Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 03 Giovedì calendario

Biografia di Enrico Ronchetti

Enrico Ronchetti (1920-2022). L’ultimo artigliere del monte Chaberton. Un prezioso testimone della tragedia che il 21 giugno 1940 colpì il forte militare più alto del Regno e tutt’oggi d’Europa. Quel forte fu orgoglio dell’artiglieria italiana: dal 1910 si diceva inespugnabile. Purtroppo non fu così. In poco tempo fu distrutto dai bombardamenti francesi. «Ronchetti, classe 1920, era là pur essendo originario di Fecchio, una frazione di Cantù. Da giovane, prima di essere arruolato, faceva il falegname. Dopo il conflitto era diventato mobiliere e non aveva mai dimenticato quella straordinaria avventura sul confine francese che la Storia gli aveva riservato. Il tutto con il desiderio di tramandarla ai giovani, consapevole di essere uno tra i pochi sopravvissuti all’attacco francese del ’40, quando il forte venne duramente colpito: il bilancio fu di dieci morti e sessanta feriti gravi, perlopiù a causa degli incendi appiccati dall’esercito d’Oltralpe agli otto torrioni a cupola. I racconti di Enrico Ronchetti sono stati raccolti da Roberto Guasco nei suoi libri su L’ Artigliere dello Chaberton. Una vita, prima dell’attacco francese, per anni isolata e tranquilla su quella «Fortezza delle nuvole», come veniva chiamata dai nostri soldati. Lassù, a oltre tremila metri sul livello del mare. Tra i racconti più toccanti di Ronchetti c’è quello in cui ammette che non avrebbe mai immaginato di dover mettere la sua arte di falegname a disposizione dei suoi commilitoni. “Il giorno dopo il bombardamento - ha raccontato - non c’erano le bare per i caduti sfigurati dalle esplosioni. Così si decise di utilizzare un pavimento di legno delle stanze più belle del forte per fabbricarle. Le casse furono costruite nella notte e la mattina seguente i caduti furono portati in una posizione più sicura, giù al grande tornante, in una specie di buca nella neve”» [Macagno, Sta].