la Repubblica, 10 marzo 2022
Il ritorno di Cormac McCarthy
Caro Mister McCarthy, la presente per esprimerLe una doppia felicitazione. Anzitutto per il fatto che Lei sia ancora vivo. E poi perché stia per battere non uno, ma due colpi accingendosi a pubblicare, a fine 2022 negli Stati Uniti e l’anno seguente in Italia (per Einaudi, come al solito), non uno, ma due romanzi. Che lei ci fosse ancora, da qualche parte nel mezzo dell’America, cominciava a essere oggetto di dubbi e speculazioni. Come sa, in questa realtà distorta se non si appare non si è, o non si è più. O almeno, incuranti del fatto che i personaggi più influenti in qualsiasi campo (letteratura inclusa) siano pressoché invisibili (e se si mostrano subito sospettiamo si tratti di un sosia, un attore o attrice, una figura apocrifa), continuiamo a diffondere questo luogo comune, alimentando il mercimonio delle presenze, fisiche o virtuali. La sua assenza era così perdurante da indurre alla richiesta giornalistica di coccodrilli in più di una redazione. Personalmente, mi sono sottratto. Pare che questo allunghi la vita del soggetto. Oltre a un fatto di sensibilità mi tormenta da decenni l’incauta pubblicazione del necrologio a mia firma di un armatore greco dato per spacciato nella notte, che il weekend seguente attraccò in un porto italiano facendo ciao con la manina e spedendo un telegramma di ringraziamenti al giornale.
E dunque, che cosa ha fatto in tutto questo tempo (sedici anni) in cui non siamo stati collegati? Immagino sia andato a letto presto, abbia coltivato una particolare arte di vivere e abbia scritto questi due romanzi annunciati e ravvicinati, tanto da uscire a distanza di un mese e da raccontare la storia di fratello e sorella. Dove eravamo rimasti? Alla Strada. Non un picaresco on the road, ma un viaggio oscuro, che cominciava con «notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato». Non l’avverarsi di qualunque profezia, giacché non ne è esistita una che non fosse apocalittica, ma quel che resta dopo. E che cos’era? Le ragioni dell’esistenza: l’amore e il suo rovescio, il sacrificio. Più quella forma indecifrabile, una mappa labirintica del mondo in divenire, disegnata sul dorso di un pesce d’altura che alludeva a «qualcosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare». Ci aveva lasciati lì, alla stessa distanza dall’uscita e dall’ingresso di quell’incubo e con il fondato sospetto che uscita e ingresso coincidessero nella dannazione eterna della circolarità. Abbiamo visto l’adattamento cinematografico, già sapendo che non ci avrebbe soddisfatto. D’altronde, parere personale, neppure i fratelli Coen, nonostante consensi e premi ricevuti, hanno tratto un gran film da Non è un paese per vecchi. Dopo, ricordo di essere andato in un cinema di New York al primo spettacolo del primo giorno d’uscita (era il 2013) della pellicola tratta dalla sua prima sceneggiatura originale, The Counselor (in Italia Il procuratore ) e di essere rimasto ugualmente deluso. Nemmeno Ridley Scott (lo avrebbe ribadito con House of Gucci ) è infallibile, ma forse è difficile rendere il desiderio e la violenza (i Suoi temi onnipresenti e interconnessi) se non con la paradossalmente implicita efficacia del linguaggio.
E poi, due giorni fa, l’annuncio dei due romanzi siamesi: The Passenger e Stella Maris. Ne aveva letto qualche pagina in pubblico sette anni fa. Ora sappiamo che, nell’insieme, le pagine sono 600 (400 il primo e 200 il secondo), che è stato Lei a volerli separati e l’editore a decidere la distanza di uscita (300 mila copie ciascuno e poi 50 mila di un cofanetto natalizio che li riunirà). Sappiamo che racconta di due fratelli, Billy e Alicia Western (tradotto: Occidentali), figli di un fisico che ha contribuito a creare la bomba atomica e ossessionati l’uno dall’altra. Nel primo romanzo è Billy il protagonista. È lui a tuffarsi nell’oceano per cercare i resti di un aereo scomparso e ritrovare tutto tranne tre cose. Come sempre a essere decisivo è quel che manca: la scatola nera, la borsa del pilota e il corpo di un passeggero (così importante da costituire il titolo). Con il passo di un thriller, arrivano alla porta di Billy “men in black” e a quanto pare ci troveremo davvero in un thriller, ma esistenziale, a chiederci che cosa siano davvero realtà e coscienza, se fede e scienza possano convivere. Poi sarà la voce di Alicia, mentre dialoga con il medico che ne cura la schizofrenia, a cercare il confine tra genio e follia. Quel che sospettiamo è che proprio là, mentre tutto è in frantumi, danzi la stella generata dal caos, capace di sprigionare lampi di verità. E che Lei, da tempo interessato all’esoterismo quanto agli esperimenti scientifici del Santa Fe Institute, abbia fatto appuntare il Suo nome sul carnet. A 88 anni, dopo aver scritto La Strada, dicono non le rimanesse altro che occuparsi di Dio e del mistero dell’esistenza. Credo valga per chiunque abbia i doni dell’assoluto talento e di una lunga vita. Non è la stessa cosa che ha fatto Don DeLillo, allontanandosi verso il deserto di Point Omega e la metafora del Silenzio? Tutti i Grandi fanno verso la fine lo stesso viaggio, quello che Fellini chiamava “il viaggio di Mastorna”. È una sfida, un’ambizione, un’artistica pazzia. È, anche, senza ritorno, ma grazie in anticipo per aver deciso di portarci su quest’altra “strada”.