere la passione di capire la musica. A 19 anni fatto il Conservatorio a Parma, ma solo un anno, poi ho mollato perché iniziava ad arrivare lavoro. Proprio allora ho conosciuto Blanco».
Circa quattro anni fa. Blanco ne aveva solo 14. Aveva già talento?
«Eccome! Mi hanno colpito subito la libertà di fare musica e il timbro vocale. Certo, aveva troppo pudore a raccontare il suo mondo interiore. Invece le canzoni più sono sincere più colpiscono: mostrare le proprie debolezze può renderti forte. Ogni settimana ci ritrovavamo a scrivere senza uno scopo, anche solo per divertirci. A volte tiravamo così tardi che si fermava a dormire da me».
E Mahmood?
«Sono al mare, guardo Instagram, c’è un messaggio: è Mahmood che vuole scrivere qualcosa con me. Come dire di no? Lo stimo da sempre, riconosco una sua canzone anche cantata da altri, ma se le canta lui è meglio, con quel timbro e quell’aria orientale.
Organizziamo due giorni di prove, al secondo passa Blanco e mentre è lì mi viene il ritornello di Brividi. Il seguito lo conoscete, penso».
C’è un altro personaggio musicale di Cremona abbastanza noto. Scriverebbe per Mina?
«Scherza? Anche l’elenco del telefono le farei cantare! Certo dovrei studiare qualcosa per lei: la mia è una lavorazione sartoriale, fatta sull’artista e le sue caratteristiche.
Però Brividi cantata da lei mi incuriosirebbe assai».
Modelli? Colleghi che stima?
«I colleghi non li dico, se dimentico qualcuno si offende. Ma tanti, la musica italiana è ricchissima ora.
Modelli: è banale dire Battisti-Mogol? Dovendo scegliere vorrei essere i Beatles, tutti e quattro. Anche se la batteria per me è John Bonham dei Led Zeppelin».
Come si scrive una canzone di successo?
«E lo chiede a me?».
E a chi, scusi?
«È che non ho risposte. La canzone di successo non ha regole: si scrive totalmente a caso. Deve succedere la magia, e solo a volte la senti già mentre stai scrivendo, come con Brividi. Ovvio, più esperienza hai, meglio è, ma bisogna solo provare e riprovare, finché non becchi per puro caso la cosa buona. Di Brividi esistono altre 6 versioni precedenti, che non sentirete mai».
Dopo Sanremo come le è cambiata la vita?
«Artisticamente mi sono arrivate proposte che non mi aspettavo e di cui non parlo per scaramanzia.
Personalmente, per nulla. La faccia ce la mettono loro due e va benissimo, io poi esco poco perché ho gli studi proprio sotto di me. Sono casa e lavoro, e lavoro sempre, anche di notte: la mia bimba di 11 mesi canta molto, invece di dormire».
E calcisticamente? È diventato l’idolo da non toccare o gli avversari le fanno fallacci da invidia?
«Devo ancora tornare a giocare. Sono curioso anch’io».