Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 08 Martedì calendario

Biografia di Ernesto Colnago

Ernesto Colnago, nato a Cambiago (Milano) il 9 febbraio 1932 (90 anni). Imprenditore. Fondatore dell’omonima casa produttrice di biciclette. «Non è solo meccanico, telaista, industriale: è creatore, sacerdote, profeta, è testimone, ministro, ambasciatore, è eroe, mito, leggenda. È una via di mezzo fra Eta Beta e mastro Geppetto, Vulcano ed Eolo, Galileo ed Einstein».» [Marco Pastonesi, in il maestro e la bicicletta, 66th and 2nd]. Le sue bici hanno vinto 61 campionati del mondo, 11 olimpiadi, 18 coppe del mondo, 21 grandi corse a tappe.
Titoli di testa «Se la strada è scuola di vita, la bicicletta ne è maestra. E io, dopo tanta strada e tante bici, tirando di lima e ferro di saldatura, ho una storia da raccontare. La mia».
Vita I genitori, Antonio ed Elvira, erano contadini. Ernesto impara a mungere le vacche con il papà • Ha mai disubbidito ai suoi genitori? «Per fortuna, sì. Volevano che continuassi a fare il contadino. Con le bici non si guadagna, mi dicevano» [a Riccardo Bruno, CdS] • Così, a 12 anni, per imparare il mestiere, i genitori lo spediscono nell’officina del Dante Fumagalli. Pagano le lezioni con due chili di farina alla settimana • Primo impiego alla Gloria, a Milano in viale Abruzzi, civico 42. Ha 13 anni, falsifica la data di nascita perché l’età minima è 14, ma nessuno se ne accorge: indossa un cappottone militare d’uno zio tornato dal fronte russo: «Mi ricordo che iniziai il 25 novembre, nevicava. Lì lavoravano anche Ernesto Formenti, che poi divenne campione olimpico di boxe, e Gian Maria Volonté, che era figlio dei custodi del palazzo accanto» [a Bruno, cit.] • «Mi hanno affidato ad un tecnico che saldava i telai. Io dovevo essere sempre concentrato sul lavoro: una volta che mi sono distratto, per richiamarmi all’ordine, mi ha indirizzato il getto della fiamma ossidrica sulla mano. Ho imparato subito la lezione» [a Gianfranco Josti, Cds] • «Le medie le ho fatte alla scuola serale. Eravamo in tre. Uno è diventato medico, l’altro ingegnere, io ho finito lì» • Ciclista dilettante, dopo una quindicina di vittorie, alla Milano- Busseto del 1951, cade nella volata a ranghi compatti, si frattura una gamba e addio agonismo: «Dovetti stare fermo per 60 giorni. Nel frattempo ero diventato capo reparto alla Gloria, così chiesi al mio titolare, che si chiamava Alfredo Focesi, di farmi arrivare a casa un po’ di ruote da montare, almeno avrei guadagnato qualcosa mentre ero fermo. Mi resi conto che lavorando da casa ero più veloce, mi venne l’idea di mettermi in proprio. Presi una piccola officina che misurava cinque metri per cinque e chiesi a Focesi di passarmi del lavoro, ma invece di denaro chiesi di essere pagato con del materiale che mi sarebbe servito per riparare le bici dei contadini e di qualche corridore. Focesi mi disse di sì e ci accordammo per 25 biciclette a settimana. Era una bici speciale, si chiamava Garibaldina» [a Federico Vergari, MowMag] • Era il 1953, la bottega di cinque metri per cinque era al numero 10 di via Garibaldi, come banco di lavoro un gelso abbattuto e trasformato dal padre. Colnago capisce che piegando i tubi delle forcelle a freddo, si mantengono più elastici. Riesce a ottenere i risultati sperati facendo leva su due pezzi di legni fissati sul tavolo da lavoro • La prima bicicletta che ha venduto? «Non mi ricordo a chi. Il prezzo era 300 lire» [Brun, cit.] • Poi un giorno incontrò Fiorenzo Magni, il «Leone delle Fiandre». «Me lo presentò un amico, uscimmo a pedalare assieme. Lui si lamentava che da qualche giorno gli faceva male una gamba. Io guardai la sua bici e mi accorsi che la pedivella non era in asse. Gliela misi a posto, gli passò il dolore e mi offrì di seguirlo al Giro d’Italia, come vice del suo meccanico di fiducia Faliero Masi» [Ruzzo, il Giornale] • Accetta: «Io non avevo nemmeno la valigia e me ne prestò una di cartone mio cognato. Ero il meccanico più giovane del gruppo. I più grandi mi presero in simpatia. Ero coccolato» [Vergari, cit.] • «Mi ricordo che al mio primo Giro d’Italia ero sull’ammiraglia, una 1100 