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 2022  febbraio 03 Giovedì calendario

Biografia di Antonio Lubrano (Antonio Lubrano di Scampamorte)

Antonio Lubrano (Antonio Lubrano di Scampamorte), nato a Procida (Napoli) il 4 febbraio 1932 (90 anni). Giornalista. Conduttore televisivo. «Ho sempre usato un linguaggio semplice con una vena ironica anche quando di fronte a me ho avuto personaggi politici come Spadolini, Berlinguer o Andreotti, perché le informazioni dovevano essere comprensibili a tutti. Il cittadino ha il diritto inalienabile di capire per essere attivo e partecipare» • «“Io nasco timido… Da bambino arrossivo, ma da una guancia sola. Mia madre Clotilde, nata a Porto Said, in Egitto, pareggiava i conti dandomi uno schiaffo sull’altra guancia quando combinavo monellerie” (ride). Porto Said? “Suo padre era capitano di mare. Sul Canale di Suez i procidani erano richiestissimi. Discendo da una famiglia di navigatori da sette generazioni. Anche mio padre Giuseppe e mio nonno lo erano. Ci chiamiamo non a caso Lubrano di Scampamorte: i miei avi sono sopravvissuti a più di un naufragio”» (Giusy Cascio). «Mi tornano in mente i rimproveri e qualche volta anche gli schiaffi di mia madre nei lontani anni Quaranta. Io ne avevo otto o dieci, e odiavo i piselli. Ebbene, il piatto che respingevo a mezzogiorno, la signora Clotilde me lo ripresentava puntualmente a cena, dicendo sempre la stessa frase: “Tuo padre lavora sull’acqua salata, e i soldi per comprare i piselli come qualsiasi altro cibo sono il frutto del suo sudore!”. E io, per rispettare il sudore del capitano Giuseppe su una nave mercantile che chissà dove stava a quell’ora, ero costretto a ingurgitare quegli odiati legumi» (ad Anna Cepollaro). «“Ma mio padre – racconta – fece di tutto per dissuadermi dal seguire quelle orme, mi disse: non farlo, perché non potrai mai goderti veramente una famiglia”. Lui, quasi per puntiglio, rispose con una battuta che suonava quasi come una provocazione: “D’accordo, papà. Farò il giornalista”. Così, a 18 anni appena, si presenta alla redazione del Giornale (quotidiano di Napoli, che non ha a che fare con quello fondato poi da Indro Montanelli) e sfodera tutta la faccia tosta parlando con il caporedattore: “Io voglio fare il suo lavoro”. La risposta: “Vieni ogni sera due ore in tipografia: inizierai a imparare”. Va avanti così due anni. Intanto va sui campetti a far le consuete dieci righe sulle partite del calcio dilettantistico e anche la pallanuoto, “perché a Procida c’erano grandi campioni”» (Marco Menduni). «“Ho cominciato il lavoro che amo a San Biagio dei Librai, alla tipografia de Il Giornale, e come maestro ho avuto Antonio Ravel, che mi ha insegnato notizia, impaginazione e titoli. Il proprietario, il barone Antonio Procida, un piccolo uomo nervosissimo, ma generoso e di cultura immensa, radunava noi giovani attorno a un tavolo, ci diceva quale era il fatto su cui scrivere e noi dovevamo fare il pezzo. A forza di accartocciare e cestinare i nostri articoli ci addestrava all’attacco, alla conclusione e a trovare quella particolare frase che conteneva già in sé il titolo. […] La redazione era in via Nardones e aveva l’ingresso con i bordi di marmo e il numero al centro, come le case di tolleranza. Fatto sta che nella stessa strada c’era un celebre bordello, e quante volte abbiamo dovuto cacciare in malo modo i marinai americani che salivano in redazione in cerca di donne!”