7 febbraio 2022
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Biografia di Nick Nolte (Nicholas King Nolte)
Nick Nolte (Nicholas King Nolte), nato a Omaha (Nebraska) l’8 febbraio 1941 (81 anni). Attore. «Sono diventato un attore perché non mi piaceva la vita reale» (a Dotson Rader) • «Secondogenito e unico figlio maschio di Helen e Frank Nolte, una tipica famiglia del Midwest nutrita a granturco, di stirpe contadina irlandese e tedesca» (Hilary De Vries). «Sono cresciuto in una piccola città, Ames, Iowa. Percorri 15 minuti in qualsiasi direzione con la tua bicicletta dal centro di Ames e sei in campagna. […] Riesco a ricordare la Seconda guerra mondiale, anche se sono nato nel 1941: ne ho vaghi ricordi. Ricordo la paura. Gli adulti erano spaventati». «Suo padre, Franklin Arthur Nolte, era l’enorme figlio di un contadino, di 198 centimetri e 118 chilogrammi, che fu premiato come giocatore di football all’Iowa State University dal 1929 al 1931, si laureò in Ingegneria e incontrò sua madre, anch’essa studentessa dell’Iowa State University. Ma i primi ricordi che Nick Nolte ha di suo padre sono il suo ritorno dalla Seconda guerra mondiale. La casa di Ames fremeva per l’attesa. Ha scritto [nell’autobiografia Rebel: My Life Outside the Lines, HarperCollins, 2018 – ndr]: “Ma poi la porta d’ingresso si aprì ed entrò uno scheletro”. Il terrore della guerra, i combattimenti contro i giapponesi e la malaria “lo ridussero in un sacco d’ossa”. La guerra colpì profondamente suo padre, e, come molti della sua generazione, ha scritto Nolte, perse fiducia nell’uomo, così si ritirò nel conformismo e pertanto represse le sue emozioni. Sua madre, Helen King Nolte, compensava con la sua natura ribelle e la sua creatività. […] Nolte non andava bene a scuola, ma amava il football. La sua famiglia lasciò Ames quando aveva 7 anni per vivere a Waterloo [sempre in Iowa – ndr] dopo che suo padre vi si era trasferito per vendere pompe di irrigazione per l’azienda Fairbanks-Morse, mentre sua madre divenne responsabile acquisti del grande magazzino Black. A Waterloo, Nolte riversò la sua frenesia infantile sul campo da football. “Mi ritrovavo spesso a giocare con tale passione e concentrazione che iniziavo semplicemente a piangere”, ha scritto» (Mike Kilen). «Non lasciavo che mio padre mi guardasse allenarmi. Così doveva parcheggiare a mezzo isolato di distanza. Ma trovava sempre un modo per guardarmi». «Giocava come estremo difensore esterno e come puntatore, e attirò abbastanza attenzione da essere invitato nei campi delle università più importanti quando era alle medie, prima che la sua famiglia si trasferisse a Omaha» (Kilen). Alle superiori, tuttavia, «fu espulso dalla squadra per aver bevuto. […] In quel periodo della vita di Nolte, […] suo padre […] era assente per la maggior parte del tempo. […] “Nick ha sempre sofferto per la mancanza di suo padre”, dice […] Pete Gent, l’ex Dallas Cowboy, […] conoscente di lunga data di Nolte. […] “La figura di riferimento maschile più vicina era il tuo allenatore, e Nick ha avuto la sfortuna di giocare per ragazzi che lo hanno davvero fatto a pezzi. Iniziò a bere per sentirsi meglio. Alla fine influisce sul tuo atteggiamento, sul tuo gioco”» (De Vries). Dopo il diploma, «continuò per un pezzo a giocare a football negli istituti preuniversitari allo scopo di migliorare i suoi voti fino a poter giocare a football nelle università più importanti, cosa che non accadde mai» (Kilen). «Allora ero un ribelle, e la ribellione è diventata una giusta forma di reazione al Vietman» (a Maria Pia Fusco). Nel 1965 fu infatti processato e condannato