Corriere della Sera, 8 marzo 2022
È tutto illegale
Tre quarti degli Stati del mondo e cinque sesti dei rappresentanti del popolo europeo hanno duramente condannato l’invasione militare russa dell’Ucraina (la più ampia occupazione militare di un territorio straniero dopo la Seconda guerra mondiale), ma il conflitto continua. Il mondo e l’Europa sono quindi impotenti nei confronti di uno Stato autocratico che aggredisce un altro Stato?
Il presidente russo ha illustrato il 21 febbraio i motivi dell’operazione militare, iniziata tre giorni dopo. Ha detto che l’Ucraina è «parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura, del nostro spazio spirituale», che fu creata dalla Russia bolscevica, «non ha mai avuto tradizioni stabili di vera statualità», è stata sussidiata per venti anni con 250 miliardi di dollari dalla Federazione russa. Questo spiegherebbe il riconoscimento della indipendenza delle regioni di Donetsk e di Luhansk e l’«operazione militare speciale» in Ucraina.
Il presidente russo non ha ricordato che il popolo ucraino aveva votato per l’indipendenza del Paese nel 1991 con una maggioranza del 91 per cento e che nei trenta anni di storia come nazione indipendente ha avuto sei presidenti democraticamente eletti. Ha dimenticato che l’Ucraina era entrata il 24 ottobre 1945, lo stesso giorno in cui entrò l’Unione sovietica, nell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu).
I principi dell’Onu
Ordinando l’aggressione all’Ucraina, il presidente russo ha violato molti principi che reggono l’Onu: il rispetto della sovranità degli Stati, la regola dell’autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere in modo pacifico le controversie, il dovere di astenersi dall’uso della forza, l’obbligo di non interferire con le competenze interne di altri Stati. Ha violato, inoltre, accordi multilaterali sottoscritti dalla Russia, come quelli istitutivi del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), nonché il «memorandum» di Budapest del 1994 e due trattati bilaterali, quali il trattato di amicizia Russia-Ucraina del 1997 e l’accordo del 2010 sulla flotta russa in Crimea. Quindi, dal punto di vista del diritto internazionale, la Federazione russa è ora uno Stato fuorilegge.
Le risoluzioni
Questa anomia della Russia è stata prontamente denunciata dal Parlamento europeo il 28 febbraio, con una risoluzione di condanna presa con 637 voti favorevoli su 705 rappresentanti del popolo europeo, 26 astenuti e solo 13 contrari, e dall’Assemblea generale dell’Onu il 2 marzo con una decisione di condanna presa con il voto di 141 Stati su 193, 5 contrari, 35 astenuti (questi comprendono Cina, India, e altri Stati asiatici e in prevalenza Stati africani), oltre ai non votanti. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, nel discorso del 27 febbraio, ha dichiarato che «non c’è dubbio che Putin voglia costruire un impero russo» e intenda «ridefinire lo status quo in Europa secondo la sua visione». Il presidente del Consiglio dei ministri italiano a sua volta, il 1° marzo, al Senato, ha duramente condannato l’invasione, promesso l’accoglienza dei profughi e l’adozione di sanzioni efficaci e selettive, assunte in modo collegiale e uniforme da tutti i Paesi europei. Il Parlamento italiano, immediatamente dopo, con un voto quasi unanime, ha aderito alla diagnosi del presidente e autorizzato l’invio di armi al popolo ucraino.
Alle condanne hanno fatto seguito le sanzioni alla Russia e l’assistenza ai rifugiati. Utilizzando un regolamento del 2014, l’Unione Europea ha adottato tre pacchetti di misure restrittive riguardanti finora 680 persone fisiche e 53 enti, disponendo il sequestro di beni appartenenti a facoltosi oligarchi russi e il divieto di viaggi. Utilizzando una direttiva del 2001, l’Unione Europea ha poi facilitato l’attraversamento delle frontiere da parte dei rifugiati e disposto la loro protezione temporanea.
Il nodo delle armi
Il presidente russo si è affrettato a dire che le sanzioni economiche disposte dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Unione Europea, nonché da altri Paesi, sono un atto di belligeranza. Ma cedere armi a un popolo che deve difendersi da un aggressore non fa diventare chi le fornisce parte nel conflitto e non autorizza contromisure. Infatti, l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite riconosce il «diritto naturale di autotutela individuale e collettiva» in caso di attacco armato; contro la Russia si è pronunciata l’Assemblea generale dell’Onu, anche se con una risoluzione non vincolante; la cessione di armi non comporta una diretta partecipazione nel conflitto e quest’ultimo riguarda due nazioni con forze militari molto diverse tra di loro.
Dal punto di vista del diritto italiano, le misure decise dal nostro governo con i decreti legge del 22 e del 25 febbraio sono legittime perché regolate dalla legge del 1990 sull’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento: questa stabilisce che la cessione di armi deve essere conforme alla politica estera e di difesa e alla Costituzione, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Non c’è dubbio, tuttavia, che vi sia una grande sproporzione tra l’aggressione in corso al centro dell’Europa, la pesante condanna dei popoli e degli Stati di quasi tutto il mondo e l’efficacia delle sanzioni finanziarie, che hanno una percentuale di successo non superiore al 30 per cento.
In una situazione normale, l’invasione del territorio di un altro Stato avrebbe provocato un intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu e l’invio sul posto di forze armate guidate dall’Onu. Ma in questo caso l’aggressore non è soltanto una potenza nucleare; è anche membro nel Consiglio di sicurezza con potere di veto e lo statuto del massimo organismo al quale è affidata la cura della pace nel mondo attribuisce la competenza in materia al Consiglio di sicurezza e non all’Assemblea generale.
La comunità internazionale ha altri strumenti per proteggere le nazioni aggredite; questi sono, però, di portata limitata. L’articolo 52 della Carta dell’Onu prevede che i membri delle Nazioni Unite che fanno parte di accordi regionali debbono fare ogni sforzo per raggiungere soluzioni pacifiche di conflitti locali prima di riferirli al Consiglio di sicurezza. La Russia e l’Ucraina fanno parte del Consiglio d’Europa (la prima dal 1996, anche se non ne rispetta i principi, la seconda dal 1995). Ambedue i Paesi sono nell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che ha il compito di prevenire e risolvere conflitti e ha già in Ucraina una missione speciale di monitoraggio che prepara rapporti quotidiani. Prendendo spunto dalla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa e l’Osce potrebbero promuovere una conferenza delle parti e tentare di far cessare le ostilità almeno durante il negoziato. Queste due organizzazioni potrebbero anche investigare sugli atti illegittimi delle forze di occupazione russe e di coloro che hanno pianificato e organizzato gli attacchi.
La coesistenza
Il diritto internazionale della pace ha fatto pochi passi avanti nei quasi ottant’anni trascorsi dalla Seconda guerra mondiale. Rispetto al passato, il mondo è forse meno disunito, ma ancora incapace di far diventare realtà le norme di coesistenza pacifica tra gli uomini dettate dalla ragione, come auspicava nel 1625 Ugo Grozio in De iure belli ac pacis.
Infine, il diritto internazionale non può ignorare la lezione del realismo, espressa da un grande esperto come Henry Kissinger. In un articolo sul Washington Post del 5 marzo 2014, Kissinger si chiedeva come la tensione tra Russia e Ucraina potesse finire e faceva quattro proposte ispirate all’idea che per la Russia l’Ucraina non potrà mai essere considerata come un Paese straniero, data la sua storia, e che quindi si dovesse accettare l’idea che l’Ucraina fosse un «ponte neutrale tra est e ovest».