La Stampa, 6 marzo 2022
Biografia di Valentino Bompiani
Sulla copertina della sua autobiografia uscita di recente, La penultima illusione (Feltrinelli), c’è una foto dell’autrice Ginevra Bompiani all’età di tre anni, vicino a sua sorella e a suo padre Valentino, il conte editore, così chiamato per via del titolo nobiliare, tutto preso dal suo solitario di carte.Valentino Bompiani, scrittore e drammaturgo, è stato uno dei maggiori protagonisti delle lettere italiane e, con la sua celebre casa editrice nata nel 1929, ha promosso gran parte della cultura italiana del Novecento. Ed è stato definito il grande amico dei suoi autori. Nella foto di copertina non guarda le figlie e Ginevra sembra nervosa e stringe il piccolo pugno.Signora Bompiani, suo padre era anche amico delle sue figlie?«Umberto Eco ha sottolineato molto il rapporto che legava mio padre ai suoi scrittori. Sosteneva, cito quasi a memoria, che “Bompiani aveva per i suoi autori un rispetto quasi religioso”. E aggiungeva che questo non voleva dire che ne ignorasse i difetti e le debolezze ma che li considerava difetti di un “Autore” con la maiuscola e che di ognuno di loro ricordava aneddoti e pagine memorabili. Sia io che mia sorella abbiamo lavorato con papà. Con mio marito, Giorgio Agamben, ho messo in piedi all’interno della casa editrice una collana, il “Pesanervi”. Mio padre sosteneva che non dovevo avere alcun privilegio, quindi sgobbavo il doppio. Giorgio sceglieva titoli e pubblicavamo autori di grande prestigio, come Adolfo Bioy Casares, ma io mi occupavo anche della parte pratica. Valentino era famoso non solo per la dedizione con cui sovrintendeva alla casa editrice ma anche per il rispetto e il tremore, è la parola giusta, che incuteva. Con lui bisognava fare attenzione non solo a quello che si diceva ma anche – è un paradosso – a come si taceva. Anche da ragazzina, ecco l’origine del pugno chiuso nella foto, ero molto decisa e testarda. Ed ero spesso investita dalle sue scenate».Quello messo in piedi da Bompiani è stato un catalogo straordinario che accoglie le opere di alcuni dei più influenti autori della letteratura italiana, tra cui Alberto Moravia, Umberto Eco, Vitaliano Brancati, Corrado Alvaro, Raffaele La Capria ed Elio Vittorini, e della poesia, filosofia e narrativa internazionale, come T.S. Eliot, J.R.R. Tolkien, Albert Camus, John Steinbeck, James Cain, Erskine Caldwell, Archibald Joseph Cronin, André Gide, Patricia Highsmith e Jean-Paul Sartre. Sono state dunque necessarie grandi lotte e tanta autorevolezza per convogliare nella casa editrice milanese questo meraviglioso bottino? E altrettanto si può dire per la costruzione di un monumento come il “Dizionario letterario delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature”?«Un critico ha parlato, a proposito della conduzione della casa editrice, di “signorilità, gusto, rigore e determinazione": direi che questa è stata la cifra di papà. Non ero la sola a essere destinataria delle ire paterne. Però alcuni erano esentati. Eco, che dagli anni Cinquanta diresse collane di studi e pubblicò da Bompiani i propri scritti, non era mai un bersaglio. Lo sa qual era la sua arma di difesa? L’ironia. Arrivava in ufficio la mattina alle undici, e questo irritava l’editore che gli chiedeva come mai si presentasse a quell’ora, ed Eco lo smontava con una battuta. Il giorno dopo se sedeva alla scrivania alle dodici. Era l’unico che chiamasse mio padre zio Val».Eravate una grande famiglia, insomma?