la Repubblica, 7 marzo 2022
La parola evacuare
DEntro all’”evacuare” un orecchio distratto, un intelletto fantasioso potrebbero avvertire una presenza di acqua, quindi un’idea di liquidazione, scorrimento fluido verso il non si sa dove. Non è però l’acqua a determinare e reggere le sorti semantiche della parola. È il vacuo, il vuoto: evacuare non significa liquefare ma proprio svuotare, cancellare la presenza. La guerra distrugge le case, le cose; uccide gli esseri viventi; si interrompe solo per svuotare le case, le terre. Produce morti, feriti e profughi, che sperano poi di divenire “rifugiati” cioè di trovarlo, il rifugio: altrove, dopo la fuga. La più recente traduzione di The Waste Land,
il capolavoro di T.S. Eliot, non rinnova la tradizionale resa italiana del titolo e qualifica la “terra” non come “desolata”, bensì come “devastata”. Questo secondo aggettivo introduce un tratto violento di saccheggio e distruzione, ma all’origine c’è in entrambi i casi l’abbandono (il latino vastus sta per “spopolato”). Il tradizionale binomio dei danni causati dalla guerra, “morte e distruzione”, dovrebbe allagarsi: “morte, distruzione e abbandono”. Meno tragico, il terzo membro produrrà però gli effetti civili e sociali più profondi, più durevoli.