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 2022  marzo 06 Domenica calendario

Come sono diventato patafisico

La libertà sta nel non arrivare mai in orario. E forse è per questo che i componenti del Dipartimento dei Notabili Impassibili dell’Istituto Patafisico Vitellianense sono arrivati alla spicciolata. Chi prima, chi dopo e chi non è mai arrivato.
L’appuntamento per il pranzo patafisico cui chi scrive era invitato come osservato speciale: diventerò anch’io, prima o poi, un patadepto? era fissato per le ore 13, con una rigidità, diciamo così, molto gassosa, del giorno 22.02.2022, data palindroma e ambigramma, patafisicamente perfetta. «E mentre Vladimir Putin pianificava l’attacco all’Ucraina, voi gozzovigliavate!?». L’ironia, l’assurdo e il paradosso – si ricordi – non sono atteggiamenti e concetti del disimpegno, ma il modo migliore per disinnescare le tragedie. Alfred Jarry insegna. Ma anche Charlie Chaplin. E persino Baj, che della somma Scienza delle soluzioni immaginarie era grande cultore e Ministro Indivisibile dell’etoile d’or. Bye-bye, Enrico.
«Ciao, ciao: come stai?!». «E tu?». «Bello rivederti». «Dov’eri finito?». «Eccoti!». «Ci sei anche tu?!». «No».
Ritrovo in una centralissima Trattoria Milanese che non è un aggettivo, ma il nome in via Santa Marta, tra piazza Affari, la più metafisica d’Italia, e il barbiere di Stefano Salis. Barba virile decus, et sine barba pecus. Ovvero: «La barba è decoro dell’uomo e chi è senza barba è pecoro». Ma anche: «Philosophum non facit barba».
Scienza, più che filosofia, metodo più che moda, ed eccezione più che regola, la patafisica in fondo è un’arte. Del desiderio, dell’utopia, dello sberleffo, del non senso. Dimostrando di possederne molto. Ed è frequentata da pensatori, pittori, scrittori, musicisti, poeti, perdigiorno. Del resto, «intellettuale» è una parola che esiste solo come aggettivo. Imagino ergo sum.
Eccoli arrivare uno a uno i Notabili Impassibili, e sedere attorno alla lunga tavolata patafisica convocata da Afro Somenzari, Reggente Reumatologo dell’Istituto Patafisico Vitellianense, da lui fondato nel 1994 con Enrico Baj e Ugo Nespolo, e incidentalmente anche patron di FUOCOfuochino, la più povera casa editrice del mondo. De minimis curat Pataphysica. Oggi ci sono Alberto Casiraghy, editore, aforista («E liutaio. Ci tengo molto...») e Grande Ufficiale Planetabile. Gino Ruozzi, italianista insigne, gran gourmet e Ammiraglio Chiosatore. Paolo Albani, scrittore, poeta visivo e Console Magnifico. Roberto Barbolini, romanziere, giornalista e Soprintendente Perpendicolare. Hans Tuzzi, giallista, saggista, erudito e Cancelliere Inclusivo. Edgardo Franzosini, scrittore, traduttore e Ambasciatore Biografico. Stefano Salis, bibliofilo, gastronomo e Prefetto Allegorico. Duccio Scheggi, poeta, performer e Cancelliere Capo Archivista. E a capotavola, Ugo Nespolo, il Faraone: ottant’anni, 745 mostre fra personali e collettive, la storia della Patafisica italiana nella mano sinistra e nella destra il bastone del comando, lo scacciamosche gidugliato, rosso con la simbolica spirale a vortice disegnata dal maestro stesso sulla paletta flessibile: autorità – perché la Patafisica non è anarchia – ricordi del «Turin Institute of Pataphysics» e ciapamusche! Buona norma della patafisica: «Meno si fa, meglio è».
«Il corpo è un veicolo tanto più necessario dato che sostiene gli abiti, e con gli abiti, le tasche». Mise e distintivi dei convitati: si sfoggiano spille rotonde con la scritta «I Love Satie», talismani contro la stupidità arrembante, cravatte Lavallière e pochette. È tutta una pochade. «Non c’è bisogno di aspettarsi delle cose complicate per trovare la Patafisica».
