la Repubblica, 6 marzo 2022
A cent’anni dalla nascita dei corridoi
«Schiacciata la Serbia (1917), la Germania si era aperta la via verso l’Oriente e questa via aperta fu detta corridoio». Tra un anno ne saranno passati cento da quando il letterato Alfredo Panzini registrò questo nuovo uso lessicale, nell’edizione 1923 del suo Dizionario moderno. In quella del 1935 avrebbe aggiunto qualche riga sul “corridoio polacco”: «La zona, in territorio tedesco, che dà accesso al mare allo stato di Polonia, sorto col trattato di Versaglia». È quindi da poco più di un secolo che la geopolitica bellica e post-bellica ha ottenuto il termine in prestito dall’architettura civile.
Nello spogliatoio ci si spoglia, nel serbatoio si serba, sullo scrittoio si scrive: meno comune è però correre in corridoio. È più un’idea del poterlo fare, lungo e stretto com’è quello spazio. Nelle case ha la funzione di disimpegno, smistamento e conservazione dell’indipendenza dei diversi ambienti. Negli uffici e negli ambulatori (altri luoghi dove si cammina) ci si fa anticamera. Diventa “umanitario” quando è lo spazio concordato, a fatica, per mettere in salvo chi può essere salvato.
Soprattutto in quest’ultimo caso il corridoio è uno spazio sempre molto lungo, sempre molto stretto.