«Non c’è dubbio. Mi ricordo che in occasione di un’eclisse di sole mio padre rientrò e trovò la casa editrice deserta. Eravamo tutti sull’autostrada a guardare il fenomeno celeste. La sera ci ritrovavamo in casa Berio oppure nelle balere. Quando molto tempo dopo ho dato vita a “Nottetempo”, una mia casa editrice, cercai di ricreare quell’atmosfera con la squadra di lavoro e con gli autori».C’erano anche grandi rivalità con Einaudi, Mondadori, Feltrinelli e altri editori?«Gli editori andavano insieme alle Fiere e si davano consigli. Mi ricordo come mio padre a Francoforte cercasse invano di frenare Alberto Mondadori da acquisti scriteriati. Parlavano di libri, però, non di fatturato. E tra gli editori militanti non c’era solo Einaudi ma anche Bompiani che pubblicava le opere di Vittorini. Sotto il fascismo la casa, con un gesto di indipendenza dal regime, per esempio, aveva fatto uscire l’antologia Americana a cura di Vittorini con la prefazione di Emilio Cecchi».Però ha dato alle stampe anche la traduzione italiana del Mein Kampf di Adolf Hitler la cui pubblicazione è stata sovvenzionata da Mussolini. Lei che è sempre stata un’intellettuale di sinistra come ha giudicato questa scelta di suo padre?«Papà alle accuse ribatteva: “Ma volevi che non si facesse conoscere agli italiani un’opera così? Anzi, la cosa che mi dispiace è che non l’abbiano letta tutti gli italiani”. Quando nel dopoguerra vennero in Italia Sartre e la de Beauvoir ci accusarono di essere di destra. Non era vero, ma si scandalizzarono perché vennero a cena da noi e si ritrovarono in una casa borghese in cui c’erano i camerieri a servirli. Valentino è stato un editore che si è spremuto come un limone nella sua faticosa avventura editoriale».Scrittori che non sono rientrati nella scuderia Bompiani e che suo padre si è addolorato di non aver pubblicato?«Con Pier Paolo Pasolini, che era ospite a casa nostra al mare per lunghi periodi, aveva una grande intimità e consuetudine. Sicuramente avrebbe pubblicato volentieri le opere ma editò solo un paio di numeri della rivista Officina. Erano così amici che quando io avevo 15 anni Pier Paolo gli chiese farmi recitare in Mamma Roma. “Avrei per Ginevra una parte da puttanina simpaticissima”. Mio padre inorridì e rifiutò. Elsa Morante una sera gli portò il dattiloscritto di Menzogna e sortilegio e gli intimò: “Mi dia una risposta domani mattina”. Erano circa seicento pagine e papà fu costretto a rimandare l’offerta al mittente. Quando Elsa prendeva le anfetamine, che secondo lei l’aiutavano a scrivere, era animata da una forza interiore che la rendeva intrattabile».Suo padre vendette la Bompiani nel 1972 al gruppo Rcs, fu per lui una grande sofferenza?«Direi proprio di sì. Ma continuò ad andare in casa editrice con tutta la sua energia e la sua fierezza. Mantenne le sue abitudini. Non si sedeva mai nel suo ufficio, salvo quando doveva ricevere qualcuno. Si metteva nell’ampia stanza della segreteria e come aveva sempre fatto si dedicava a ritagliare e a disegnare le copertine per cui aveva una speciale passione. Mi ricordo che il giorno in cui l’editrice fu venduta io ero all’università per sostenere un esame di letteratura italiana contemporanea che doveva integrare il corso di laurea che avevo frequentato in Francia anni prima. Il professore mi chiedeva di Moravia, Brancati e Alvaro... A me a sentire quei nomi veniva da piangere per la commozione. Anche Eco, che nel 1980 pubblicò da Bompiani Il nome della rosa si rammaricò molto per l’uscita di papà dalla proprietà della casa editrice. Era cresciuto proprio lì e il successo planetario del suo libro aveva le sue radici nell’atmosfera creata da papà Valentino, l’"editore protagonista”, come lo chiamavano, una figura di professionista che oggi si è estinta per sempre». —