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 2022  marzo 09 Mercoledì calendario

Quei parlamentari che non pagano gli assistenti

«Ci fai lo sconto? Invece dei 10.000 euro che avanzi te ne diamo 7.000». Cinque anni dopo aver chiesto a un gruppo parlamentare i soldi arretrati cui aveva diritto e trentasei anni dopo le prime denunce alla Camera degli allora Radicali Massimo Teodori e Francesco Rutelli, sull’uso degli assistenti parlamentari (chiamati sempre «portaborse» e pagati quasi sempre in nero), l’ex collaboratore al Senato Francesco Comellini non è ancora riuscito ad avere, carta canta, quanto gli spetta.
Peggio: come dimostra un servizio di Marco Occhipinti e Filippo Roma delle Iene, in onda stasera, la sua denuncia (quando mai un’azienda pubblica o privata potrebbe infischiarsene della rottura di un regolare contratto senza che intervengano dei giudici o dei probiviri?) è affondata in un’umiliante fanghiglia di rinvii, promesse, silenzi, ostilità, porte sbarrate, risatine, imbarazzi, fughe sui sedili delle auto blu alla vista di microfoni e telecamere... Fino alle minacce, filmate e registrate, del (poco) onorevole Mario Caruso, spintosi a mandare il cameramen della troupe ad andare «affanc...» e a urlare con pesante accento siculo: «Statti fermo o ti faccio vedere come si ragiona al mio paese!». Uno spettacolo indecoroso.
Tutto parte dalla nascita a Palazzo Madama nel giugno 2015, da una costola del centrodestra, di un gruppo parlamentare di una dozzina di «Conservatori e riformisti» guidato da Cinzia Bonfrisco (capogruppo) e Raffaele Fitto. I quali, appena possibile, approfittano della legge che finanzia i gruppi con 59 mila euro l’anno a senatore consentendo loro di fare politica dotandosi di collaboratori presumibilmente (magari...) scelti con cura. Nel mazzo finisce Francesco Comellini assunto con un contratto regolare, stipendio lordo intorno ai 2.200 euro, ventisei giorni di ferie... A dicembre, però, tira già un’aria di fronda, un anno di liti e a marzo 2017 la stessa Bonfrisco se ne va. Il gruppo abbassa le saracinesche e sparisce.
E gli assistenti assunti come Comellini? A casa. Ma la liquidazione, gli ultimi stipendi, le ferie arretrate? Macché: rinvii, rinvii, rinvii... E quella proposta di mediazione con lo sconto citato all’inizio. Del resto nel bilancio, come scriverà nel rendiconto il senatore Lucio Tarquinio, ci sono varie irregolarità e un buco vistoso al punto che l’ufficio per gli affari legali del Senato «ha chiesto al liquidatore la restituzione delle somme trasferite al gruppo» negli ultimi tre mesi di vita. Pari a 166.224 euro.
Com’è finita, con quei soldi? Tutto a posto? «Ma si figuri se non c’è stata la massima correttezza!», è sbottata Cinzia Bonfrisco, nel frattempo eletta all’Europarlamento con la Lega. La questione, però, non pare affatto del tutto chiarita. Così come il debito verso l’assistente buttato fuori da un giorno all’altro. Certo, dicono tutti ma proprio tutti che ciò che gli spetta va pagato. Ma da chi? Quando?
Sullo sfondo resta comunque la domanda: perché dopo questi decenni di impegni e aria fritta sul tema dei portaborse e dei loro diritti c’è ancora un’ostilità callosa all’idea della massima trasparenza?