per aver contraffatto i documenti di alcuni suoi amici per consentir loro di rinviare la partenza per il Vietnam. «Allora non c’era l’obiezione di coscienza: e io permettevo a molti ragazzi di posticipare la partenza per una guerra immorale». «È vero che è stato anche in prigione? “Sì, mi avevano condannato a 45 anni. […] Per fortuna me la sono cavata con pochi mesi: è stata comunque un’esperienza importante”» (Fusco). In quegli anni «“andavo in giro perché volevo solo giocare a football qua e là”. È per questo che passavi da un istituto preuniversitario all’altro? “Sì. Andavo solo a giocare una stagione, poi lasciavo perdere, andavo in un altro istituto e ricominciavo tutto da capo. Vai e lascia perdere. I miei erano allora a Pasadena, e per un po’ andai al Pasadena City College”. Fu allora che ti interessasti alla recitazione? “Avevo un paio di amici che erano attori del Midwest. Loro venivano alle mie partite di football, e io andavo con loro al Teatro di Pasadena. Non andavo in giro con i giocatori di football. Vidi un paio dei loro spettacoli. E uno degli attori si stava preparando all’audizione per fare il fratello minore in Peyton Place. Mi portò con sé. Il suo insegnante disse: ‘Nessuno può semplicemente venire a guardare. Devi partecipare. Dovrai declamare’. Lo feci. Dopo, mi disse: ‘Non lo sai, ma sei un attore’. Gli prestai ascolto”. Come ti sostenevi? “Riuscii a entrare nel sindacato degli operai metallurgici a Los Angeles. […] Studiavo recitazione, e poi crollai. Il mio amico Brian chiamò mio padre e gli disse: ‘Suo figlio è caduto a pezzi, e farebbe meglio a portarlo a casa per un po’’”. Un esaurimento nervoso? “Una crisi esistenziale. Stavo abbandonando l’atletica e mi stavo interessando alla recitazione. Non era una transizione facile per me. C’erano molte parti della mia personalità a cui mi aggrappavo, e ora dovevo guardare il mondo in modo diverso”. Eri spaventato? “Oh, sì. Sono rimasto chiuso nella mia stanza per un anno. […] Poi mi sono alzato e sono andato al Little Theatre di Phoenix. Kit Carson era il regista. Avemmo una lunga chiacchierata, due ore. Mi scelse subito per Il cuore impulsivo, un piccolo ruolo. E feci solo teatro, teatro, teatro. Più tardi un amico, un attore caratterista, andò all’Old Log a Minneapolis e mise una buona parola per me. Così volai a Minneapolis, declamai e fui ingaggiato”. Rimanesti all’Old Log per tre anni. “Esatto. Era una grande compagnia. Lo era davvero”. Come nacque la carriera da modello? Eri su una bottiglia di champagne e una bottiglia di shampoo. “Sai, facevo anche qualche lavoretto. In Minnesota mi chiamarono e mi offersero questo lavoro da modello. Era… era una pubblicità per l’antigelo Prestone. Così andai a New York. Là c’era questo agente, che mi disse: ‘Ehi, posso farti lavorare ogni giorno’. Iniziò a mandarmi in giro per lavori da modello. E finii ai Caraibi, a girare una pubblicità per la Clairol. Penso che sia l’unica volta in cui la Clairol ha messo un uomo sulla confezione”» (Rader). «Nolte ha trascorso circa 12 anni come attore di teatro. […] Soggiornando in squallidi alberghi, vivendo di “barattoli di maccheroni”, il signor Nolte imparò il suo mestiere e se ne innamorò. […] Fino a quando una parte in un dramma teatrale di William Inge intitolato The Last Pad lo portò finalmente a Los Angeles. “Bill Inge si uccise due sere prima del debutto, quindi avemmo un sacco di stampa”, dice. ‘‘Giunsero a chiedere se la commedia avesse qualcosa a che fare con la sua morte. Cosa che non sapevamo. In quel periodo, in ogni caso, era molto scoraggiato’’. Il signor Nolte non aveva intenzione di