23 febbraio 2022
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Biografia di Renata Scotto
Renata Scotto, nata a Savona il 24 febbraio 1934 (88 anni). Soprano. Grande interprete del Belcanto.
Titoli di testa «Una cantante deve conoscere i propri limiti. Ma per superarli, non per adagiarvisi».
Vita Figlia di un vigile urbano e di una sarta: «Due persone semplici, ma dotate di grande sensibilità musicale» • «A sette anni, per via della guerra, sfollammo a Tovo San Giacomo. Mio padre, vigile urbano, restò a Savona. Con la mamma andammo in questo paesino non lontano da Pietra Ligure. Agli occhi di una bambina il mondo appariva liberato dalla schiavitù del reale. Si trasformava in un suono che avrei dovuto solo avere il coraggio di afferrare. Nonostante la durezza dei giorni mi sentivo parte di un’armonia. È lì, forse inconsciamente, decisi che avrei cantato» [ad Antonio Gnoli, Rep] • «A 13 anni andai via da Savona. Mi trasferii a Milano. In famiglia erano stupiti e orgogliosi della mia bellissima voce. Un dono da curare prima che fosse troppo tardi. Lo zio, marinaio di professione, comprese esattamente che per sbocciare avrei dovuto essere guidata da un’insegnante seria. Non bastavano quei pochi esercizi fatti con una maestra improvvisata. Perciò fui spedita a Milano. Ero impaurita, lontana dal mio mondo. Ma anche attratta da un futuro che mi appariva incerto, eppure promettente» [Gnoli, cit.] • Il padre quando giocava a carte con gli amici le chiedeva di salire sul tavolo e cantare per loro» [SexXIX] ma lo «zio mi portava in barca con lui per ascoltarmi mentre tirava su dei pesci enormi. È stato lui ad aiutarmi finanziariamente a intraprendere gli studi e ad avermi portato per la prima volta all’Opera a sentire Il Rigoletto: è stato il mio primo sponsor» [a Emilia Costantini, CdS] • «Quando mi presentai alla mia prima audizione a Milano ero molto piccola e il maestro, vedendomi, disse sprezzante: “Non insegno canto ai bambini” e mi voltò le spalle. Io tirai fuori le unghie: cominciai a cantare e lui fu costretto a girarsi e a guardarmi come un fenomeno. Avevo capito da subito che avrei fatto la cantante e tutti i momenti erano buoni per esibirmi. La finestra della mia camera fu il mio primo palcoscenico: mi affacciavo e cantavo... in strada si formava un capannello di spettatori» [Costantini, cit.] • A Milano vivevo in un convento di suore. «Certe mattine erano particolarmente dure. Sveglia all’alba, la messa. Le lezioni. E finalmente la Scala. Tutte le domeniche pomeriggio ero lì. Seguivo il programma musicale. Fu un apprendistato. Poi venne l’audizione con un maestro vero. E a 18 anni contro ogni previsione il debutto con Traviata a Savona. Fu un successo troppo repentino. Non ero tecnicamente pronta. La natura mi aveva dotato di una bella voce. Ma andava curata. Migliorata. Arricchita. Alfredo Kraus, del quale ero diventata amica, mi portò dalla sua maestra, Mercedes Llopart. Fioccavano le offerte di lavoro. Ma preferii riprendere gli studi. Perfezionarmi nel Belcanto» [Gnoli, cit.] • L’anno successivo, il 1953, debutta alla Scala (il 7 dicembre, in apertura di stagione) nella Wally di Catalani, accanto a Renata Tebaldi e Mario Del Monaco: fu un grande successo personale, con quindici chiamate al proscenio: il doppio della protagonista e del grande tenore • È un soprano, con una estensione di tre ottave «che per un lungo periodo ho usato con un repertorio fisso. Senza lanciarmi nel verismo o nel drammatico. Cantavo Lucia di Lammermoor, l’Elisir d’amore, Rigoletto, o Madame Butterfly che pure è un’opera che può far male alla voce. Fu l’apprendistato al Belcanto» [Gnoli, cit.] • «Un direttore con cui non mi sono trovata bene fu George Prêtre. È stato un grande. Ma la grandezza si misura anche con la generosità, non solo con il talento» [Gnoli, cit.] • Nel 1957, a Edimburgo, sostituisce Maria Callas nella Sonnambula di Bellini: «Interpretavo il ruolo di Amina. Poi incidemmo un disco assieme. È difficile parlare di lei. È difficile dire cosa ho provato negli istanti in cui l’ho vista la prima volta. Io studentessa, lei già artista