con un telone al posto del tetto. Stavamo salendo sul monte Penice, pioveva a dirotto, Magni ci cercava da dieci minuti ma noi non lo vedevamo. Si stava giocando la tappa e il Giro con Coppi e Bartali, quando ci vide era furibondo. Sollevò il telone e gridò: “Mi sono bagnato io, ora vi bagnate voi”. L’acqua ci arrivava ai polpacci, presi un cacciavite e bucai il pianale per farla uscire. Allora andava così, non dico che era meglio, ma sicuramente imparavi presto a crescere» [a Bruno, cit.] • Nel 1957 la prima vittoria con Gastone Nencini, al Giro d’Italia • Osservando pedalare il sedicenne Gianni Motta capisce che diventerà un campione, e decide di fornirgli bicicletta e assistenza. Motta, tra i molti successi sotto la guida di Colnago, vincerà il Giro di Lombardia nel 1964, finirà terzo al Tour de France nel ’65 e trionferà al Giro d’Italia nel 1966 • Il 19 marzo 1970 dopo la vittoria di Michele Dancelli alla Milano-Sanremo sostituì il vecchio logo dell’aquila con l’asso di fiori: «Michele Dancelli – che correva per la Molteni con biciclette Colnago – vinse la Milano-Sanremo, nel 1970. Al rientro verso Milano ci fermammo a mangiare a Laigueglia e lì trovai Bruno Raschi, il vicedirettore della Gazzetta dello Sport che stava preparando un pezzo sulla sua Olivetti. Scrisse: “Una bici in fiore a Sanremo, vince Dancelli”. Ci sedemmo a chiacchierare e mi disse: “Ma perché non registri il marchio con l’asso di fiori? Ti porterà fortuna…”. Gli diedi retta ed eccoci qui. Oggi davanti a un asso di fiori ci sono buone possibilità che in giro per il mondo pensino a una mia bicicletta» [a Vergari, cit.] • Ai tempi di Merckx, re Leopoldo del Belgio lo chiamava «il Ferrari delle due ruote», per Gianni Brera era il «Cellini della bicicletta» • Al primo piano del suo ufficio c’è un museo. In mostra la foto di Giovanni Paolo II in sella a una Colnago: «“Mi emoziono ancora adesso a raccontare quella mattina. Era l’agosto del 1979 quando andai con mia moglie a trovarlo. Sapevo che era uno sportivo e che amava le biciclette da corsa, quindi ne costruii una laminata in oro proprio per lui. Mi ricevette subito e quando gliela consegnai in piazza San Pietro mi ringraziò con la semplicità dei grandi. Mi spiegò che era abituato ad usarla perché quando era a Cracovia pedalava per 45 chilometri almeno due volte la settimana. ‘Certo - mi disse poi - oggi non è che posso girare per Roma in bici da corsa. Forse sarebbe più semplice a Castel Gandolfo, magari con un modello sportivo...’”. Così torna in bottega e nel giro di qualche giorno è di nuovo a Roma con una fiammante sportiva per il Pontefice. “In realtà – ricorda - era da corsa anche quella solo che gli avevamo montato un manubrio un po’ più comodo e gli avevamo scelto un colore beige che mi sembrava fosse più adatto con la sua veste”» [Ruzzo, Il Giornale] • Nel 1980 capisce che la collaborazione tecnica e commerciale con l’Unione Sovietica porta un prezioso ritorno d’immagine, oltre a importanti successi, come la vittoria olimpica a Mosca nella cronometro a squadre • «Credo di aver fatto diventare professionisti tre o quattrocento atleti. Ancora oggi mi ringraziano. Anni fa, durante una fiera a Colonia, mi avvicinò Viktor Kapitonov, il campione olimpico di Roma 1960 e mi disse che in Unione Sovietica tutti sognavano di gareggiare su una Colnago. Così decisi di sponsorizzare la sua squadra e di regalargli 25 biciclette. A quei tempi in Unione Sovietica non esisteva il professionismo nello sport, erano ufficialmente dei dilettanti, ma erano talentuosi. Alla fine li sponsorizzai per circa venti anni. Ho sempre dato una mano in Russia, Polonia e Germania dell’Est» [Vergari, cit.]