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 2022  marzo 08 Martedì calendario

La guerra del pane


Almeno 8 miliardi di euro. La guerra fra Russia e Ucraina potrebbe costare caro agli agricoltori italiani, con un trasferimento netto sui consumatori finali. Le associazioni di categoria lanciano l’allarme sui margini delle aziende. Il rischio che molte finiscano a gambe all’aria è elevato. Le fiammate dal panettiere, così come al bar, sono intorno al 10% rispetto a novembre, secondo l’Istat. E il caro-energia potrebbe alimentarle.
Il grano tenero che passa oltre i 422 euro sulla borsa mercantile di Parigi ha fatto sussultare economisti, ma soprattutto i panettieri. Perché con incrementi compresi fra il 40 e il 50% da inizio anno a oggi per i maggiori cereali, fare affari è difficile. A meno che non si viaggi a margini risicatissimi, se non nulli. «Decine di panetterie sono a rischio chiusura – avverte Stefano Fugazza, presidente di Unione artigiani, panettiere di terza generazione a Lambrate – a 10 giorni dall’inizio del conflitto le farine di grano tenero sono cresciute del 40-50%, non possiamo scaricare questi costi sul prezzo del pane, si lavora in perdita per mantenere il rapporto coi clienti». L’impegno di diversi panificatori è mantenere i beni di prima necessità al di sotto dell’inflazione: il pane è aumentato del 3%, a fronte di un’inflazione del 4,8%. Di contro, ad aumentare – fino al 15% secondo le associazioni dei consumatori – sono i prodotti dolciari. In altre parole, il cornetto già adesso costa più di quanto era a novembre. E potrebbe essere ancora peggio.
Furio Truzzi, presidente di Assoutenti, da settimane è preoccupato. «Nelle prossime settimane ci sono tanti fattori che agiranno sui prezzi al dettaglio di numerosi prodotti venduti in Italia, dalla pasta al pane, passando per crackers, biscotti, dolciumi», dice. Il rischio è «l’inserimento, nei vari passaggi della filiera speculazioni finalizzate a sfruttare il conflitto in Ucraina, per ritoccare da subito i listini dei beni venduti in Italia», avverte Truzzi, che stima rincari compresi tra il 15 e il 30% per beni come pasta e pane.
Il fenomeno in corso, finora definito come temporaneo dalla Bce, è destinato a durare più del previsto. E le ripercussioni sono in prevalenza sui prezzi, non sull’offerta. Secondo la Cia-Agricoltori italiani, «non esiste il pericolo di restare senza pane, né ci sono colli di bottiglia nell’approvvigionamento di grano tenero dall’estero». Nel caso dell’Italia, dice la Cia, le importazioni di grano tenero da Russia e Ucraina sono marginali, circa il 5% del totale del fabbisogno italiano. Non esiste un tema, dunque, di disavanzo dell’import da compensare con la produzione nazionale, visto che questo copre circa il 35% del fabbisogno. Piuttosto, rimarcano gli agricoltori, esiste un problema di efficientamento della filiera internazionale, che vale circa il 65 per cento. E questo potrebbe portare a extra-costi per circa 8 miliardi di euro.
Nel frattempo, però, il problema si sta già trasmettendo su buona parte della filiera. Secondo Confagricoltura, la prima settimana di guerra ha portato a un incremento del 13% del prezzo del grano tenero e a un 29% del prezzo del mais a livello globale. Ad aumentare, dunque, non sono soltanto i cereali per i prodotti da forno. L’incremento di mais e soia stanno alimentando i rincari per l’alimentazione del bestiame (+40% da inizio anno), fattore che, se unito ai maggiori costi per l’energia (+70% da inizio febbraio), ha portato il costo medio per la produzione di latte a quota 46 centesimi al litro, secondo l’ultima indagine Ismea. Il massimo da un decennio. Analoghi aumenti per sale e zucchero, così come il pomodoro.
A questo scenario di fiammate si dovrà aggiungere un ulteriore aspetto. Ovvero la crisi energetica in caso di ulteriore allargamento del fronte di guerra. Secondo la banca statunitense Goldman Sachs, il petrolio potrebbe giungere oltre 150 dollari al barile entro poco tempo. E il rischio è che ci sia un passaggio diretto sullo scaffale. Non solo per il segmento della panificazione, bensì per tutti i prodotti alimentari. —