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 2022  marzo 09 Mercoledì calendario

Intervista ad Allegra Gucci. Dice che era convinta che la mamma fosse innocente

Allegra Gucci, suo padre Maurizio è stato ucciso il 27 marzo 1995. Lei non ha mai parlato. Perché lo fa ora?
«Perché sulla mia famiglia sono state dette tante cose non veritiere. E poi è arrivato House of Gucci, il film di Ridley Scott, una pessima caricatura: è stata la molla. Ho voluto dire la mia. Lo devo a mio padre, che non ha più voce, e ai miei due figli: vorrei che, crescendo, attingessero ai fatti raccontati dalla mamma».
Della sua vita si sa poco.
«Riassumo la mia giovinezza? Avevo 11 anni quando mia madre, Patrizia Reggiani, venne operata di tumore al cervello. Ne avevo 14 nel 1995, quando papà venne ucciso a Milano. Due in più quando mia madre venne arrestata e poi condannata come mandante del suo omicidio».
E poi anni di visite al carcere di San Vittore, dove sua madre ha scontato 17 anni.
«La mia vita e quella di mia sorella Alessandra è stata una continua rievocazione di quei fatti. Ogni volta che si parlava di noi, ecco quella orribile fotografia: Maurizio Gucci senza vita, in una pozza di sangue nell’atrio di un palazzo di via Palestro. Nessuno si è mai chiesto che cosa provavamo. E non ho parlato finora perché mi illudevo che un giorno su tutto sarebbe sceso l’oblio e che avrei avuto spazio per me. Oggi, a 40 anni, so che questo non finirà mai. Allora parlo».
È per questo che ha intitolato «Fine dei giochi» il suo memoir, che esce il 15?
«Sì, ripercorro i nodi di una storia ancora aperta. A cominciare da quel 27 marzo. Non ero andata a scuola, fu mia madre a entrare nella mia stanza e a dirmi: “Tuo padre è morto”. Poi se ne andò. Da allora io e la mia famiglia non abbiamo avuto pace. Battaglie legali, ricostruzioni false. Sa perché ho scelto di studiare Legge? Per capirci qualcosa».
Chi era davvero Gucci?
«Il film di Scott lo ha dipinto come un debole, un viziato. Tutto falso. E mia madre era una donna bellissima, corteggiata. Mai si sarebbe imbucata a una festa. Papà era luminoso, un grande lavoratore. Un ricordo: Forte dei Marmi, un fine settimana tutti insieme, partite a calcetto. Come una famiglia normale».
I suoi prima si separeranno e poi divorzieranno.
«Dieci anni prima dell’omicidio. Le battaglie tra gli ex sono dolorose per i figli, mamma erigeva barriere ma io ho ritrovato lettere in cui papà chiede alla mamma di poterci vedere più spesso. E io mi ritagliavo ogni spazio possibile con lui. Altro ricordo: Parigi, io e lui soli. I suoi piedi nudi, grandi. Bizzarri, per me che non vivevo una vera quotidianità con mio padre».
Che cosa ha pensato quando sua madre è stata prima arrestata e poi condannata come mandante?
«Quello che ho continuato a pensare per anni: che fosse innocente. Ero convinta della sua estraneità. È stata questa convinzione ferrea a sostenermi mentre le portavo i pacchi in carcere, anni spesi ad assisterla, a studiare i processi, a cercare di far emergere una volta per tutte la sua innocenza. Lei diceva di essere “non innocente, ma nemmeno colpevole”: parole ambigue, certo. La “non colpevolezza” alludeva alla manipolazione subita da persone che avevano approfittato della sua fragilità, mentre la dichiarazione di “non innocenza” faceva vacillare le mie certezze. Ma era mia madre: si può non avere fede nella propria madre?».
E poi?
«E poi, un giorno, in televisione ha fatto una mezza ammissione. L’ho chiamata, chiedendole spiegazioni. Alla fine, è sbottata: “Insomma, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto solo per voi due”. Dunque qualcosa aveva fatto. Ho sentito il vuoto sotto i piedi. L’ennesima voragine della mia vita».
E oggi, Allegra, che cosa pensa?
«Non ho verità, ma una certezza sì: mia madre è stata una donna buona, eppure molto vulnerabile. Una “falena al contrario”, attratta dalle ombre più che dalla luce. Dopo la separazione si legò a Pina Auriemma, una che l’ha sempre blandita, cosa che piace a tutti; poi in carcere conobbe Loredana Canò, la quale, una volta libera, si insediò a casa con lei. Il resto è cronaca: Auriemma condannata per favoreggiamento nell’omicidio Gucci, Canò di recente è stata allontanata da mia madre con un provvedimento del giudice Gasparini, come ha scritto il Corriere nel 2021. Oggi Patrizia è seguita da Marco Accolla, ottimo amministratore di sostegno. Ci fidiamo di lui».
Pensa che la frase «non sono innocente, ma nemmeno colpevole», sia la formula più vicina alla verità?
«Penso di sì. Non sono una sprovveduta che la assolve da tutto e di certo una delle sue colpe è stata quella di fidarsi di persone poco raccomandabili. Poi c’è quel tumore asportato che, chissà, forse ha alterato il suo senso critico. Oggi stiamo pazientemente ritrovando un dialogo».
L’ha perdonata?
«Il perdono è un cammino lungo e va chiesto. Ma una cosa la so: l’odio logora. Voglio ricostruire, non distruggere».
Ci sono partite aperte.
«Il vitalizio. Quello che mia madre non ha mai chiesto ma che Paola Franchi, la convivente di mio padre, ha combattuto in tribunale per vedere riconosciuto, al fine di essere risarcita, pensi un po’, da Patrizia Reggiani! E la legge ha stabilito che le figlie di un uomo ucciso devono dei soldi alla propria madre (condannata) affinché questa risarcisca la sua ex compagna».
Che cosa sogna oggi?
«La serenità. E che mia madre un giorno mi abbracci e mi dica: “Ti voglio bene”».