rimanere sulla costa occidentale. Voleva tornare al Goodman Theatre di Chicago ‘‘e trastullarmi con Shakespeare’’, ma, dice: ‘‘Venni distratto. Iniziai a lavorare in televisione, e da allora non sono più salito sul palco’’» (Chris Chase). «La svolta giunse quando apparve nella miniserie del 1976 adattamento del romanzo di Irwin Shaw Il ricco e il povero, dove fu perfettamente scelto per interpretare il ribelle Tom Jordache» (Sheila O’Malley). «Il suo esordio sul grande schermo coincide con il trasferimento in California, a Los Angeles, a metà degli anni ’70. Il fisico prestante e la mascella squadrata lo rendono adatto ai ruoli da duro, e in pochi anni raggiunge il successo. È un campione di football in I mastini del Dallas (1979) di T. Kotcheff, poliziotto in coppia con E. Murphy in 48 ore (1982) di W. Hill, avvocato perseguitato dal maniaco R. De Niro in Cape Fear – Il promontorio della paura (1991) di M. Scorsese» (Gianni Canova). Quello stesso anno «ottiene ottimi riscontri per Il principe delle maree di Barbra Streisand (con cui si guadagna la prima nomination all’Oscar e un Golden Globe), mentre l’anno successivo è accanto a Susan Sarandon ne L’olio di Lorenzo (1992) di George Miller» (Arianna Ascione). Nella seconda metà degli anni Novanta, «dopo una serie di film-cassetta, Nolte si è deciso a “tornare al vecchio modo di lavorare: mi ero stancato delle preoccupazioni economiche e di quanto pesassero ormai sulle mie decisioni. Mi ero stancato della stessa idea di successo. E, se avessi fallito, beh, pazienza. Avrei sempre potuto vendere questa villa”. […] Ciò che […] è positivo è il lavoro che Nolte ha svolto da quando ha voltato le spalle al “sistema”. Il suo vanaglorioso e tormentato colonnello Tall nella Sottile linea rossa di Terrence Malick è una delle interpretrazioni più acclamate del film. E la sua riuscitissima interpretazione di un avvocato paranoico di provincia, Wade Whitehouse, in Affliction di Paul Schrader gli ha guadagnato molti premi, oltre alla nomination all’Oscar» (Rachel Abramowitz). «Successivamente è lo scienziato che trasmetterà la mutazione del suo Dna al figlio in Hulk (2003) di A. Lee, il disincantato padre del fidanzato di M. Cheung in Clean (2004) di O. Assayas, il coriaceo colonnello Oliver in Hotel Rwanda (2004) di T. George e il malinconico reduce dal Vietnam in Beautiful Country (2004) di H.P. Moland» (Canova). Particolarmente acclamata, nel 2011, la sua «interpretazione candidata all’Oscar in Warrior, nel ruolo di Paddy Conlon, il cui alcolismo ha provocato anni di allontanamento dai suoi due figli, Brendan (Joel Edgerton) e Tommy (Tom Hardy). Sia Edgerton sia Hardy fanno un buon lavoro in Warrior, ma – va detto – Nolte li cancella. I due stanno recitando e Nolte sta eseguendo un esorcismo. […] Nolte sarebbe un fantastico Re Lear» (O’Malley). Del 2015 è invece A spasso nel bosco di Ken Kwapis, in cui recita al fianco di Robert Redford: «Parla di due uomini di 70 anni, uno dei quali decide di intraprendere un’escursione sui monti Appalachi. Si tratta di un percorso a piedi che va dalla Florida al Maine seguendo la catena montuosa, attraversando gli Usa. È un percorso lunghissimo. […] Robert voleva fare questo film con Paul Newman, cui sarebbe andata la mia parte, ma purtroppo, essendo venuto a mancare il signor Newman, Redford si è dovuto adattare a me» (a Silvia Bizio). Nel 2018, insieme alla figlia Sophie Lane Nolte, allora undicenne, «ha girato Un viaggio indimenticabile, remake di un film tedesco firmato dallo stesso regista, Til Schweiger, il viaggio agrodolce di un nonno malato di Alzheimer con la nipotina, l’unica