la Repubblica, 9 marzo 2022
Biografia di Edward Powys Mathers, detto Torquemada
Ci sono divertimenti che prendono nome da vicende storiche tragiche e cruente. È assai probabile che il quiz – la gara delle domande a cui è difficile rispondere – debba il nome alla parola “inquisizione”. Invece il tormentone – gag o battuta comica che torna a ripetizione – deriva dal “tormento”, in origine strumento di tortura. Con tutto ciò si ammetterà che occorre un sense of humour particolarissimo per scegliere come pseudonimo il nome del fondatore dell’Inquisizione spagnola. Parlo del domenicano spagnolo Tomás de Torquemada (1420-1498), ebreo convertito la cui missione consisteva nel perseguitare ebrei formalmente convertiti ma segretamente rimasti dell’antica fede. Cioè suoi simili, almeno in partenza.
Sense of humour particolarissimo e volontà di tormentare i propri simili non dovevano difettare al britannico Edward Powys Mathers (1892-1939), visto che come nome d’arte scelse proprio “Torquemada”. Suo padre era stato un giornalista e fondatore di giornali: vissuto in Sudafrica, aveva descritto miniere d’oro e cantato lodi coloniali dell’Impero, poi se ne era andato a mettere su famiglia a Londra. Lui invece – il figlio – era sedentario. Dopo gli studi al Trinity College di Oxford era diventato un critico letterario e aveva tradotto Le mille e una notte e altra letteratura orientale. Abitava a Hampstead, era di salute cagionevole e quindi amava stazionare sul proprio letto, a gambe incrociate, «come un Buddha inrelax»: lì fumava, componeva cruciverba o recensiva racconti polizieschi. Questi ultimi dettagli li ha rivelati la vedova tempo dopo la sua morte (intervenuta all’assai precoce età di 46 anni). Lui non aveva mai rilasciato interviste in vita sua. Mathers diventò famoso con i cruciverba; ma è più sensato dire che i cruciverba in Inghilterra divennero famosi con lui. La mania collettiva per le parole incrociate, la cosiddetta crossword craze, era scoppiata a Manhattan nel 1924. Il gioco aveva fatto il suo debutto già nel 1913 ma non ebbe vero successo sinoa chedue neolaureatipoco più che ventenni non osarono pubblicare una raccolta di cruciverba come primo libro della loro erigenda casa editrice. I due giovanotti si chiamavano Richard L. Simon e Max L. Schuster, se i nomi possono dirvi qualcosa. Per gioco e casa editrice le cose cominciarono subito ad andare tanto bene che nel solo primo anno uscirono altre due raccolte, i cruciverba vendettero mezzo milione di copie entro Natale e insomma negli Stati Uniti non si parlò d’altro per tutto l’anno. Com’è naturale se ne accorsero anche in Europa: a fine 1924 uscirono i primi esempi di cruciverba francesi, italiani, tedeschi. Per gli inglesi non ci fu neppure bisogno di inventarne di nuovi; a parità (quasi perfetta) di lingua andavano bene i giochi già pubblicati negli Stati Uniti. L’allora trentaduenne Mathers se ne incuriosì e fu il primo a capire perché in Inghilterra il nuovo gioco non prendeva piede quanto altrove. Almeno dall’epoca vittoriana il pubblico aveva alle spalle una lunga (e a noialtri non del tutto comprensibile) tradizione di arzigogoli cervellotici, di cui il cruciverba pareva (e in parte infatti era) una specie di semplificazione industriale, un’edulcorazione adatta alla produzione in serie. Le definizioni erano in particolare del genere più piatto: «Plurale di is? are», «Fiume russo?Neva». Non voglio entrare in spericolate considerazioni di psicologia di massa, ma quel che Mathers comprese è che il pubblico britannico desiderava giochi più difficili, enigmi da rompersi la testa, irti cilici per circonvoluzioni mentali. In una parola, tormenti. Per fornirli serviva allora un Torquemada. Mathers