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 2022  marzo 07 Lunedì calendario

Intervista a Antonio Pappano

Irrompe fra noi Turandot, principessa dal cuore di ghiaccio.
Intenso è il profumo esotico emanato dalla Cina fiabesca nella quale è tuffata l’ambientazione. La musica ci sommerge di bellezza e parallelamente è ricca di suggestioni interrogative la vicenda, dove gli enigmi da risolvere martellano i pretendenti alla gelida manina regale, e se non li sbrogliano meritano la decapitazione. È una trama di sangue e seta, di atrocità e di scherno. Puccini la nutre col suo estro incantatorio.
Il titolo prende vita due volte a Roma in questo mese. Il 12 approda in forma di concerto all’Auditorium Parco della Musica per Santa Cecilia, con la guida esperta e raffinata di Antonio Pappano e un cast d’eccellenza in cui brilla Jonas Kaufmann, divo della lirica odierna. Turandot sarà poi al Teatro dell’Opera il 22 con la brava Oksana Lyniv sul podio e la regia del cinese Ai Weiwei. È un’abbinata potente non solo in senso artistico, ma anche politico.
Lei, ucraina, lancia dichiarazioni di fuoco contro la guerra che sta massacrando la sua terra. Lui è un visual artist di fama gigantesca che fu molto perseguitato in patria.
Occupiamoci della Turandot ceciliana. Verrà registrata dalla Warner Classics e il disco si prevede pronto nel 2023. Si tratta di un atteso debutto per Pappano, musicista di fertile smalto pucciniano. Lui si definisce elettrizzato dall’alto livello dei cantanti, «tra cui Kaufmann che interpreta Calaf e Sondra Radvanovsky nella parte della protagonista». Specifica che «anche Kaufmann esordisce in Turandot cantando per la prima volta il ruolo di Calaf nel quale fa confluire la sua vastissima esperienza pucciniana». Inoltre Pappano sottolinea la qualità della musica di quest’opera «capace di riflettere ciò che si agitava nell’arte musicale d’inizio Novecento, da Debussy a Stravinskij. Tuttavia Puccini non imita nessuno e mantiene la propria originalità».
Maestro, lei ha diretto spesso opere puccianiane. Come mai non aveva ancora voluto affrontare “Turandot”?
«Sentivo un rapporto problematico con la sua drammaturgia e la sua trama elementare, ispirata a una fiaba di Carlo Gozzi. Però ho esplorato molto quest’opera da giovane, suonandola al pianoforte per accompagnare mio padre, il quale insegnava canto. Conosco la partitura dall’interno. Ora ho deciso di indagarne a fondo, dirigendola, tutte le seduzioni musicali e un’orchestrazione che considero formidabile. Turandot contiene arie memorabili: oltre alla celeberrima “Nessun dorma”, ci sono “Non piangere, Liù!”, “Tanto amor, segreto e inconfessato”… Ed altro. Struggente al massimo è la morte di Liù: ogni volta, quando una ragazza muore, Puccini s’esprime al suo meglio».
Al compositore piace infierire con sadismo sulle giovani figure femminili?
«Non so se si possa parlare di sadismo, ma certamente Puccini sembra innamorato delle fanciulle in tutte le sue opere, e al tempo stesso pare che abbia un’urgente necessità di ucciderle. Le loro morti stimolano in lui la creazione di momenti musicali preziosi».
Anche se “Turandot” è una sorta di carneficina, tra il boia che affila le sue lame e le torture inflitte alla povera schiava Liù, l’opera è piena di humour, in particolare nella caratterizzazione dei tre dignitari di corte Ping, Pong e Pang…
«… che sono maschere vere e proprie e ne combinano di tutti i colori in una scena quasi da musical, orchestrata mirabilmente. Sono i custudi della purezza della principessa, da cui Calaf è attratto in modo irresistibile. L’ironia è graffiante, Puccini si muove fra le sponde della tragedia e di una suprema leggerezza. Può avere un gusto selvaggio e sanguinario, ben incarnato dal boia denominato Pu-Tin-Pao (Pappano ride pronunciando il nome Pu-Tin, ndr), e possiede una tendenza estrema ai chiaroscuri. Centrale in Turandot è la presenza del coro, cosa che accade assai di rado nei lavori di Puccini, incline a usare il coro molto di più nelle opere giovanili che in quelle dell’ultimo periodo».
Puccini morì nel 1924 lasciando incompiuta “Turandot”, che fu poi terminata da Franco Alfano.
Lei adotta quel finale?
«Sì, sebbene sia un po’ “scassavoci”: tende ad avvicinarsi al verismo.
Alfano non era geniale come Puccini, ma la conclusione da lui approntata è funzionale teatralmente».
La sua “Turandot” sarà eseguita a Santa Cecilia in forma di concerto. Non è questo un tipo di presentazione che tradisce la fisionomia di un melodramma nato per essere uno spettacolo teatrale?
«Sono un uomo di teatro che dirige spesso allestimenti operistici.
Eppure sono colpito da quanto possa risultare teatrale un’opera realizzata come un concerto.
L’impatto con la musica avvolge il pubblico nella Sala Santa Cecilia, il cui spazio immenso determina un’atmosfera di lontananza temporale molto evocativa».