. Finalmente, dopo due anni di apprendistato, chiede di essere assunto: “Il barone Procida mi guardò con aria truce e disse che me ne dovevo andare se volevo un futuro come giornalista. ‘Fuitevenne!’, come direbbe De Filippo. Gli farei un monumento”» (Cepollaro). «Via da Napoli, mi trasferii a Roma, nella redazione del Giornale d’Italia. […] Anche quelli furono anni d’importante formazione» (a Renato Catania). «Il lavoro lo ha […] portato prima a Roma e poi a Milano. Dopo aver scritto sui maggiori quotidiani e settimanali, come Il Giornale, Il Giornale d’Italia, Oggi, Tv Sorrisi e Canzoni, ed essere stato caporedattore del Radiocorriere Tv, approda in televisione» (Cepollaro). Nel 1976, infatti, «fui assunto in Rai al Tg2 dall’allora direttore Andrea Barbato. Provenivo dal Radiocorriere Tv, e, in quanto esperto di spettacoli, fui messo in forze alla redazione cultura. Già allora mi feci apprezzare per ironia ed estrema chiarezza» (a Mimmo Di Marzio). «Recensiva dischi e film con brio, una specie di Vincenzo Mollica ante litteram, meno sdolcinato. A metà degli anni Ottanta, il servizio politico era orfano di Emmanuele Rocco, morto in un incidente d’auto. Rocco aveva un modo di raccontare a braccio il Palazzo, come se fosse a tavola. Per sostituirlo si pensò a Lubrano. Che non deluse. Fece, tra le altre, un’intervista memorabile a Vincenzo Scotti dal barbiere, a farsi bello poco prima del duello congressuale con Ciriaco De Mita per la segreteria democristiana» (Giancarlo Perna). «Successe che l’allora capo della redazione politica cercava un giornalista che… non capisse nulla di politica. Fui scelto io, e iniziai a intervistare tutti i grandi politici della Prima Repubblica, da Andreotti a Craxi, da Fanfani a Spadolini. Con le mie domande da uomo della strada, cominciai a scardinare le trappole e le insidie del politichese». «Al Tg2, i miei colleghi si stupivano. Se durante un’intervista non capivo qualcosa, obiettavo “Non ho capito” e lo lasciavo nel montaggio del servizio. All’epoca sembrava spregiudicato chiedere ai ministri di fare chiarezza». «“L’audience schizzò alle stelle, al punto che […] nell’87 il direttore Alberto La Volpe mi affidò una rubrica, in coda al tg, che fu intitolata, non a caso, Diogene”. Come il filosofo greco che girava con la lanterna in mano anche di giorno e, a chi gli domandava il perché, rispondeva: sto cercando l’uomo… “Appunto. Quel programma nacque per essere il quotidiano del cittadino. Quando ho cominciato, sono andato in onda con un maglione, anziché con la giacca e la cravatta. Il direttore mi disse: perfetto, non cambiare mai look. E così feci, perché, per entrare davvero nelle famiglie e nei loro problemi, dovevo anche apparire come uno di loro”» (Di Marzio). «È stata un’esperienza fondamentale, il primo rapporto diretto con la gente. Il telegiornale guadagnava ascolti: siamo stati i primi a fare denuncia in tv. Così chiesi al mio direttore, La Volpe, una promozione da inviato a caporedattore. Lui fece la domanda, io intanto continuavo a condurre Diogene, la seconda e la terza serie. Senza tessere politiche sono rimasto inviato, e ho lasciato la Rai. Angelo Guglielmi ha pensato a me per un programma sulle truffe, e sono rientrato come collaboratore» (a Silvia Fumarola). «Mi volle Angelo Guglielmi, allora alla guida della rete [Rai 3 – ndr]. Decise lui di mettere “Lubrano” nel titolo del programma, come eco del famoso film Mi manda Picone. A me sembrava presuntuoso: c’erano solo Telemike e il Maurizio Costanzo Show col nome del conduttore nel titolo. Ma accettai, e mi fecero il contratto artistico. Cifre basse, però, non come quelle che girano oggi. E, a proposito di quei tempi, ricordo che Fabio Fazio nella prima stagione era il mio inviato nelle famiglie truffate. Era bravo, aveva il garbo che mantiene». «Il