cominciò così a elaborare propri schemi, con incroci poco curati e invece definizioni sofisticatissime, per erudizione o meccanismi crittografici: «Non un dio, ma una ragazza di Ibsen». Soluzione: “Nora” (Nora, di Casa di bambola; “non Ra”, dove Ra era un dio egizio). «Striscia con i nomi di Edmund e suo figlio Charles». Soluzione: “snake”, serpente. “Snake” è anche anagramma di “Keans” (cioè gli attori Edmund e Charles Kean). Definizioniche richiedevano al solutore una combinazione di erudizione e agilità mentale, sapienza e arguzia. Doti totalmente estranee all’archetipo americano. Riferimenti criptici, quesiti in impeccabili versi rimati, dettagli eruditi, trabocchetti: questi i tormenti approntati da colui che intanto aveva preso davvero a farsi chiamare “Torquemada”. Inventò anche cruciverba narrativi, in cui le definizioni si trovano all’interno di un racconto. La dozzina d’anni o poco più di vita attiva su cui poté contare gli consentì di pubblicare più di seicento cruciverba. Tanto bastò per assurgere al mito. Oggi Mathers è considerato, se non l’ideatore, il primo, vero sviluppatore della tecnica dei capziosi cryptic clues, le definizioni enigmistiche che deliziano tuttora i solutori britannici. La volontà di Torquemada di torcere le budella cognitive dei suoi simili non si fermò però alla sola enigmistica e Mathers non si dimenticò mai di essere innanzitutto un appassionato di letteratura. Un esempio gli poteva venire proprio dalle Mille e una notte : storie che cominciano e non finiscono, storie che lasciano in sospeso. Come combinare enigmistica e suspense poliziesca?
Torquemada lo capì nel 1934, quando mise in cantiere la sua definitiva raccolta di rompicapo. Dichiarò i suoi intenti con una variazione del tutto ampollosa sul tema analogico del «pane per i vostridenti»: «Gli organismiche hannomenti prive di dentatura trovano sempre modo di alimentarsi. È invecesoltanto daquesto momento checoloro che sonodotati di dentizione cerebrale possono avere il pane quotidiano più adeguato ad affondare le proprie zanne». Il Torquemada Puzzle Book comprendeva innanzitutto una quantità di cruciverba. Non avevano definizioni, ma un lemmario di tutte le parole da usare per riempire le griglie. Mille tentativi e quasi altrettanti errori. Veniva poi un’abbondante selezione di giochi, scherzi verbali, trappole logiche, tutto quanto avrebbe potuto servire a un appassionato di tormenti per divertirsi. Ultime arrivavano le cento rotonde e diaboliche pagine del racconto della Cain’s Jawbone, La mascella di Caino. Torquemada non era infatti dalla parte di Abele.
Unromanzo incento pagine numerate, dateperòalla rinfusa. Se ricordate: «Così al vento ne le foglie levi / si perdea la sentenza di Sibilla» ( Paradiso, XXXIII, 65-66). Qua non sono sentenze d’oracoli ma storie di crimini con le loro rispettive soluzioni. Al lettore trovare il modo per metterle nel giusto ordine, quello in cui rivelano tutti i loro segreti. Praticamente un anagramma editoriale. La nota preliminare diceva, con maestosa consapevolezza semiotica: «Siate certi che esiste un ordine inevitabile, quello in cui sono state scritte le pagine e che, anche se la mente del narratore di tanto in tanto compie voli pindarici tornando indietro o andando avanti alla maniera moderna [ecco il critico letterario], la narrazione procede, implacabile e senza equivoci, dalla prima all’ultima pagina». Era un programma degno di Edgar Allan Poe, maestro di tutti gli enigmisti narrativi. È stata degna anche l’esecuzione: si dice che alla soluzione arrivarono in tre. La soluzione non fu pubblicata né ufficializzata mai, perché la stanno ancora cercando in tanti. Ne parlano, impazziti, sin su TikTok. Un tormento da non dire.