grandissima. Ricordo che pensai alla consistenza inattesa di una forma sospesa nell’aria. Sono stata sua grande ammiratrice. Viveva a una distanza incolmabile da tutto. E la donna, non l’artista, forse ne risentì» [Gnoli, cit.] • Renata Scotto, «una miracolosa gola di primadonna, che pare riscopra una Lammermoor come non era mai stata sospettata prima d’ora, quindi la ricrea dal di dentro in chiave psicologica oltre che musicale». Un soprano capace di padroneggiare una parte tecnicamente trascendentale e di «fondere il calore d’un personaggio che ama fino alla demenza e alla morte, nella spiritualità casta, quasi infantile, d’una creatura assolutamente angelica» [CdS, 1967] • «Non ho avuto feeling con Mario Del Monaco. A Giuseppe Di Stefano una volta rifilai una sberla: durante un duetto de L’elisir d’amore di Donizetti, lui invece di cantare si spostò in fondo alla scena a mangiare una mela. Io guardai il direttore, chiedendogli con lo sguardo “che faccio, continuo da sola?”, continuai da sola. Ma nella scena seguente, Di Stefano torna alla ribalta e nel momento in cui il mio personaggio, Adina, doveva dargli un buffetto sulla guancia, gli allentai un sonoro schiaffo» [Costantini, cit.] • Nel 1972 arriva l’America: «Per la prima volta dopo molto tempo mi sentii libera. Libera dal non poter decidere il repertorio. Dal subire quei direttori artistici che mi assegnavano certi ruoli e certe opere dicendomi: questo lo puoi cantare e quest’altro no. Uno sfinimento. Sentivo che la mia voce era pronta. Matura. Ricordo l’incoraggiamento e l’aiuto di Gavazzeni quando affrontai, con I Vespri, il Verdi drammatico, e poco dopo Bellini con Il Pirata, opera difficilissima da cantare. D’altronde Bellini era soprattutto Norma, che è un modello insuperabile di bellezza» [Gnoli, cit.] • Nel ruolo di Elena nei Vespri siciliani, viene fischiata da un gruppo di melomani che inneggiavano a Maria Callas, presente in sala: «Un profondo dolore: l’opera è molto difficile. La divina Callas, che ero la prima ad ammirare, applaudì e mi mandò fiori in camerino» [Costanti, cit.] • Nel 1975 si trasferisce a New York: «Non furono, all’inizio, anni facili. L’integrazione fu lenta e dolorosa. L’America non accettava a cuor leggero noi italiani. Eravamo necessari. Forse i migliori nell’ambito operistico, ma nella vita normale accolti con sospetto e pregiudizio» [Gnoli, cit.] • «Ebbi anche la fortuna di incontrare James Levine. Ho avuto con lui, che ha diretto a lungo il Metropolitan Opera di New York, un rapporto eccezionale. Mi ha liberato dall’Italia e dai suoi fantasmi. Ho imparato grazie al suo talento a pensare e agire con la mia testa. Ricordo che il leggendario Rudolf Bing, manager del Metropolitan, voleva che facessi sempre Butterfly. E fammi fare qualcosa di diverso e di nuovo, gli sbottati una volta in faccia. Sono stata fortunata. Ho vinto due Emmy Award e, unica italiana, il premio “Met Legends”» [Gnoli, cit.] • Quale ritiene sia la sua migliore incisione? «Se devo parlare come popolarità, come indice di gradimento direi la Butterfly, senz’altro. Dirigeva il grandissimo direttore John Barbirolli. Come esecuzione invece direi La Traviata che ho inciso con la Deutsche Grammophon e anche un Rigoletto, ne ho fatti due, uno con la Deutsche l’altro con la Ricordi» [Mario Fedrigo, 1976] • «Un soprano lirico-leggero, ma è stata una delle rarissime voci che hanno superato lo scoglio del canto moderno senza naufragare. E perché? Perché la tecnica, ci piaccia o meno, ha saputo fruire di certe astuzie e accorgimenti, perché il timbro, che mai era stato sguaiato, si è naturalmente rimpolpato e perché, soprattutto, la lezione della Callas fu dapprima imitata, ma poi totalmente assorbita in una nuova personalità…Ciò che la cantante ha forse perso in freschezza ha guadagnato in fraseggio che è di un’autorità indiscutibile, di quelle autorità che competono solo alle massime… La Scotto mantiene i suoi “piani” e “pianissimi” di grande suggestione e di intensissima espressività…anche i giovani dovrebbero guardare proprio alla Scotto e alla Freni per imparare a far sviluppare la