. • Nel 1982 aderisce al progetto della famiglia Del Tongo di creare una squadra a livello mondiale, e nello stesso anno Saronni vince infatti il Campionato del Mondo a Goodwood • Del 1985 la sua biografia scritta del giornalista Rino Negri, Quando la bici è arte. Il duemila è già cominciato (Landoni). Le sue biciclette sono state usate da più di cento team professionistici, 2.500 corridori che hanno raccolto oltre 7.500 vittorie. Tra loro campioni come Merckx, Magni, Nencini, Motta, Saronni, Bugno, Freire, Museeuw, Rominger, Tonkov, Zabel e Petacchi • Merckx lo chiama alla lombarda: Padrùn • Nel 1972 per il record dell’ora in Messico Eddy ebbe una bici iperleggera (5,750 kg): «Volevo fare l’attacco del manubrio in titanio, ma in Italia non c’era nessuno capace di saldarlo. Dovetti mandarlo a Detroit e ne feci fare due, uno del dodici e uno del dodici e mezzo. Poi fui il primo a forare la catena per alleggerirla. Mi dissero che si sarebbe rotta, ma tenne come una catena normale. Introdussi i raggi in titanio. Oggi se ripenso a quel periodo credo di essere stato un po’ incosciente, ma sentivo che era la strada giusta» [Vergari, cit.]. • «Com’era il “cannibale”? “Mi ricordo che alla vigilia del campionato del mondo a Mendrisio mi chiamò: ‘Padrun, ho bisogno del suo aiuto’. Teneva le bici in albergo dentro un termosifone, per separarle una dall’altra. Tirandole, una si era danneggiata. Lavorai fino a mezzanotte. Il giorno dopo vinse davanti a Felice Gimondi. Io festeggiavo l’anniversario di matrimonio, lui lo sapeva, l’indomani si presentò a casa nostra a Cambiago con un mazzo di fiori”» [Bruno, cit.] • Nel 1986 Colnago decide che per le sue bici è arrivato il momento di puntare sul carbonio, una lega leggera però resistente, che già fa la differenza nella Formula Uno. Nel ciclismo non ci ha ancora pensato nessuno, sarebbe una rivoluzione. E per farla serve un altro rivoluzionario come il Drake: «Quando lo incontrai nel suo studio a Maranello ero un po’ in soggezione – ricorda - Cercavo di non farmi sfuggire parole brianzole, ma a un certo punto fu Ferrari stesso che cominciò a parlare in dialetto milanese: “Ho lavorato 40 anni all’Alfa - mi disse - e questa era la lingua ufficiale...”. Così gli spiegai cosa avevo in testa e cosa volevo fare e ci intendemmo al volo. “La bici in carbonio è una grande idea e la facciamo insieme”, mi disse. E oggi il carbonio lo fanno tutti, anche se le differenze ci sono» [Ruzzo, cit.] • «Fu Ferrari a dirmi che la forcella per ammortizzare doveva essere dritta. Io avevo dei dubbi, ma lui durante un pranzo a Maranello mi fece cambiare idea. Anche in quel caso ci derisero in molti e anche in quel caso alla fine avevamo ragione noi. La collaborazione con la Ferrari e la realizzazione della Ferrari Colnago è una delle cose di cui vado più fiero» [Vergari, cit.] • «Nel 1995 le prime bici in carbonio di Colnago debuttano alla Parigi-Roubaix, l’inferno del Nord tra fango e pavé: “La sera prima della gara ricevo la telefonata di un preoccupatissimo Giorgio Squinzi, patron della Mapei e poi presidente di Confindustria: “Ernesto - mi dice - ma sei proprio sicuro che domani dobbiamo correre con le bici in carbonio? Qui dicono tutti che si rompono, che non arriviamo al traguardo”. Passai una notte insonne. Tornai giù in officina a controllare e ricontrollare non so neanche cosa e restai tutto il pomeriggio incollato alla tv. Quando vidi Franco Ballerini uscire da una nuvola di polvere che andava solo verso il velodromo ero l’uomo più felice del mondo”. Che poi diventò un’abitudine perché nella gara più epica del ciclismo Colnago e la Mapei vincono altre 4 volte e scrivono un pezzetto di leggenda» [ibid.] • «Adesso tutti vogliono il carbonio, ma pochi sanno che è come il vino: è nero, ma non è tutto uguale» [Bruno, cit.] • Poi l’intuizione dei freni a disco: «È stato lei il primo a intuire che potevano andare bene su una bici da corsa. “Sicuramente danno una sicurezza maggiore nella frenata. Però è giusto che li usino tutti, oppure nessuno”» [Bruno, cit] • «La sua fabbrica produce ogni anno 14-15 mila pezzi. Esporta in 40 paesi con mercati faro come Italia, Stati Uniti e Giappone per un fatturato di 23 milioni di euro (2019). La famiglia (il fratello Paolo, la figlia Anna, il genero Giovanni e il giovane nipote Alessandro) lavora a tempo pieno nella ditta insieme con 25 operai specializzati. “Inoltre abbiamo una compartecipazione in un’azienda in Toscana che provvede alla verniciatura e una a Cambiago dove si saldano i telai” dice Ernesto Colnago» [Gianfranco Josti, CdS] • «Paradossalmente vendiamo meglio i modelli da oltre 10 mila