primo anno il riscontro fu tiepido. Dal secondo in poi, il programma decollò. E arrivò un periodo in cui mi era impossibile girare per la strada, andare in qualunque luogo senza che qualcuno mi fermasse, dicendomi: mi perdoni, dottor Lubrano, come posso risolvere questo problema?». «È diventato il difensore civico: ormai le vittime di truffe e ingiustizie non pensano ad altre soluzioni, prendono direttamente carta e penna e scrivono ad Antonio Lubrano. […] Ha trasformato Mi manda Lubrano, “un mercoledì nell’Italia dei tranelli”, in uno degli appuntamenti più seguiti di Rai 3. […] Lubrano discute con ironia i casi più diversi, senza mai scadere nella rissa. Gli chiedono aiuto aspiranti cantanti truffati da presunti manager, sfrattati, vittime della burocrazia. […] Gli italiani si lamentano per le pensioni, per i tanti problemi irrisolti della sanità, c’è chi protesta per i rimborsi delle trattenute Irpef, scrive chi continua a pagare multe e bolli di auto vendute o demolite. Poi ci sono i truffati classici, generalmente raggirati da lestofanti che puntano su un desiderio di cultura (corsi di lingua, computer, enciclopedie). Amato dagli imitatori, che si sbizzarriscono a rifargli il verso quando saluta il pubblico con il suo inconfondibile “Salve!” e copiano il suo modo di parlare pacato, pieno di pause, Lubrano è diventato il paladino degli umiliati e offesi. […] “Abbiamo risolto una serie di casi clamorosi: siamo riusciti a far avere i telefoni in un paese che li aspettava da vent’anni. Ho invitato l’assessore dei Lavori pubblici e i dirigenti della Sip, che si sono impegnati personalmente. In un’altra puntata una signora è riuscita finalmente ad avere la sua vincita al lotto: la matrice si era cancellata e non volevano darle i soldi”» (Fumarola). «La grande scommessa era riuscire a portare in trasmissione furbetti o autentici truffatori da noi smascherati. Una volta arrivò negli studi Rai un piazzista di Valenza che da un’emittente privata proponeva l’acquisto di smeraldi. In realtà molti telespettatori avevano segnalato che si trattava di pietre fasulle, praticamente fondi di bottiglia, circostanza poi confermata da un gemmologo. Smascherato, il piazzista tentò di lanciarmi una torta in faccia in diretta. Per fortuna mancò il bersaglio, e a fine programma venne a prenderlo la finanza». «Poi nel ’97 lasciò mamma Rai per andare a Telemontecarlo, la tv di Cecchi Gori. “E fu un errore. Ma la proposta era stata molto allettante: andare a dirigere il tg di Monte Carlo, e con un’offerta notevole per quei tempi. Accettai, ma ben presto mi resi conto che non avevo tutta la libertà, e soprattutto i mezzi, per fare le inchieste che volevo. Dopo due anni decisi di andarmene”» (Di Marzio). «I due anni come direttore del Tg di Telemontecarlo e quell’unica esperienza in Mediaset, quando ho condotto I 7 vizi capitali con Paola Perego, non mi hanno per niente soddisfatto». «E tornò a lavorare per la Rai, questa volta per dedicarsi alla sua seconda grande passione, la lirica. “Già: in viale Mazzini se lo ricordarono e mi affidarono una trasmissione intitolata All’Opera. La lirica in Rai non fruttava più di 200 mila spettatori, e io riuscii a portarli a un milione e due”. Come fece? “Mi inventai un ruolo che potremmo definire alla Piero Angela, che è un mio grande e stimato amico. Attingevo all’immenso patrimonio delle teche Rai, e con la tecnica del chroma key entravo anch’io nella scena per raccontare trama e aneddoti di un’opera. In questo modo facevo partecipare virtualmente anche i telespettatori alla rappresentazione e ne catturavo la curiosità. Il record di audience