28 febbraio 2022
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Biografia di Rino Formica (Salvatore Formica)
Rino Formica (Salvatore Formica), nato a Bari il 1° marzo 1927 (95 anni). Politico (Partito socialista italiano). Ex ministro dei Trasporti (1980-1981), delle Finanze (1981-1982, 1989-1992), del Commercio con l’estero (1986-1987) e del Lavoro e della Previdenza sociale (1987-1989). Ex senatore (1968-1972, 1979-1983) e deputato (1983-1994). «Vendicarsi poco, perdonare molto, dimenticare mai» • «Figlio di un ferroviere antifascista» (Fabio Martini). «Lei è stato ragazzo, a Bari, durante il fascismo. “Anticipai la licenza liceale: bisognava accelerare. S’intravedeva già nel ’42 la fine del fascismo: la preoccupazione era capire che cosa sarebbe successo dopo. Ebbi la fortuna, nel liceo scientifico che frequentavo, di avere professori molto bravi, tra cui l’antifascista Ernesto De Martino. E un professore di religione che fu poi l’ispiratore spirituale di Aldo Moro, monsignor Mincuzzi. Ricordo che nel 1942 portai a scuola un opuscolo delle edizioni Avanti (il programma dei comunisti di Bakunin). Lo avevo trovato nella libreria di mio padre. Il professore di tedesco, un fascista critico, trovò il libro, e con fare paterno mi disse: ‘Guarda che te lo devo sequestrare’. Ma, dopo avermi dato uno scappellotto, mi disse: ‘Ti segnalerò al professore di religione’”. Che c’entrava il professore di religione? “Mincuzzi aveva il compito di tutelare i dissidenti. E fu così che dopo l’ora di religione mi chiamò e mi disse ‘Ma che fai, il comunista?’, e io: ‘Veramente mio padre è socialista e repubblicano’. Mincuzzi mi invitò in arcivescovado, dove incontrai un giovane professore, Aldo Moro: mi fece una lezioncina spiegandomi che era giunto, sì, il momento per una scelta politica, ma non doveva essere di partito. Dovevamo orientarci per una svolta istituzionale. Ma non avrei seguito questo consiglio: successivamente aderii al Partito socialista. Non fu facile, perché, quando il 18 novembre 1943 mi presentai alla sezione del partito in via Andrea da Bari, non trovai disponibilità all’accoglimento. Ebbi un primo scontro con il Collegio dei probiviri. […] Dissi che mio padre era ferroviere, le obiezioni caddero: due dei tre probiviri erano ferrovieri!”» (Silvia Truzzi). «Nel ’43-’44 assumo la segreteria provinciale della Federazione giovanile socialista, e alla liberazione di Roma, nel ’44, sono chiamato a Roma da Matteo Matteotti. Nel luglio del ’45, con il Congresso costitutivo della Federazione giovanile socialista, entro nel ristrettissimo esecutivo nazionale. Avevo 18 anni. M’iscrivo a Ingegneria. Ma nell’ottobre 1945 Rodolfo Morandi, vicesegretario nazionale del partito, convocò la segreteria della Federazione giovanile, che aveva una linea ostile, da sinistra, a quella del partito e di Nenni. Prendendola alla larga, ci disse: “Voi personalizzate troppo; non riuscirete mai a fare vera e giusta politica. La politica è una missione, dove si deve usare il noi e non l’io”. Queste parole aprirono tra noi giovani una lunga riflessione al limite del “religioso” sulla funzione della politica nella nostra vita. Una scelta di vita coerente poteva essere vissuta solo con il massimo della spersonalizzazione: allora ci convincemmo che la personalizzazione nella politica è una forma degenerativa che distrugge gli ideali. A questa convinzione, che nacque sul filo del ragionamento di Morandi, la mia generazione è rimasta fedele. […] Morandi terminò così il ragionamento: “Per una buona politica non è sufficiente la spersonalizzazione: bisogna studiare