euro che non quelli da tremila […]. abbiamo debuttato nel segmento e-bike con la bici elettrica e64, prezzo al pubblico 4.950 euro. Può essere collegata a una app. Il mercato va in questa direzione» (Alessandro Tucci, responsabile marketing) • «Il mondo bisogna capirlo e seguirlo. Non bisogna esaltarsi, ma neanche deprimersi. E bisogna continuare a pedalare. La bicicletta insegna a tenere duro. Un consiglio per tutti? Fare le cose con amore, con passione e pazienza» [a Pastonesi, cit.] • A 81 anni pedala chilometri: «È appena tornato da Cortina, in vacanza, appuntamento quotidiano con la sua mountain bike. “Anche sotto la pioggia. Arrivo fino a Cimabanche, 15 chilometri di leggere salite sul percorso del vecchio trenino. Una sosta con una tazza di tè e una fetta di strudel. Si incontra tanta bella gente”» [a Bruno Riccardo, CdS] • Per i suoi 87 anni, festeggiati a Londra, si è concesso il lusso di costruire e portare la «87», un pezzo unico. Una bici vecchio stile, laminata in un bagno d’oro a 24 carati. Messa in vendita a 50 mila euro (cinque volte il prezzo di un modello di altissima gamma) ha immediatamente trovato un acquirente: «La bici – spiega Colnago avvolto in un’aura da guru del suo mondo – è un triangolo di metallo con due ruote che puoi mettere assieme in un numero infinito di modi. Quello che fa la differenza tra le nostre e il modello industriale, anche di alta gamma, è l’amore che ci metti dentro, è la storia, è Eddy Merckx che a fine carriera è venuto a fare apprendistato da saldatore nella mia bottega, sono le mille corse che ho seguito in ammiraglia tifando i corridori. Il mio made in Italy nasce da cuore, polvere, fango, cadute. E milioni di chilometri pedalati» [a Marco Bonarrigo, CdS] • Nel 2020, con una bici marchiata Colnago, Pogacar ha vinto il Tour de France: «Io ho vinto decine di Mondiali, classiche a valanga con la Mapei, Eddy, Saronni. Ho visto cambiare il ciclismo e le mie biciclette sono cambiate. Poi arriva questo ragazzo e in un pomeriggio ti fa capire che dalla vita ci si deve sempre aspettare qualcosa di nuovo e di più bello. Anche a 88 anni» [a Cosimo Cito, Rep] • È la prima volta che una Colnago vince il Tour. O forse no. Lo aveva già vinto nel 1972 con Merckx: «Era una mia bici, era mio il telaio, ma era marchiata Eddy Merckx. Non c’era il nome Colnago, non c’era il mio asso di fiori. Ma Eddy pedalava su una mia idea» [a Cosimo Cito, cit.] • Sempre nel 2020 quote di maggioranza della storica azienda ciclistica italiana Colnago sono state vendute a un fondo di Abu Dhabi, Chimera Investments, per una cifra non comunicata. L’acquisizione rientra nei piani di espansione nel settore del fondo già proprietario della squadra Uae Team Emirates, di cui l’azienda lombarda è fornitrice. Ernesto Colnago, che ora ha mantenuto una piccola percentuale di quote, rimane a capo della produzione. «Oggi la mia creatura, riconosciuta nel mondo, è di proprietà di un Fondo di investimento mondiale, ma la storicità, la memoria e la tradizione di quello che ho costruito in settant’anni di lavoro resteranno custodite e continueranno a vivere nel Museo che è nelle mani di un Colnago, mio nipote Alessandro Brambilla Colnago • Nel 2021 le Nazioni Unite premiano con il #WorldBicycleDay Ernesto Colnago per la sua attività di promozione e sviluppo delle due ruote e dei loro valori • Ogni giorno va in ufficio alle 7: «Dormo poco, cinque ore a notte. Sono qui tutti i giorni, da lunedì a venerdì fino alle 6 di sera. Sabato mezza giornata, il pomeriggio e la domenica mi annoio, non so cosa fare» [Bruno, cit.].
Politica Le hanno mai chiesto di entrare in politica? «Una volta mi proposero di fare il sindaco del mio paese». Perché ha rifiutato? «A me piace dire la verità alla gente».
Amori Nel 1956 sposa Vincenzina Ronchi (morta nel 2017): «Siamo stati sposati per sessant’anni. È stata una donna straordinaria, mi ha dato i consigli giusti restando sempre un passo indietro. Se ho realizzato tutto questo è anche grazie alla sua presenza, la metà appartiene a lei» [Bruno, cit.].
Titoli di coda «Ha fatto più lui per il made in Italy di tanti spacciatori di mutande» (Gianni Mura).