Linkiesta, 8 marzo 2022
Il diritto alla scemenza
Prima di «a vent’anni si è stupidi davvero», in quella canzone di Guccini, veniva un verso altrettanto fondamentale, ma che nessuno cita mai: a vent’anni è tutto ancora intero. Ci ripensavo leggendo l’editoriale del New York Times che ieri sembrava monopolizzare i social – o almeno: la parte di social che seguo, quella della sinistra americana fatta di cinquantenni smaniosi d’adeguarsi all’assolutismo dei ventenni.
La ventenne che aveva scritto l’articolo intitolato «Sono arrivata all’università ansiosa di dibattere, e invece ho scoperto l’autocensura» è, appunto, un’universitaria. Non sapere niente, non capire niente, non avere idea di cosa sia il mondo sono suoi attributi ontologici. Così come lo è l’essere ideologica: è normale lo sia lei, è normale lo siano i suoi coetanei.
La sinistra suscettibile ieri irrideva il suo articolo, in cui raccontava d’aver scoperto, poffarbacco, che se osa – lei bianca – dire che non le sembra tanto sano di mente che in India sia normale per una vedova gettarsi sulla pira sulla quale sta bruciando il cadavere del marito, allora in classe scende il gelo. Ci sono tre livelli sui quali è possibile considerare questo aneddoto.
Uno è quello al quale tocca chiedersi dove abbia vissuto, fino all’università, una ragazza incapace d’immaginare che, in questo secolo, dire una cosa del genere è nel migliore dei casi appropriazione culturale e nel peggiore razzismo (se vuole le impresto mia nonna, da criticare: era rimasta vedova a quarant’anni e per i successivi cinquanta ha convintamente sostenuto che la sua vita era finita con la morte del marito; la si può impunemente criticare, giacché era molisana, un’etnia non riconosciuta dai suscettibili).
Uno è quello inscenato dagli intellettuali suscettibili, riassumibile in: ah certo, si è offesa scoprendo che non era miss popolarità, è arrivata all’università convinta di piacere a tutti, e invece guarda un po’, le tue opinioni sono detestabili, carina.
E uno è quello che mi pare più interessante: ma i professori?
Che un ventenne sia ottuso e ideologico è normale (è tutto ancora intero, appunto: cosa vuoi che capisca di sfumature e complessità e voglia di dibattere); ma, se non per insegnargli a vedere le cose da diversi punti di vista, i genitori americani cosa diavolo spendono decine di migliaia di dollari l’anno per mandare i figli all’università a fare? Almeno in Italia siamo ottusi a carico della fiscalità generale (ogni volta che penso che pago le tasse per mandare i vostri figli in università i cui rettori temono che scrittori di duecento anni fa inneschino polemiche ideologiche, polemiche di ventenni che i rettori stessi non sanno gestire, mi vorrei strappare i capelli, e mi consolo dicendo che evidentemente non è vero che c’è una qualche crisi economica: che abbia un impiego intellettuale gente così intellettualmente inadeguata dimostra che siamo in pieno boom).
Dice: eh ma allora tu vuoi mettere Formigli a fare il rettore. Il contesto, se per caso ieri avete contribuito al pil invece di vagabondare su Twitter, è che siamo così fessi da far fare la figura del gigante a Corrado Formigli, uno il cui principale contributo culturale a questo secolo è essere un esponente della corrente letteraria degli uomini con vistosi anelli alle dita (corrente Sandokan).
Nel programma di Formigli – che non mi sono sacrificata a vedere, ma mi faccio bastare il riassunto fatto da Formigli su Twitter – due ospiti hanno sostenuto opinioni impresentabili su Putin. Bene, dico io. Evviva, dico io. Perché, come sosteneva l’eroe anellato ieri su Twitter, «l’opinione pubblica si forma non restringendo il dibattito bensì allargandolo anche alle posizioni più radicali»? No, e sì.
Sì, perché come dice Chimamanda Ngozi Adichie «le idee non si combattono silenziandole, si combattono con altre idee», e come dico io la libertà d’espressione o è estrema o non è. Ve lo dico con tutta la raffinatezza che mi è propria: sono le idee del cazzo, quelle che vanno difese dalla censura; le idee sensate si difendono da sole.
In questo, i suscettibili sono più onesti: non vogliono che idee diverse dalle loro esistano, o almeno non che abbiano dignità di rappresentanza. Noialtri che ci balocchiamo con la convinzione d’essere per la libertà d’espressione poi siamo sempre pronti a chiedere eccezioni: per l’antisemitismo, per l’antiamericanismo, per il filoputinismo, per mon pote. Sempre lì a dire «eh però non puoi gridare “al fuoco” in un teatro pieno» (quando la dialettica d’una parte è ridotta a un solo esempio immutabile nei secoli, non è una dialettica fortissima).
Sì, e tuttavia no: a Formigli di formare un’opinione pubblica informata non frega niente, ed è giusto così. (Peraltro: un’opinione pubblica che si affida per la propria formazione a Formigli è un episodio di Black Mirror che dovrebbero sbrigarsi a girare).
Quand’è che smetteremo di giudicare la tv coi parametri con cui giudichiamo il giornalismo? Quand’è che capiremo che la tv funziona solo se è mostruosa, se è perversa, se è uno zoo di vetro, se è cialtrona, se è kitsch? (Specialmente la tv gratuita e frammentata, lo dico prima che mi citiate Studio Uno o Sergio Zavoli e mi diciate che è esistita anche una tv del bello, dimostrando di non conoscere i contesti storici ed economici).
Certo, passando per i mostri, mettendo su il circo che serve per fare un talk-show a costo zero, poi può accadere di trovarsi dalla parte giusta della libertà d’espressione. La studentessa che scrive sul New York Times non l’ha capito, e infatti si presenta rivendicando le credenziali delle proprie giuste opinioni: è per l’aborto, è contro il razzismo. Nessun professore le ha insegnato che quella libertà d’opinione che tanto ci tiene a difendere serve a tutelare quei disadattati che attaccano i manifesti contro l’aborto, o il pirla che ieri mi ha chiesto di firmare contro la dittatura del green pass.
Quante balle si ha in testa a quell’età, diceva sempre quella canzone, che faceva l’errore di limitare anagraficamente la scemenza, quella scemenza che è un diritto da garantire.
Quelli intelligenti, quelli con opinioni presentabili, o doti dialettiche, quelli non hanno bisogno di me, di Formigli, delle università: quelli si tutelano da soli.