Domani, 7 marzo 2022
Il problema del silicio per produrre pannelli solari
La transizione energetica, quella che ci libererà dalla dipendenza dal gas russo, non va a rilento solo per la burocrazia. Secondo un rapporto della Commissione europea sulle vulnerabilità strategiche dell’Unione uscito pochi giorni fa, nel 2021 il 20-25 per cento degli impianti solari previsti in Europa è stato rinviato o cancellato per mancanza di materiali. La spiegazione va cercata guardando a oriente.
L’Europa produce il 2 per cento dei pannelli solari del mondo, delle dieci fabbriche più grandi sette sono cinesi, una è coreana, una è canadese e una è americana. Per i nostri progetti solari dobbiamo metterci in coda e aspettare quello che succede a migliaia di chilometri di distanza.
E nel 2021 la catena di produzione si è bloccata per un mix di guerre commerciali, questioni legate ai diritti umani e problemi di produzione delle materie prime. A fine settembre le cinque più grandi fabbriche di pannelli fotovoltaici al mondo – tutte cinesi, in totale metà del mercato fotovoltaico globale – hanno chiesto ai clienti di posticipare gli ordini e rallentare le installazioni per evitare strozzature nelle catene di approvvigionamento.
Mancava un mese a Cop26 e fu uno shock scoprire che la produzione di un tassello così importante stava facendo fatica a tenere il passo delle richieste. Entro l’inizio dell’anno il rallentamento è stato in parte assorbito, ma è stato un segnale d’allarme serio.
CERCANSI SILICIO
L’elemento critico, il collo di bottiglia di tutta l’industria del solare, è un materiale che è entrato nei nervi di tutta la nostra società: il silicio. È il secondo elemento più abbondante sulla crosta terrestre dopo l’ossigeno, si trova nella sabbia, nei mattoni, nel vetro.
Nell’industria della seconda parte del novecento è stato alla base dei transistor e dei microchip, in quella del nuovo secolo è il cuore di ogni pannello fotovoltaico, in grado di sfruttare l’effetto fotoelettrico, per il quale una superficie metallica colpita dalla radiazione elettromagnetica della luce rilascia elettroni.
Affinché tutto questo accada è necessario il lavoro di un semiconduttore, quel semiconduttore dentro le celle di un pannello fotovoltaico oggi è il silicio policristallino.
Le condizioni di produzione di questo materiale sono anche il principale limite industriale del solare, nonché uno dei motivi per cui la Cina domina il mercato, grazie alla sua disponibilità di energia, spazio e lavoro a basso costo.
La crisi energetica però ha colpito anche la Cina e ha fatto aumentare i costi di produzione del silicio policristallino, strozzando il mercato, rallentando il processo, accelerando la ricerca di alternative. A fine 2021 i prezzi del silicio policristallino erano ai livelli più alti da un decennio, quadruplicati nel giro di un anno.
«Il silicio non ha un problema di abbondanza, si trova facilmente, ma per essere utilizzato nei panelli solari deve arrivare a un livello altissimo di purezza attraverso processi industriali estremamente energivori», spiega Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale, ricercatore all’Università dell’Insubria e curatore del libro Che cos’è la transizione ecologica.
«È il motivo per il quale vent’anni fa, agli albori dell’industria, si usavano addirittura gli scarti della produzione di microchip, per fare i quali il silicio deve essere ancora più puro». Per diventare policristallino, il silicio che troviamo agevolmente in natura deve essere lavorato a temperature altissime, fino a 2mila° C.
Nel 2010 secondo dati di IHS Markit la Cina produceva il 26 per cento del silicio globale. Nel 2020 è arrivata all’82 per cento. La produzione è esplosa, anche per i sussidi e il riconoscimento dell’importanza geopolitica che avrebbe avuto controllare la filiera, proprio mentre le fabbriche europee perdevano vantaggi competitivi e tecnologici e chiudevano una dopo l’altra.
È così che si è sviluppato uno dei paradossi di questa industria: l’impronta di un pannello solare in Cina è doppia dei pochissimi realizzati in Europa, perché l’energia che va dentro questi processi arriva ancora in larga parte dal carbone.
Va però detto che anche nel peggior scenario produttivo le emissioni vengono comunque compensate da quelle risparmiate nei primi anni del suo lungo ciclo di vita: anche gli sporchi pannelli cinesi sono comunque più climaticamente puliti di qualsiasi fonte fossile.
La Commissione europea ha individuato nei pannelli fotovoltaici una delle cinque grandi vulnerabilità strategiche dell’Unione. Le altre sono: terre rare e magnesio, prodotti chimici, cybersicurezza e software informatici.