ci fu con il Don Giovanni di Mozart”» (Di Marzio). In seguito, curò per anni la rubrica settimanale Ditelo a Lubrano all’interno della trasmissione mattutina di Rai 2 I fatti vostri, in cui rispondeva alle domande degli spettatori, soprattutto in ordine a questioni burocratiche o amministrative. «Oggi in televisione la si vede di rado, in compenso calca i palcoscenici, con la lirica ma anche con la musica… “In questi anni ho portato nei teatri alcuni spettacoli, fatti sempre alla mia maniera, che hanno riscosso un discreto successo di pubblico. Uno è stato Il buffo dell’Opera, in cui raccontavo, al fianco di veri tenori e soprani, gli aneddoti più divertenti legati a un’opera. Un altro è Chi ha paura di…, messo in scena con l’ensemble barocca dell’Orchestra Verdi di Milano. Tra un brano e l’altro, intervistavo il direttore Ruben Jais con domande del tipo: ma che cos’è una fuga? Oppure: che significa il contrappunto? Alla fine dello spettacolo, alcuni tra il pubblico venivano a ringraziarmi e a dirmi: finalmente ho capito”. Ha recitato anche I promessi sposi in napoletano. “Si intitolava Manzoni anema e core ed è uno spettacolo tratto da I Promessi sposi in poesia napoletana scritto da Raffaele Pisani. Abbiamo selezionato dieci personaggi manzoniani, e tra un ritratto e l’altro venivano cantati brani classici del repertorio napoletano: per don Rodrigo Guapparìa, per don Abbondio Palummella, per Renzo e Lucia Anema e core…”. Si è cimentato anche con il jazz. “Vero, all’Auditorium di Milano ho condotto lo spettacolo musicale Secondo me, Napoli, diretto dal compositore jazz Sandro Cerino con l’Orchestra Verdi”. Invece alla televisione ha detto definitivamente addio? “Assolutamente no. Con Edoardo Romano, l’attore dei Trettré, ho realizzato per Canale 21, gettonatissima emittente campana, un programma sulla canzone napoletana intitolato Cara Napoli ti scrivo. Con Romano ci unisce la nostalgia per la città natale, io milanese d’adozione e lui brianzolo”» (Di Marzio). Ancor oggi «lucido, puntuale, acuto come sempre. “Ho avuto qualche acciacco, cose dell’età: d’altronde, sono quasi novanta”, ci scherza su Antonio Lubrano. Problemi superati, giura lui, […] che […] ancora non smette di scrivere, di polemizzare contro i mali della società, di raccogliere soddisfazioni. […] L’ultimo libro, per Castelvecchi editore, è L’Italia truccata. La storia di “una terra di assurdi e paradossi”. L’ultima sparata? Contro i monopattini elettrici che invadono tutto: “Le pare possibile che oggi chi percorre un marciapiede debba sentirsi quasi un estraneo? Tanti, tantissimi sono d’accordo con me”» (Menduni) • Tra gli altri suoi libri, il romanzo L’isola delle zie (Ferrari, 2013). «Io sono procidano, isola di naviganti. […] La mia isola mi ha insegnato molte cose, di cui attraverso questo romanzo ho voluto rendere partecipi tutti. Mi sono inventato un delitto, avvenuto in una di queste famiglie di lupi di mare. Tanti sospetti s’intrecciano attorno a questa vicenda, ma un quindicenne, figlio di questa famiglia, attraverso la sua caparbietà riesce a trovare il bandolo della matassa» • Un figlio, Eduardo, dal primo matrimonio. Da anni vive a Milano con la seconda moglie, Mariella Lava. «Ma perché lei, procidano con una lunga esperienza a Roma, alla fine ha scelto di vivere a Milano? “Per amore. La mia seconda moglie, Mariella, è lombarda. La conobbi in Rai ai tempi di Mi manda Lubrano, di cui lei era la responsabile di produzione. Mi seguì a Roma, ma appena abbiamo potuto […] abbiamo deciso di venire qui. Una scelta felice, perché io vengo da una città, Napoli, che è adorabile, ma dove la parola ‘regola’ è sconosciuta. Qui invece, sotto la Madonnina, le regole esistono eccome, e – incredibile a dirsi, visto che siamo in Italia – molto spesso si rispettano pure”» (Di Marzio) • «Come molti napoletani, vivo questo eterno amore-odio verso Napoli. Ma, anche se talvolta mi prende un senso d’angoscia nel vedere il menefreghismo in cui versa, gli anni hanno stemperato ogni sentimento negativo. Lì ci sono le mie radici» • «Dei politici di oggi che cosa pensa, lei che in vita sua ne ha intervistati così tanti? […] “Penso che il livello adesso sia a dir poco imbarazzante, sia per quanto riguarda i toni arroganti sia per quanto riguarda la scarsa cultura e preparazione politica. Se penso che durante la Prima Repubblica si criticavano come estremisti personaggi come Almirante! Rispetto ai personaggi che vedo oggi, quelli erano dei giganti della politica, e anche della diplomazia…”» (Di Marzio) • «Maestro e protagonista del giornalismo “al servizio della gente” (ci tiene, e continua a ribadire il concetto), che ha segnato un’epoca» (Menduni) • «Con quali armi è riuscito a conquistare la fiducia del pubblico? “Secondo me è stata un po’ la mia faccia ironica, il modo di parlare semplice ma senza facilonerie, e forse anche il mio accento, la mia napoletanità garbata e credo rassicurante”» (Di Marzio). «Lubrano aveva perfezionato un linguaggio simultaneamente colloquiale e formale (“La domanda sorge spontanea” è ormai un classico)» (Gualtiero Peirce) • «Nella sua carriera si contano una furbata e un incidente. Sdegnato per una mancata promozione a caporedattore, Lubrano si licenziò dal Tg2 e dalla Rai a fine anni Ottanta. Un minuto dopo fu riassunto dalla stessa Rai come collaboratore del Tg3, per Mi manda Lubrano, con un compenso varie volte superiore. Questa l’astuzia. L’incidente invece fu avere prestato la faccia a una pubblicità del Mediocredito Lombardo che lanciava certificati di risparmio. Il Robin Hood dei consumatori si vendeva per 200 milioni l’anno a un’azienda! “L’ho fatto in memoria di mia madre, accanita risparmiatrice”, fu la patetica giustificazione che Antonio rifilò ai giornali. Per colmo di disgrazia, il giurì di autodisciplina pubblicitaria sospese la réclame, giudicandola “ingannevole” per mancanza di trasparenza» (Perna) • «Quanto è cambiata la Rai? “Vedo molta più approssimazione, format tutti uguali, la lingua italiana stravolta. Ma forse sono valutazioni dettate dall’età e dalla nostalgia”» (Sara Chiappori). «In tv oggi vede qualche difensore civico che le assomiglia? “Devo dire che apprezzo molto Le iene, un bel programma di servizio, condotto in modo anche divertente”» (Di Marzio) • «Rimpianti? “Nessuno. Ho fatto l’inviato speciale, sono stato anche direttore di Sorrisi e Canzoni, ho condotto trasmissioni di successo, sempre con lo stesso intendimento che mi muoveva da ragazzo: intercettare i bisogni della gente comune e cercare di dare delle risposte a chi ne ha bisogno”» (Menduni). «Procida mi ha insegnato l’amore per la libertà, libertà di vita e di azione. Quando si nasce su uno scoglio e fino alla maggiore età si sogna l’avvenire nel resto del mondo, oltre il mare, l’idea della libertà plasma tutta la tua vita. Del resto, il fatto che Procida sia un’isola di naviganti, di capitani e macchinisti che vanno dall’Est all’Ovest del mondo, non è una vocazione alla libertà? […] Procida è la mia memoria, ed è lì che spero di essere seppellito, quando sarà l’ora» (a Pier Paolo De Brasi). «Una volta Vittorio Sgarbi mi incontrò a un premio letterario e fu sorpreso: “Ma tu non eri morto?”. Gli risposi che sono immortale, in ossequio al mio cognome».