in funzione della missione politica, se ci credete. Se non ci credete, lasciate la politica”. Fu così che cambiai facoltà e mi iscrissi a Economia e Commercio: si trattava di materie più aderenti alla missione politica». «Nel 1944 ebbi la fortuna di conoscere Benedetto Croce nella villa dell’ingegner Laterza sulla via di Carbonara. Noi giovani socialisti e azionisti non facemmo domande e ascoltammo Croce che disquisiva sul futuro dell’Italia». «Di tutti i congressi battagliati, a Formica ne restano nel cuore due: quello al Planetario (1945) e quello di Firenze, aprile ’46, dove il Partito socialista uscì da vent’anni d’attività clandestina» (Francesco Battistini). «Il 2 giugno del 1946 si votava per il referendum Monarchia-Repubblica, ma anche per i partiti. Ricordo quelle ore: ci fu straordinaria passione popolare per la scelta istituzionale, persino più che per i partiti appena rinati. C’era un popolo che, scegliendo una nuova forma di Stato, condannava il passato e scommetteva sul proprio futuro». «Il giovane Formica nasce trotzkista: favorevole all’ingresso dei rivoluzionari nei grandi partiti riformisti, il cosiddetto entrismo, per poi trasformarli dall’interno» (Battistini). «Ho una tormentata esperienza dei movimenti politici socialisti. Partecipo a tutte le scissioni: Palazzo Barberini nel ’47, la lacerazione del Psli nel ’48, la costituzione del Psu nel ’49, la formazione di Cucchi e Magnani nel ’50, il ritorno nei socialdemocratici nel ’52, la scissione del Mup nel ’59, e dal ’60 partecipo a tutte le battaglie autonomiste riformiste del Psi sino al 1994». «Formica è uno che dagli anni ’60 in avanti ha fatto di tutto – consigliere, assessore, vice sindaco, segretario amministrativo, vice segretario politico, deputato, senatore, ministro delle Finanze, del Lavoro, dei Trasporti, del Commercio estero –, […] eppure ha preferito sempre contare più nel partito che nel governo: “Per la nostra generazione, essere nelle istituzioni era solo un momento della vita politica. Potevi aderire a un partito e fottertene, di fare il consigliere comunale: continuavi a fare la tua vita. Ti dividevi fra quello che Turati chiamava il programma minimo, la governabilità, e il programma massimo, che era una prospettiva storica, un’evasione ribellistica del futuro”. […] Nel 1976 […] il Psi è sceso sotto il minimo storico. […] Urge una svolta. […] Il comitato centrale si riunisce d’urgenza all’hotel Midas di Roma. E Giacomo Mancini, l’autonomista sostenuto dai giovani Enrico Manca e Claudio Signorile, propone l’elezione d’un quarantenne milanese, già pupillo di Nenni. Sotto sotto, Mancini e gli altri pensano sia un re travicello. Formica, trombato alle elezioni, lo conosce da una vita e sa d’avere una zattera. […] Comincia l’èra Craxi. […] Il Midas è anche la resurrezione del cinquantenne Rino, sepolto dai ras pugliesi del partito e rimesso in vita dall’amico: “Avevo conosciuto Bettino al congresso di Napoli, lui aveva 25 anni e io 32, poi c’eravamo ritrovati in Parlamento nel ’68”. Vite così parallele da sovrapporsi. […] “Il nostro rapporto è stato di grande franchezza, di reciproca stima. In quella politica si stava così: non con purezza morale, ma con purezza di sentimenti”. Un cronista parlamentare di lungo corso, Guido Quaranta, scrisse che Formica sapeva essere molto più duro di Bettino. E Lietta Tornabuoni sospettava che Craxi, più d’ogni altra cosa, temesse proprio il Lucife-Rino» (Battistini). «Il neosegretario del Midas […] gli affidò la delicatissima responsabilità dell’amministrazione, ben consapevole della sovranità limitata del Psi e