La Stampa, 7 marzo 2022
Intervista a Marlee Matlin
Era nato come un piccolo film, remake americano di un altro piccolo film, il francese La famiglia Bélier. Invece, a sorpresa, è esploso. Dopo aver preso premi al Sundance, I segni del cuore di Sian Heder si è guadagnato via via due nomination ai Golden Globe, tre Screen Actors Guild Award, tre nomination ai prossimi Oscar (film, sceneggiatura, attore non protagonista) e 25 milioni di dollari da Apple TV+. In Italia uscirà su Sky Prima Fila alla vigilia degli Oscar, il 21 marzo.Il titolo originale del film, CODA, è l’acronimo di Child Of Deaf Adults, figlio di adulti sordi. Che è poi la situazione della protagonista, la giovane Ruby, unico membro udente della famiglia, con una passione per la musica e il canto. A interpretare la mamma di Ruby c’è Marlee Matlin, premio Oscar nel 1987 per Figli di un dio minore. Parlare di questo film con lei significa ricevere una scarica di entusiasmo. «È stata una delle esperienze più gratificanti della mia vita. Sui set vado molto d’accordo con cast e troupe, ma ho sempre bisogno di un’interprete e alla fine mi ritrovo in camerino a parlare solo con lei. Durante le riprese di I segni del cuore, invece, la lingua dei segni era ovunque. Troy Kotsur e Daniel Durant erano sordi, Emilia Jones ci sentiva ma era bravissima a segnare. Il fatto poi che la sceneggiatura fosse scritta così bene è stata la ciliegina sulla torta».Hollywood è migliorata in termini di inclusività?«Diciamo che le cose vanno meglio, ma di strada da fare ce n’è ancora tanta. Per dire, questo è il primo film con tre attori sordi come protagonisti. Mi piacerebbe capitasse più spesso, invece di solito restiamo sullo sfondo, relegati in ruoli minori».Vinse l’Oscar all’esordio, unica attrice sorda di sempre. Che ricordi ha di quella notte?«Era tutto surreale. Avevo ventun anni e venivo premiata al debutto di fronte a un nugolo di star. Quando William Hurt pronunciò il mio nome titubai per qualche istante, pensavo a un suo scherzo. Poi mi resi conto che sarebbe stato impossibile di fronte a milioni di spettatori. Salii sul palco con tutta l’umiltà possibile, cercando di non dimenticare i nomi delle persone da ringraziare. Purtroppo il giorno dopo i critici scrissero che mi avevano premiato per compassione, che una sorda nel ruolo di una sorda non significava recitare. È stato umiliante. Però non mi sono lasciata abbattere e ho tirato dritto».Com’era stata scelta per Figli di un dio minore?«Ero a Chicago e avevo un piccolo ruolo in un allestimento dell’opera teatrale. La sera della prima un’agente ci avvicina per proporci di registrare su nastro i nostri ruoli. Quella cassetta finisce a Hollywood, nelle mani della regista Randa Haines, che insiste perché sia io la protagonista della versione cinematografica. È accaduto tutto in un batter d’occhi, ma lo ricordo come se fosse oggi».Com’è stato interpretare per ben tre volte l’inno americano nella lingua dei segni al Superbowl?«Negli Stati Uniti quello è un momento iconico. Su quel palco hanno cantato star della musica come Michael Jackson, Whitney Houston, Prince. Essere lì a esibirmi davanti a un pubblico sterminato insieme a Garth Brooks, Billy Joel e Lady Gaga è stato un onore che non dimenticherò mai».Perché da ragazza aveva scelto di studiare diritto penale?«Amavo le serie poliziesche e sognavo di aiutare gli altri come agente di polizia. Ma all’epoca la sordità era una barriera enorme anche nelle forze dell’ordine e non ce l’ho fatta. Per fortuna, con il senno del poi».Quando ha capito che avrebbe voluto fare l’attrice?«Da ragazzina, in un campo estivo. Lì cantai per la prima volta una canzone nel linguaggio dei segni. In seguito mi unii all’International Center for Deafness and the Arts e continuai a esibirmi fino a 15 anni. In quel posto magnifico è sbocciato il mio amore per la recitazione».Chi l’ha incoraggiata lungo quel percorso?«A parte i miei genitori, il sostegno più grande l’ho avuto da Henry Winkler (il Fonzie di Happy Days N. d. R.). L’ho conosciuto quand’ero adolescente e da allora è sempre stato per me un amico e un mentore. Un giorno mi disse che se avessi seguito il cuore sarei potuta diventare ciò che desideravo. Otto anni e mezzo dopo ero su un palco con l’Oscar in mano. Senza Henry e la sua amicizia non ci sarei mai arrivata».Negli anni ha scritto numerosi libri. A chi sono rivolti?«A chiunque abbia un sogno ma si sente dire che non lo potrà raggiungere perché è diverso. Fin da bambina sognavo di poter raccontare come essere sordi non sia un problema. Sia i miei romanzi per i più piccoli, sia la mia autobiografia sono lì a testimoniare che nella vita tutto è possibile. E che nessuno dovrebbe mai permettersi di ostacolare i sogni di un bambino».A cosa sta lavorando?«Sto producendo un documentario sulla storia poco nota di una bodybuilder che, tra le altre cose, era sorda. Sto anche sviluppando un paio di serie tv, che spero possano essere prodotte. Soprattutto, sono impegnata a essere la mamma dei miei figli. Trovare il giusto equilibrio tra lavoro e famiglia è una bella sfida, ma è ciò che amo. Non vorrei mai una vita diversa da così».