Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  marzo 07 Lunedì calendario

La parola evacuare

DEntro all’”evacuare” un orecchio distratto, un intelletto fantasioso potrebbero avvertire una presenza di acqua, quindi un’idea di liquidazione, scorrimento fluido verso il non si sa dove. Non è però l’acqua a determinare e reggere le sorti semantiche della parola. È il vacuo, il vuoto: evacuare non significa liquefare ma proprio svuotare, cancellare la presenza. La guerra distrugge le case, le cose; uccide gli esseri viventi; si interrompe solo per svuotare le case, le terre. Produce morti, feriti e profughi, che sperano poi di divenire “rifugiati” cioè di trovarlo, il rifugio: altrove, dopo la fuga. La più recente traduzione di The Waste Land,
il capolavoro di T.S. Eliot, non rinnova la tradizionale resa italiana del titolo e qualifica la “terra” non come “desolata”, bensì come “devastata”. Questo secondo aggettivo introduce un tratto violento di saccheggio e distruzione, ma all’origine c’è in entrambi i casi l’abbandono (il latino vastus sta per “spopolato”). Il tradizionale binomio dei danni causati dalla guerra, “morte e distruzione”, dovrebbe allagarsi: “morte, distruzione e abbandono”. Meno tragico, il terzo membro produrrà però gli effetti civili e sociali più profondi, più durevoli.