quindi della necessità di affidare il tesoro del partito a compagni non solo fidatissimi ma anche particolarmente acuti, in grado di comprendere le manovre che si svolgevano intorno al partito» (Lodovico Festa). «Lo scontro duro è […] con andreottiani e demitiani, che annusano il pericolo dell’assalto socialista al Palazzo. Negli anni ’80, ci si combatte su vari fronti: dall’affare Eni-Petromin al caso Calvi, passando per la Rizzoli e la P2. Dossier, inchieste, veleni. Formica è il ventriloquo delle verità craxiane: Andreotti “il grande inquinatore”, Piccoli “il serpente”, Goria “il gianduiotto”, De Mita “pensatore dell’Irpinia, non della Magna Grecia”… Dalla Dc gli rispondono a tono: Formica “il fumettaro” (Piccoli), “un pazzo” (De Mita), “piccolo provocatore di provincia” (Cirino Pomicino)… […] Il metodo è che Rino strappi e Bettino intervenga poi a ricucire, Una volta, i due riescono a fare saltare i nervi perfino al mite Sergio Mattarella, che definirà Formica un oste da taverna. […] Al Quirinale, […] per sette anni di craxismo sedette un ex partigiano con la pipa. […] Raccontano che, dovendo Craxi nominare Formica ministro delle Finanze, il presidente si mise di traverso: non firmo. E che Craxi gli rispose: fai pure, però alzi il telefono e glielo dici tu… “Sono leggende. Pertini nei momenti istituzionali non si comportava male. Nei comportamenti diretti era, diciamo, più spontaneo”. […] Appena mettono Formica alle Finanze – uno come lui, che vuole la tassazione di Bot, Cct e utili di Borsa –, la sola notizia provoca un mezzo crollo in piazza Affari. “Non potevo avere peggior successore”, commenta acido il ministro uscente Franco Reviglio (“ma lui veniva da un alto mondo, era un torinese che per caso stava coi socialisti…”). L’immaginifico Rino ha idee che deflagrano e “non fa mai autogol per eccesso di vanità o d’esibizionismo”, ne scrive invaghito Giampiero Mughini: rende pubbliche le dichiarazioni dei redditi degli italiani; mette il sale sulla coda alle multinazionali dei tabacchi che danno “consenso attivo al contrabbando: la Philip Morris deve smetterla, di pensare che questo sia il Paese degli allocchi”; va in tv da Minoli a proporre d’assumere nella pubblica amministrazione 50 mila contrabbandieri di sigarette; chiede la testa d’un suo sottosegretario Psdi al Lavoro, Costi, perché “è un fannullone”. E, quando impone ai negozianti lo scontrino fiscale, l’occhettiano Vincenzo Visco applaude: bravo Rino, hai fatto perdere alla Dc almeno un milione di voti… “Mi prendevano in giro. Ma io facevo provvedimenti sociali. Uno dei primi fu l’abbattimento dell’imposta di registro della prima casa per i giovani sposi. Permettendo a milioni di persone di comprarsi un tetto”» (Battistini). «Quando vide che al craxismo trionfante si accodavano avventurieri interessati bollò l’Assemblea nazionale del Psi come un coacervo di “nani e ballerine”. Non è mai stato un tipo che le mandava a dire. Celebre la sua lite con un altro temperamento peperino, il dc Nino Andreatta, che causò la caduta del secondo governo Spadolini nell’82. Nino era ministro del Tesoro, Rino delle Finanze. Andreatta, che non amava Craxi, disse che il Psi faceva una politica “nazionalsocialista”. L’allusione al nazismo non piacque ovviamente a Formica, che si infuriò. Andreatta, beffardo, si giustificò dicendo che aveva usato il termine all’inglese e che intendeva invece dire “socialismo nazionale”. Rino, insoddisfatto, continuò a punzecchiare, e Andreatta reagì appiccicandogli l’etichetta di “commercialista di Bari”. La replica di Formica fu fulminea: “Andreatta? Una comare