Mancano, ma è come se ci fossero: Guido Conti, Governatore Ellittico; Alessandro Bergonzoni, Procuratore Verbale; Paolo Fresu, Ministro Protoceleste; Franco Brambilla, Ministro Atlantico; Vittorio Orsenigo, Principe Asimmetrico... L’essenza della patafisica è l’assenza.
Rumori di forchette, piatti e chiacchiere. Si inizia. Saluto ai Notabili Impassibili del Faraone, ovviamente in latino, essendo la lingua ufficiale della Patafisica, scienza che si estende al di là della metafisica quanto la metafisica al di là della fisica. «Tutto è patafisico, eppure pochi lo mettono in pratica coscientemente». Dottissima prolusione del Reggente sull’odierna giornata patafisica: «Notabili Impassibili, alzatisi Sarzi, partiti dalle loro Casiraghy, come una famiglia Brambilla, si dirigono a Milano. È l’Albani, il cielo grigio, fa Fresu e il viaggio lungo...». Poi magistrale lettura integrale da parte del Prefetto Allegorico della poesia Tuberie, anno del Secondo Futurismo 1932, di Vittorio Osvaldo Tommasini, in arte Farfa. Applausi anche dagli avventori ignari di Patafisica.
La foto di rito, virata seppia, sembra uscire da un album degli anni Dieci del Novecento, a cadavere ancora caldo di Alfred Jarry (1873-1907), progenitore di ogni avanguardia artistica e dell’idea Patafisica, scuola provocatoria di pensiero, convivenza di spirito granguignolesco e raffinate idee. «Sto morendo – disse – Per favore portatemi uno stuzzicadenti».
Menu della giornata: cadavre exquis, vino nuovo, risotto e osso buco, cervella di vitello fresca, cotolette farcite al prosciutto, zabaione caldo («Ottimo!»), umorismo crasso, surréalisme, farsa, parodia e cornoventraglia.
Scienza inventata perché insegna padre Ubu – se ne sentiva generalmente il bisogno, la Patafisica spiega l’universo supplementare al nostro. Inserita in una complessa rete di riferimenti culturali, in effetti si rivela l’unico modo possibile di concepire la realtà. Argomenti di discussione durante il pranzo: i romanzi gialli di Boris Vian, quanti sono gli pseudonimi di Hans Tuzzi, a che ora parte il treno per Torino di Ugo Nespolo, quella volta che – 1998, prima grande kermesse patafisica a Pomponesco – un operatore di Raitre chiese a Baj: «Che cos’è la Patafisica?», e lui rispose: «Che cos’è Raitre?»; quale potrà essere la carica del sottoscritto, quando (e se) sarà investito con apposita cerimonia e imposizione del mestolo; di alcune orribili copertine fotografiche viste di recente, di diverse pessime copertine di Feltrinelli, di alcune brutte copertine dei libri di Juan Rodolfo Wilcock (del Covid non si parla per espresso divieto del reggente, ma si accenna al Conad, un supermercato rivale); se sia il caso di aprire anche alle donne l’Istituto Patafisico Vitellianense (tema divisivo e subito abbandonato, comunque Jarry fu sempre contrario alle patafemmine), come creare una collezione di schiaccianoci erotici dell’Ottocento, del fatto che stranamente la Patafisica faccia evaporare il vino, di lapsus e refusi («Purtroppo sempre più frequenti anche nei libri di grandi editori». «Adelphi no però!». «Anche Adelphi, anche Adelphi...»), del fatto che il tesserino dell’Ordine dei Giornalisti sia quanto di meno patafisico esista, e del progetto – immediatamente abbandonato di scrivere un romanzo a più mani, un capitolo per ogni Notabile Impassibile.
Automatismi surrealisti, associazione di elementi, curiose leggi Aplanetiche, l’imperdibile Ubu et la grande Gidouille e la terribile punizione, in caso chi scrive non superasse la prova di osservato speciale, di leggere dieci volte ad alta voce Il nome della rosa di Umberto Eco. Speriamo di no.
E per quanto riguarda la Patafisica, non l’avevo mai vista. Ma me la ricordavo diversa.