loro voce. Si accetti anche una grande lezione di canto» [Angelo Sguerzi nel suo volume Le stirpi canore, 1978] • Memorabile la Bohème del 1977 accanto a Luciano Pavarotti con James Levine sul podio • «Certe volte mi soffermo a pensare ai vecchi amici. A chi c’è ancora come Riccardo Muti, straordinario e meraviglioso interprete, o chi è scomparso. Come Claudio Abbado e Luciano Pavarotti. Ricordo certe serate dopo lo spettacolo. Una cena rapida e poi seduti attorno a un tavolo da poker. Luciano amava il gioco. Claudio si divertiva. E io, in mezzo a loro, mi trovavo benissimo. Spesso come quarto c’era mio marito. Era buffo vedere la mole di Pavarotti che si agitava nella poltrona rinforzata. Le carte inghiottite tra le sue mani. Le perle di sudore sulla fronte. Abbado conservava una freddezza ironica. Lieve. Apparentemente distratta. Non giocavamo grandi cifre. Era il piacere di provare un’emozione diversa. Di attesa per chi avrebbe avuto la meglio. Li ripenso con gratitudine e sorpresa. Ci sembrava di essere tornati ragazzi. Sconsiderati e felici. Di stare su una scena che non avremmo desiderato abbandonare. Il poker aveva cancellato il senso del tempo. E noi facevamo parte di quell’abbandono» [Gnoli, cit.] • Dalla seconda metà degli anni Ottanta si dedica anche alla regia d’opera. Tiene corsi di perfezionamento e seminari in Italia (nel 1997 ha fondato ad Albissola l’Accademia operistica Renata Scotto), in Svizzera, in Giappone e a New York
Curiosità Vive in America, un po’ fuori Manhattan: «Un tempo abitavamo a Park Avenue. Bello, certo. Ma caotico. Ho bisogno di quiete. Qui a Spotorno, non lontano da Savona dove sono nata, vengo volentieri, un paio di mesi l’anno. Ma dopo un po’ l’America mi manca» [Gnoli, cit.] • L’inverno lo passa in Florida dove fa più caldo • «Ho sempre condotto due vite distinte: l’artista e la donna. Non ho mai confuso le due dimensioni. E oggi resta la donna che a volte insegna, consiglia ma va tranquillamente al supermercato a fare la spesa, o stira e cucina a casa. Non ho nelle mie abitazioni quasi nulla che mi rimanda al mio lavoro. Non appendo foto né esibisco oggetti» [Gnoli, cit.] • «Mi piace il jazz, quello americano di New Orleans o di Benny Goodman o di Duke Ellington. Quando ho tempo ascolto questo, oltre alla musica classica» [Fedrigo, cit.].
Amori Sposata con Lorenzo Anselmi. «Un vecchio signore in calzoncini. È stato un eccellente violinista che ha scelto a un certo punto un’altra strada. Penso che dietro ogni grande donna ci siano a volte uomini discreti e silenziosi. Pronti a sacrificarsi. “Siamo sposati da 55 anni e non ho mai fatto un passo senza prima consigliarmi con quest’uomo”, dice la Renata» [Gnoli, cit.] • Si conobbero a teatro: «Io in palcoscenico, lui in buca d’orchestra: ogni tanto ci lanciavamo un’occhiata». Galeotto fu lo Stabat Mater di Dvořák: «Durante le prove cominciammo a parlare, a conoscerci. Ci fidanzammo e l’anno dopo ci sposammo» [Costantini, cit.] • Hanno due figli, Laura e Filippo, che però non cantano né suonano. «Laura si occupa di finanza e non ama troppo la musica: forse per quel po’ di gelosia che deve aver vissuto da piccola quando il mio lavoro mi allontanava da casa. Filippo fa il manager di cantanti, è rimasto nell’ambiente. D’altronde, mio marito ed io abbiamo deciso di diventare genitori dopo quasi dieci anni di matrimonio. E dopo la nascita dei bambini, lui ha sacrificato la sua carriera artistica per stare appresso alla mia. Per me è stato fondamentale avere un compagno musicista: con lui ho scelto il mio repertorio» [Costantini, cit.] • Dice di essere sempre stata fedele: «Ma certamente i miei amanti sulla scena li ho amati sul serio: quando ci si immedesima in un personaggio si diventa quel personaggio» [Costantini, cit.].
Religione Lei crede? «Fermamente. Gli anni trascorsi in convento e l’educazione, per quanto possa essere stata discutibile, hanno lasciato una traccia indelebile. Mi dico: chi sono io per poterla rimuovere?» [Gnoli, cit.].
Titoli di coda «L’infanzia e la giovinezza creano un ordine ferreo delle cose, difficile da trasgredire o rompere».