la Repubblica, 9 marzo 2022
Se i pentiti vengono sfruttati
ROMA – «Ho sentito finora 60 tra collaboratori e testimoni. E non ho raccolto una sola testimonianza positiva…». E ancora: «Tra di loro né si conoscono, né tantomeno si frequentano, certamente non possono essersi messi d’accordo…». Piera Aiello, da collaboratrice di giustizia, ha fatto condannare la mafia di Partanna.
Ora, da deputata ex M5S e ora nel gruppo misto, lavora per rivelare cosa non va nel sistema.
«Sono a conoscenza di cose pesanti contro i testimoni e contro i collaboratori, chi li protegge dovrebbe applicare la legge e invece non lo fa, hanno scritto le circolari, ma poi non le mettono in pratica… ma io non mi fermo, andrò fino in Europa».
Per ora un fatto è certo. Oggi Piera Aiello si presenterà davanti alla Commissione centrale di protezione e denuncerà tutto quello che le risulta dopo le sue 60 audizioni. Ma si riserva anche di rivolgersi a una procura della Repubblica, che potrebbe essere Roma, ma non solo. Non vuole aggiungere di più. Dopo aver scelto nel 1991 Paolo Borsellino come suo magistrato di riferimento – “zio Paolo” lo chiamavano lei e la cognata Rita Atria che si suicidò buttandosi dal sesto piano dopo l’attentato di via D’Amelio – adesso Piera ha deciso di liberarsi di un altro fardello.
Da presidente del sottocomitato della commissione parlamentare Antimafia che si occupa di collaboratori e testimoni ha lavorato moltissimo. Le 60 audizioni, quasi tutte riservate, rivelerebbero una lunga serie di soprusi, dalla violazione del diritto allo studio a quella della salute, dai casi di identità segrete rivelate, a genitori minacciati di essere privati della patria potestà, a 400 minori che ne subiscono le conseguenze. Tutto con nomi e cognomi.
Del resto la “famiglia” è grande, parliamo di oltre 4.600 tra collaboratori e testimoni, di cui un migliaio i pentiti e poco più di 50 i testimoni. Il resto sono familiari, oltre 3.500 per i collaboratori. Un costo sui 50-60 milioni di euro all’anno, su cui incidono molto le “capitalizzazioni”, cioè la buonuscita data a chi decide di uscire dalla protezione.
«Io la situazione la conoscevo già» dice Aiello. In protezione è entrata il 30 luglio 1991, ne è uscita nel 1997 «con una piccola capitalizzazione, ma libera da vincoli assurdi, succube di un programma con quattro lire, proprio come adesso c’è gente con famiglia che vive con 500 euro con i figli a carico con disabilità». Aiello aveva chiesto di essere sentita dalla Commissione centrale di protezione a ottobre. Presieduta dal sottosegretario leghista all’Interno Nicola Molteni, ne fanno parte due magistrati della Procura nazionale antimafia, l’ex pm di Roma Diana De Martino e l’ex procuratore di Bari Antonio Laudati, nonché l’avvocato dello Stato Antonio Massarelli, e cinque rappresentanti delle polizie. Ma la commissione ha deciso di convocarla solo dopo la puntata del 27 febbraio di Mi manda Rai tre sulla denuncia del testimone di giustizia Ignazio Cutrò.
Alla “campana” di Aiello si contrappone quella del Servizio di protezione, il “braccio” operativo della Commissione del Viminale. Il direttore Nicola Zupo è stato sentito il 20 gennaio dall’Antimafia. Giusto il tempo di sentirgli dire «sono al vertice dal primo aprile 2021, ho cominciato la mia carriera a Palermo e le stragi hanno segnato la mia vita» e subito la richiesta di un’audizione segreta. Di cui però, dai parlamentari presenti, si può capire il contenuto. Dice Zupo: «Il Servizio è la casa di tutti i collaboratori, se ci sono lagnanze o problemi da risolvere siamo pronti a fare chiarezza su tutto, perché questo è il nostro interesse principale. Se ci sono state eventuali violazioni le accerteremo con la massima severità e trasparenza». Non nega di «aver ricevuto spesso, anche dai collaboratori, delle segnalazioni e di aver scritto alle procure». Ma, aggiunge, «molte notizie non sono vere». E qui, sulle due versioni toccherà fare chiarezza.