Agrifoglio, 8 marzo 2022
C’era una volta il bel grano ucraino
Il nonno di Aurelio De Laurentis, l’attuale Presidente del Napoli (e sì, ovvio, io sono tifoso del Napoli), aveva un pastificio a Torre Annunziata, e all’epoca – s’era nel 1920 – l’importazione di grano dalla Russia, detto grano di Taganrog, era ancora forte.
Taganrog, città sconosciuta ai più, ha dato i natali al mai troppo celebrato Anton Cechov, medico, scrittore e drammaturgo, un progressista vero che di agricoltura se ne intendeva, meglio del conte Tolstoj, anche perché da medico Cechov ne vedeva di contadini morire di fame (e cercava di curarli, gratis, tra l’altro).
Voglio dire, per carità, anche il meraviglioso, monumentale e sensibile Tolstoj amava i contadini, poi, vero, per sua convinzione un po’ aristocratica, vedeva in loro una trincea contro il progresso. Infatti nella sua scuola per contadini a Jasnaja Poljana, Tolstoj metteva su lezioni che declinavano la seguente idea: i figli dei contadini devono entrare in relazione con il mondo rurale e arcaico, l’unico luogo in cui l’essere umano non viene corrotto. Quindi: cosa c’è di meglio che insegnare ai giovani le tradizioni contadine e folkloristiche, e ovviamente, mettere da parte le spiegazioni scientifiche e sostituirle con le credenze popolari?
Poi, anche per un’altra cosa è ricordata Taganrog: se visitate il porto c’è la statua di Giuseppe nostro. Ovviamente Garibaldi è stato anche lì, anzi, la leggenda dice che in questa città portuale, fondata millenni prima con il contributo dei genovesi, Garibaldi abbia cominciato a sviluppare l’idea della nota spedizione.
Questo per dirvi che il grano coltivato in Ucraina, eccellente sotto molti aspetti, passava per il porto di Taganrog e finiva anche al Sud Italia, dove le prime famiglie di pastai tagliavano quel grano con i grani nostrani, pugliesi e siciliani.
Il grano ucraino ha fatto la storia della nostra pasta: oltre alle caratteristiche organolettiche, era per esempio un grano che manteneva la cottura, è stato simbolo di commercio, scambi di culturali, vivacità e progetti, finché un bel giorno…
Un bel giorno…le terre fertili dell’Ucraina divennero “Terre di Sangue”, per citare il bel libro (e premiatissimo negli States), di Timothy Snyder (in Italia pubblicato da Rizzoli).
Il libro racconta soprattutto nei primi tre capitoli, e fa il paio anche con altri interessantissimi studi, il Grande Terrore, ovvero il periodo tra il 1932 e il 1938, quando le politiche di collettivizzazione forzata dell’agricoltura volute da Stalin cominciarono a far temere una carestia di massa. E così fu. Stalin, che si riteneva pure un buon padre, si rifiutò di garantire aiuti alimentari alla popolazione ucraina: circa 3,3 milioni di persone morirono di fame – o di malattie ad essa legate. Secondo Snyder, la carestia dell’Ucraina fu un caso di “omicidio di massa chiaramente premeditato” da Stalin. Tra il 1937 e il 1938 nell’Urss furono arrestate e spesso condannate a morte centinaia di migliaia di persone, accusate di aver sabotato e ostacolato le politiche di collettivizzazione: dei circa 700.000 morti di questo periodo, 300.000 cittadini sovietici (soprattutto polacchi e ucraini) furono uccisi nelle bloodlands.
Come se non bastasse poi arrivò Hittler. E sulla Polonia occupata, Hitler attuò per la prima volta la sua politica di sterminio di massa. Ebbene, Snyder sottolinea le somiglianze nella forma e nella scala dell’attacco condotto da Hitler e Stalin nelle rispettive zone di occupazione: insomma tra i due si instaurò una “complicità belligerante” fondata sullo scarso interesse di entrambi per la vita umana.
E niente, in questi giorni di guerra, se ricordiamo i nostri nonni pastai che hanno importato grano ucraino per far più saporito e colorato il mondo interno, a parte le conseguenze sui prezzi, sull’energia, ecc., ricordiamoci pure dei nonni contadini di quelle terre fertili, che in alcuni casi non furono capiti e in altri, ben peggiori, furono massacrati dai dittatori di turno e che hanno versato il sangue: e solo due generazioni fa.