sul ballatoio”» (Giancarlo Perna). «Quando Rino lascia la segreteria amministrativa del Psi, Bettino lo sostituisce prima col fidato Giorgio Gangi, “ma ci fu una storiaccia interna, e allora Craxi, che sapeva trattarsi d’un meccanismo molto delicato, decise d’affidarsi a Vincenzo Balzamo”: l’uomo che passerà alla storia come il cassiere socialista di Tangentopoli. […] Ed è sui soldi, sui maledetti soldi che il Psi e il Paese vanno a schiantarsi: qualcosa vorrà dire, se l’èra Bettino s’apre con un partito senza una lira e si chiude con la folla che tira le monetine all’hotel Raphaël. […] “La sua debolezza è stata d’avere avuto una visione ottocentesca del finanziamento. Per lui, la cassa era come quella di Garibaldi: una cassa comune. Che doveva provvedere a risolvere i problemi immediati. La tecnica comunista di gestire i fondi, per dire, era molto più moderna. Loro dividevano tutto in compartimenti stagni…”. […] “Tangentopoli è stato un effetto, non la causa. I detonatori furono il caso Moro, Sigonella, la nostra posizione d’autonomia internazionale. Era il gioco della Guerra fredda. La politica di Craxi non era contro la Nato, ma su come si stava nella Nato: disse che, per l’articolo 11 della Costituzione, noi potevamo cedere sovranità solo in condizioni di reciprocità, cioè d’uguaglianza. Questa cosa, ce la fecero pagare…”. […] “La fine del socialismo reale portò a rivedere il compromesso tra capitalismo democratico e socialdemocrazia. E Mani pulite nacque dagli eventi del 1989”» (Battistini). «“Quando alla fine del 1993 c’era la certezza che ci sarebbe stata una sventagliata di provvedimenti coattivi, io posi il problema a Craxi: ‘Abbiamo tutti il dovere di rimanere qui. Questa vampata si spegnerà. Si tornerà ad una maggiore serenità di valutazione’”. Che cosa rispose Craxi? “‘Ad un atto ingiusto io non resisto. Io andrò via’”. Non hai cercato di convincerlo? “Gli dissi: ‘Commetti un errore gravissimo. Nei confronti della comunità che ti ha voluto bene e nei confronti di te stesso”’. Non ti ascoltò. “Craxi aveva un grande bisogno di aria, di libertà. La sola idea di essere chiuso gli sarebbe stata fatale”» (Claudio Sabelli Fioretti). «Qual è l’ultima volta che hai sentito Craxi? “Prima che partisse”. Dopo non lo hai più sentito? “Non l’ho più sentito”» (Walter Veltroni). «Massimo Pini, nella biografia di Craxi, le “rimprovera” di non essere mai andato ad Hammamet. “Non è vero: andai per i funerali”» (Concetto Vecchio). A propria volta «accusato di tangenti, Rino Formica è stato pienamente assolto 17 anni dopo: non aveva intascato nulla. Nel frattempo […] è stato ostracizzato, circondato da diffidenze, subissato di ironie. […] Aperti i procedimenti contro di lui, l’innocente Formica non è stato rieletto in Parlamento nel ’94, e da allora si è ritirato. […] Disoccupato e in attesa che la magistratura, con comodo, lo scagionasse, Rino si è riciclato in analista politico. Si è dimostrato acuto e preciso, non sfiorato dall’età. Ha collaborato alle Nuove ragioni del socialismo, rivista di Emanuele Macaluso, un ex comunista fuori dal coro. […] Ha perfino fondato un movimento, Socialismo e libertà. […] Oggi è il padre nobile degli ex Psi pugliesi e non solo» (Perna) • «Perché non ha mai voluto scrivere la sua biografia? “Un politico, i libri, li deve fare scrivere agli altri, facendo parlare i fatti”» (Vecchio) • Vedovo di Cordelia Ragone, morta l’8 novembre 1987, a 66 anni, in un incidente stradale. Due figlie, Letizia e Lelia • «Le forze reazionarie di destra in Europa o le batte il socialismo o non le batte nessuno. In Italia sono