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 2022  marzo 09 Mercoledì calendario

Intervista a Nadia Padovani, la vedova di Fausto Gresini che ora dirige una squadra corse di oltre sessanta persone

Nadia Padovani, madre di quattro figli, dirige una squadra corse di oltre sessanta persone, la Gresini Racing, fondata dal marito Fausto, morto di Covid nel febbraio 2021. Vittoria alla prima gara nella MotoGp in Qatar con Enea Bastianini, un sogno, o forse un segno del destino.
Si sta rendendo conto di che cosa ha realizzato?
«Ora sì, a mente fredda. Che cosa abbiamo realizzato, direi, un’impresa titanica. Una donna in un mondo di uomini, successo al primo colpo».
A che cosa ha pensato negli ultimi giri?
«A tutto quello che ho vissuto nell’ultimo anno: mio marito in terapia intensiva, e poi il funerale, la disperazione negli occhi dei suoi ragazzi il primo giorno che ho preso in mano l’azienda. La disperazione dei nostri figli. Le giornate infinite in ufficio, uscivo alle 22.30 per capire come funzionava. E poi vedevo Fausto su quel podio insieme a Enea, era lì con noi. Lo sentivo accanto».
Quando suo marito gestiva l’azienda lei che cosa faceva?
«Prima l’infermiera, poi dalla nascita della terza figlia abbiamo deciso che sarei rimasta a casa a dedicarmi alla famiglia. Anche se mi è dispiaciuto perché amavo il mio lavoro. Poi è arrivata la quarta figlia (Agnese, ora ha 11 anni ndr)...».
Qual è stata la prima cosa che ha dovuto imparare nella nuova vita da manager?
«Ho preso i dipendenti parlandoci uno per uno. La Gresini è una grande famiglia, ma va gestita. E capita».
Era già appassionata di motociclismo?
«Da sempre. Sono cresciuta a Imola, vicino al circuito. A 7 anni papà mi portava alle gare. Mi attaccavo alle reti, lui tifava per Agostini e Ceccotto. Poi, più tardi, anche per Gresini, era vicino di casa».
E com’è nata la storia con Fausto?
«A vent’anni, lui ne aveva 26. Ci presentò un amico comune. Nel 1988 ci siamo fidanzati ufficialmente, senza mai lasciarci».
Che cosa ha imparato da lui?
«La capacità di risolvere i problemi, quella di non mollare mai nemmeno nei momenti peggiori. Metterci cuore e passione, sempre. Restare umile».
Il motociclismo sa essere anche crudele: avete affrontato le tragedie di Daijiro Kato e Marco Simoncelli. Ricordi di questi ragazzi?
«Daijiro era meraviglioso, sparava parolacce in romagnolo e si addormentava prima delle gare. Quando se n’è andato, Fausto ha avuto una crisi terribile. È stato molto difficile aiutarlo».
E Marco?
«Simpatia esagerata, intelligentissimo. Un talento pazzesco, dopo la sua morte Fausto mi disse: “Basta, ora chiudo tutto, smetto per sempre”».
E lei?
«Gli risposi: “Se anche chiudi tutto ci saranno altri giovani che andranno in moto. Fatti forza e vai avanti”».
I suoi due figli maschi, Luca e Lorenzo, la aiutano in azienda. Magari avrebbero preferito fare i piloti...
«Luca sì, ma il papà non voleva perché era terrorizzato e glielo ha sempre impedito. A 16 anni ho insistito io perché gli desse una chance. Lo ha fatto, poi ha deciso da solo di smettere».
Se sente parlare di no ai vaccini, che cosa pensa?
«Quando mio marito si è ammalato non c’erano ancora in Italia: lui voleva portarci all’estero per farli. Anche nelle videochiamate dalla terapia intensiva diceva: “Vaccina figli, nonni, tutti”. Lo abbiamo ascoltato, consiglio a tutti di farlo, ma non sono per imporre l’obbligo».
Le lacrime sul podio, ma anche la gioia. Perché la sua è una storia di speranza. La vede così?
«Il dolore me lo porterò sempre dietro, ma quando domenica Enea è passato sul traguardo mi è sembrato di toccare il cielo e Fausto era giù con noi. Non lassù».