in famiglia che sembra in grado di comprenderlo: “Il personaggio mi ha ricordato mia nonna, che soffriva di demenza. Ero l’unico ad ascoltarla mentre parlava con le persone del suo passato. E provavo a interagire con lei. Sono state le mie prime prove di recitazione”. L’idea di far recitare Sophie è arrivata quasi per caso: “Ha talento: spero che segua la sua passione”» (Arianna Finos). Da ultimo, nel 2020, «in Last Words di Jonathan Nossiter, favola ecologista tra poesia e apocalisse sugli ultimi sopravvissuti nell’anno 2085, interpreta il solitario Shakespeare, 124 anni e la voglia di andarsene dal pianeta sterile e senza più energia guardando i capolavori del cinema alla Cineteca di Bologna. “Solo che non puoi decidere tu quando far arrivare la morte. E così annaspa. Ritrova, suo malgrado, uno scopo quando incontra Kal, un giovane africano a cui insegna a usare la macchina da presa per ritrarre, ultimo cineasta, quel che resta dell’umanità”. […] “È passata l’era in cui lottavo per il successo. Non ho nessun traguardo materiale da raggiungere. Faccio scelte dettate dalla spiritualità, e questo è un film che parla d’amore e di spirito. […] È un film pieno di morte, ma anche di vita. Di speranza, malgrado tutto”» (Finos) • Nel 1992 vinse il suo unico Globo d’oro, come migliore attore (Il principe delle maree), nonché il premio all’uomo vivente più sexy, assegnatogli dalla rivista People • Dal 2016 sposato in quarte nozze con Clytie Lane. Un figlio, Brawley (1986), dalla terza moglie, Rebecca Linger (dalla quale nel 1983 aveva avuto una figlia partorita però già morta), e una, Sophie (2007), dall’attuale consorte. «A quanto pare c’è ancora chi mi sopporta. […] Sono una persona difficile da gestire, non ho mai avuto grande fortuna nelle relazioni sentimentali perché sono troppo egoista. Aveva ragione Katharine Hepburn, quando diceva che dovrebbe esserci una legge che vieti agli attori le relazioni. Siamo sempre troppo presi da noi stessi, e questo nuoce a chi ci ama, e spesso anche alla famiglia. Darei la vita per mia figlia, ma la passerei più volentieri a teatro» • Nel 1999, durante la LXXI cerimonia degli Oscar, fu tra coloro che in platea rimasero ostentatamente seduti a braccia conserte al momento della consegna del premio alla carriera a Elia Kazan (1909-2003), per via della nota collaborazione del grande regista con la Commissione per le attività anti-americane ai tempi del cosiddetto maccartismo • «Nel 1965 Nolte è stato arrestato per la prima volta, per aver venduto documenti contraffatti: ha ricevuto una condanna a 45 anni di carcere e una multa da 75 mila dollari, ma la pena è stata sospesa. Non è stato il suo unico guaio con la legge: nel 2002 è stato arrestato a Malibu per guida in stato di ebbrezza ed è stato condannato a tre anni di libertà vigilata con l’obbligo di frequentare incontri su alcool e droga e sottoporsi a controlli casuali. In seguito è entrato in una struttura di riabilitazione nel Connecticut, e da allora è pulito (nella sua autobiografia Rebel: My Life Outside the Lines l’attore svela di aver fatto uso di alcool e droghe per anni)» (Ascione) • «Ho amato molto, sono stato amato. Ho vissuto tante vite, non tutte meravigliose. […] In compagnia di alcol e droghe si può essere soli. Molto soli. […] Non vado fiero delle foto segnaletiche dopo i miei arresti, ma eccomi qui. Sano e ripulito, spero» • «Sul set di Inviati molto speciali (1994) non è corso buon sangue tra Julia Roberts e Nick Nolte: i due hanno litigato durante tutta la lavorazione del film. Lei ha fatto di tutto per evitare di girare scene di baci (nel film ce