costretto a votare Pd perché è l’unica forza e l’unica lista elettorale che porta un voto alla consistenza del gruppo parlamentare socialista al Parlamento europeo» (a Giampaolo Sodano e Mario Pacelli) • «Lei è sempre ricordato per le sue fulminanti definizioni, come l’assemblea del Psi ridotta a “nani e ballerine”. “È un apprezzamento di cui mi pento se devo paragonare gli eccellenti professori universitari e gli straordinari personaggi del teatro e del cinema di ieri con i grigi amministratori delle unità sanitarie delle municipalizzate e le veline-cubiste di oggi”. […] La politica è ancora “sangue e merda”? “Purtroppo non lo è più per come lo intendevo. Sangue è passione, merda è contaminazione. Una contaminazione in cui il fine era molto più importante dello strumento. […] Siamo senza il fine. La contaminazione ha prodotto più sterco. La passione manca del tutto”» (Truzzi) • «Ministro delle Finanze immaginifico e passionale. […] Un politico sopraffino per naso ed eloquio» (Alberto Statera). «Foga da sanfedista laico che lo ha trasformato di volta in volta […] ora nel collerico vate medievale della politica, ora nel Savonarola del Psi durante la gaudente stagione dell’edonismo craxiano, ora nel prete trozkista del Fisco, nemico della Borsa, dei salotti buoni della finanza, dei ricchi in odor di evasione e in passione di Bot. Insomma, quello che un tempo si diceva una “cavallo di razza” della politica» (Massimo Giannini). «Uno degli ultimi “grandi vecchi” della politica italiana. Grande per statura politica e non per anzianità acquisita» (Umberto De Giovannangeli). «Leggere una riflessione formichiana è sempre un piacere dell’intelligenza: l’antica abitudine (trotzkista?) di partire dal “quadro internazionale” distingue ogni suo ragionamento dai chiacchiericci nostrani correnti» (Festa) • «Socialismo è oggi ancora una parola pronunciabile? “Si, è pronunciabile, ma a una condizione: che i socialisti, quelli che restano dei vecchi e quelli che, giovani, vogliono abbracciare i vecchi ideali, la smettano, di fare lunghi discorsi sulla distruzione del Partito socialista da parte dei suoi avversari, di destra e di sinistra, e comincino a ragionare sul perché nel ’92-’96 non vi fu una resistenza socialista”» (De Giovannangeli) • «La morale deve essere alla base della politica. Senza idealismo e morale la politica è solo una discussione tra mestieranti» (a Giacomo Puletti). «Ai miei tempi compito della politica non era conoscere la realtà, ma forzare il corso delle cose. Adesso si sta dietro al corso delle cose». «“Serve un pensiero nuovo. E per cercarlo bisogna tornare alla Costituente. Il vero compromesso alla base della Costituzione fu quello fra due pensatori autonomi, uno del mondo cattolico e uno del mondo laico-socialista, La Pira e Lelio Basso, che si confrontarono nella Prima sottocommissione. Fra loro vi fu un compromesso fondato su un’ideologia nuova. Che poi però fu imbrigliata dal pragmatismo politico-istituzionale, da Dossetti e Togliatti, le due chiese”. Ecco, per Formica si può ripartire da lì. “Mi dicono che l’emergenza sarà economica, che primum vivere deinde philosophari. È vero il contrario: primum philosophari. Altrimenti non si saprà quali scelte fare per vivere”» (Daniela Preziosi) • «Com’è la sua vecchiaia? “Scrivo, leggo. Divoro sette giornali al giorno”. Ha rimpianti? “Faccio parte di quella generazione passata dall’adolescenza alla maturità saltando la giovinezza: una ricchezza, per le esperienze fatte, ma anche una debolezza, perché abbiamo saltato una stagione della vita. Non siamo mai stati spensierati”» (Vecchio).