la Repubblica, 7 marzo 2022
Intervista a Mifri Veso, l’atleta senza cittadinanza
Un salto triplo che vale il titolo italiano indoor under 18 e il lasciapassare per gli Europei. Mifri Veso lo ha realizzato il 20 febbraio, ai campionati di Ancona, con un balzo lungo 12,66 metri. E con l’entusiasmo dei suoi 16 anni il pensiero è corso subito avanti, agli Eyof di luglio, in Slovacchia, con i colori della nazionale stampati sul petto. Non sarà così. Perché lei, nata e cresciuta a Pordenone, dove studia all’istituto geometri e da 5 anni fa atletica, non è cittadina italiana. La ragione? È figlia di genitori originari del Congo e non ha ancora raggiunto la maggiore età per chiederla. Fine del sogno. Ma non delle speranze, visto che proprio qualche giorno fa, in commissione Affari costituzionali della Camera, è stata illustrata la riforma ius scholae che potrebbe spalancare le porte alle seconde generazioni con almeno cinque anni di scuola in Italia.Mifri, la delusione è stata tanta e non ha esitato a manifestarla suisocial. Come si sente?«Credo che questo sia molto ingiusto nei miei confronti, perché siamo appena all’inizio della stagione e so che potrei fare ancora meglio».Parla un italiano perfetto ed è integrata in tutto e per tutto. Le era mai capitato prima di avvertire una qualche discriminazione?«Assolutamente no. Nel tempo libero, mi comporto esattamente come i miei amici e qualsiasi italiano con cittadinanza. Qui ho frequentato l’asilo e le scuole dell’obbligo e sono iscritta al terzo anno dell’istituto “Pertini”. Stesso discorso per le mie attività agonistiche, anche perché ho un tesseramento equiparato che mi consente di gareggiare».Non però di partecipare alle competizioni internazionali con la maglia della Nazionale…«Proprio così. Ma ho realizzato il problema solo quando mi sono affermata ai campionati italiani assoluti. Allora, documentandomi, ho scoperto che nella mia stessa situazione si era già trovata Great Nnachi, 17 anni, figlia di nigeriani, campionessa di salto con l’asta, a sua volta impossibilitata a rappresentare gli azzurri all’estero».Ad Ancona c’era anche il console del Congo, che le ha proposto di indossare la maglia del suo Paese.«Ho risposto che lo ringraziavo, ma non potevo accettare. Anche perché, se lo avessi fatto, in base al regolamento non avrei più potuto rappresentare l’Italia, neppure con la cittadinanza. Del resto, non sono mai stata in Congo e non parlo il francese, che è la lingua ufficiale. Ho una sorella di 21 anni e i miei genitori si sono trasferiti in Italia prima che lei nascesse. Anche alcuni miei parenti vivono qui».Cosa significa essere italiana?«È qualcosa che va oltre i dieci anni di residenza in questo Paese. Secondo me, lo sei, come lo sono io, se hai vissuto e frequentato le scuole qui, se ne conosci la cultura e… beh, se tifi italiano. Ci sono persone che sono nate in Italia da genitori italiani, ma non sanno niente della sua storia e delle sue tradizioni e non si rendono neppure conto di cosa rappresenti l’appartenenza a una nazione».Nel suo futuro vede solo lo sport?«Mi alleno cinque volte a settimana per 2-3 ore al giorno. Ma l’altra mia passione è l’arredamento delle case.Dopo le superiori vorrei trasferirmi al Politecnico di Milano e studiare per diventare interior designer ».Manca ancora qualche mese agli Europei. Continua a crederci?«Certo che sì. Vorrei che il mio caso arrivasse a chi può cambiare le cose, contribuendo a superare quest’ingiustizia anche per i tanti altri atleti che rischiano di trovarsi nella mia stessa condizione. La speranza, ora, è che la riforma sui cicli scolastici passi davvero».