n’è soltanto una), e le sequenze in cui comparivano entrambi sono state girate separatamente. A posteriori, al New York Times, Julia ha definito l’attore “un essere disgustoso: sembra faccia di tutto e apposta per essere repellente”. A sua volta. Nolte ha commentato: “Non è bello chiamare qualcuno ‘disgustoso’. Ma Julia Roberts non è una brava persona, lo sanno tutti”» (Ascione) • «Oltre al cinema ho molti altri interessi: la scultura, la pittura, le stelle da osservare al telescopio. Ma mi sento solo se non sono su un set» • Ha dichiarato di piangere spesso. «Se vedo un animale ucciso sul ciglio della strada, se in una notte senza nuvole osservo con il telescopio il cielo sopra il Pacifico, se accarezzo una scultura che ho appena comprato. Credo negli uomini che sanno piangere, anche per compassione di se stessi o per la bellezza che ci circonda» • «Alto, massiccio, lineamenti duri, occhi chiari e freddi» (Canova) • «Uno dei più carismatici attori hollywoodiani» (Alessandra Levantesi Kezich). «È diventato uno dei grandi, ma lo ha fatto senza clamore, quasi impercettibilmente» (Sarah Gristwood) • Da giovane rifiutò di interpretare Superman. «“Lo faccio se me lo lasciate recitare come uno schizofrenico”, disse, e gli risposero di no» (Lietta Tornabuoni) • «La preparazione di un personaggio è fondamentale per Nolte. “Il divertimento di questo lavoro è la ricerca. Come fossi un giornalista, mi piace entrare nelle sfumature dei comportamenti umani”» (Fusco). «Quando ad esempio ha prestato il volto a un eroinomane in Triplo gioco (2002), ha fatto realmente uso di eroina per otto settimane, e ha davvero mangiato cibo per cani mentre vestiva i panni del senzatetto Jerry Baskin in Su e giù per Beverly Hills (1986)» (Ascione). Per questo stesso ruolo, inoltre, «ha dormito su grate riscaldanti e non ha fatto il bagno per settimane» (De Vries). «Nick si immerge in un ruolo con una sorta di ferocia, senza preoccuparsi di come potrà reagire il pubblico. È davvero ammirevole. Nick e un uomo complesso, pieno di dolore, di rabbia, di dolcezza ed enormemente vulnerabile» (Barbra Streisand) • «Non tutti gli equipaggiamenti emotivi sono uguali. Nolte è in grado di accedere alle sue stesse profondità, e quello che ottieni quando vai in profondità come fa Nolte sono le cose brutte, le cose di cui ti vergogni, il comportamento che speri che nessuno veda mai. Gli attori hanno bisogno di empatia per poter interpretare personaggi diversi. Ma c’è una differenza tra empatia e identificazione. Con l’empatia, c’è ancora una certa distanza. Con l’identificazione, non ce n’è. Nolte lavora a partire dall’identificazione. […] Pur brizzolato e martoriato dall’esperienza, la capacità emotiva di Nolte rimane gigantesca. Penso che ciò sia dovuto non solo alla sua familiarità con il rimpianto, ma anche alla sua volontà di convivere col rimpianto, di provare la vergogna e il disprezzo di sé che l’accompagnano, e poi farceli vedere» (O’Malley) • «È difficile spiegare che tipo di percorso artistico è la recitazione: è usare se stessi come un pennello. E col tempo si impara ad avere un tocco diverso, a seconda dell’occasione». «Ho detto no a Spielberg e a Coppola perché non mi convincevano i personaggi che mi avevano proposto. D’altra parte, finché avrò la possibilità di scegliere, lo farò: è il mio modo di mantenermi libero» • «Non guardo mai i miei film. Un attore deve limitarsi a “sentire” le storie durante le riprese, mentre le gira. Ma a che serve rivedersi? Se ha sbagliato qualcosa non c’è niente che possa fare, si può soltanto stare male. Se hai fatto bene, saranno gli altri a dirtelo».