Sul fotovoltaico la crisi russa ha mostrato come il tempo in cui facciamo la transizione è un elemento fondamentale, ma in un settore in cui produciamo solo due pannelli su cento i tempi non dipendono da noi. Un altro motivo per cui le fabbriche cinesi hanno rallentato la produzione è legato a una questione di diritti umani.
QUALCUNO VIENE SFRUTTATO
La Cina è riuscita a diventare leader del silicio policristallino sfruttando il lavoro forzato dei uiguri nella regione dello Xinjiang, dove viene prodotto il 45 per cento della materia prima su base globale.
È un problema condiviso con altri settori, come il cotone usato nell’industria del fast fashion, motivo per il quale diversi brand hanno interrotto i rapporti con i fornitori della regione.
Gli uiguri, minoranza turcofona e musulmana della Cina, sono uno dei gruppi etnici più vulnerabili al mondo, sono sottoposti a costanti violazioni dei diritti umani. Secondo un report del centro studi Horizon Advisory, le fabbriche del silicio policristallino per pannelli solari dello Xinjiang assorbono gli uiguri dopo i programmi di rieducazione del Partito comunista cinese.
Le condizioni sono spesso equivalenti a lavori forzati, visto che l’occupazione in fabbrica è parte del programma obbligatorio di indottrinamento.
I diritti umani degli uiguri sono la principale criticità etica di questa filiera, paragonabile al problema delle batterie con il cobalto. Sia l’Ue e che gli Usa stanno mettendo in campo strumenti per eliminare il contenuto di schiavitù dai pannelli solari, spingendo la Cina a spostare alcune fabbriche in altre regioni, come Mongolia interna o Sichuan, e anche questo ha rallentato la produzione e i nostri progetti di transizione.
A giugno la U.S. Customs and Border Protection ha messo al bando tutti i pannelli solari che contengono il silicio policristallino prodotto da una grande fabbrica dello Xinjiang, Hoshine Silicon Industry Company. Il responsabile dell’agenzia doganale Usa, Alejandro N. Mayorkas, aveva detto: «I nostri obiettivi ambientali non saranno raggiunti sulla palle di esseri umani ai lavori forzati».
A dicembre è passata all’unanimità al Congresso una legge che rende parte di tutte le policy Usa la presunzione che i prodotti in arrivo dallo Xinjiang contengono quote di lavori forzati, salvo eccezioni documentate. Una task force lavorerà a una lista di fornitori approvati.
La Commissione europea è al lavoro su un regolamento simile, che obbligherà chi vuole importare in Europa a una due diligence sulla sostenibilità delle pratiche di lavoro. Non è diretta sui pannelli solari ma sarebbe uno dei settori più impattati.
IL RECUPERO EUROPEO
Questi movimenti conducono a una sola conseguenza: come nel settore delle batterie, l’Unione europea deve recuperare il decennio perduto, invertire il corso della storia che ha spinto dieci anni fa Bosch e Siemens a chiudere le fabbriche di pannelli solari perché non reggevano la competizione cinese.
Ci vorrà tempo, ma le cose si stanno muovendo. Nel 2021 un consorzio di aziende ed enti di ricerca hanno creato la European solar initiative, un progetto che ha l’obiettivo di portare la produzione Ue a 20 GW entro il 2025.
Enel green power ha annunciato recentemente che scalerà la produzione di celle solari a Catania da 200 mWh a 3 gWh all’anno nell’arco di tre anni. È un’iniziativa finanziata dalla Commissione, che ha dato il sostegno a sette progetti sulla produzione di celle solari ad alto contenuto di innovazione.
Ed è proprio l’innovazione una delle chiavi per riportare l’Europa al centro della mappa solare. Si cercano da tempo alternative al silicio policristallino, dove la forza cinese rimarrà difficile da contrastare. Ci sono tante direzioni possibili, la più promettente si chiama perovskite.
Nel mondo delle rinnovabili la ricerca sul potenziale di questo minerale abbondante e facile da lavorare è quella che ha avuto l’avanzamento più veloce di sempre, in pochi anni ha raggiunto risultati che si ottengono in decenni.
Il Cnr ha di recente pubblicato uno studio: l’efficienza è già più elevata del silicio, i costi sarebbero più bassi, per ora ha un problema di degrado, da superare per competere con gli attuali pannelli, che durano trent’anni.
È un materiale in fase di laboratorio ma sul quale ci sono enormi aspettative, soprattutto perché ci permetterebbe di recuperare il vantaggio tecnologico perduto nei confronti della Cina.