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 2022  marzo 06 Domenica calendario

Gli asiatici dell’esercito di Putin

l cartello con la scritta «No alla guerra» è talmente grande da coprire Irina Ochirova dai piedi quasi fino al mento, quando lei lo srotola sotto il monumento a Lenin in una delle piazze centrali di Ulan-Ude, la capitale della Buriazia. Suo figlio Sergey, 25 anni di cui 7 nell’esercito russo, è caduto prigioniero in Ucraina, in quella guerra che il Cremlino proibisce di chiamare guerra. Il video nel quale lui ammette davanti a una telecamera di aver guidato un camion carico di munizioni delle truppe russe che hanno invaso l’Ucraina è finito anche nei social russi, ma è stato bollato dalle autorità come un falso della propaganda di Kiev. La madre però l’ha riconosciuto. È andata in piazza per dimostrare a tutti che «quello non è un fake, quello è mio figlio». Ma al ministero della Difesa non le hanno risposto, e anche la lettera che ha scritto a Vladimir Putin non ha suscitato nessuna reazione, e Irina teme che suo figlio possa venire archiviato come un «fake».Il numero reale dei caduti e dei prigionieri russi, dopo dieci giorni di guerra, continua a restare un segreto. Volodymyr Zelensky parla di 10 mila soldati russi uccisi, un’enormità (in dieci anni di invasione dell’Afghanistan le perdite ufficiali dell’Armata Rossa non hanno superato i 15 mila uomini), il ministero della Difesa russo ha ammesso due giorni fa 498 caduti, le Ong che monitorano la stampa russa (posta sotto censura) stimano i caduti menzionati nei media in un migliaio. Molti vengono dalla Buriazia, una repubblica della Federazione Russa che dista circa 6500 chilometri da Kiev, al confine con la Mongolia: almeno otto militari, quasi tutti della 11sima brigata speciale d’assalto, sono morti e numerosi altri sono stati catturati. Le liste dei militari uccisi o catturati pubblicate dagli ucraini – Zelensky ha ordinato l’istituzione di un numero verde e di un sito dove le madri russe potevano reclamare i loro figli – non sono accessibili in Russia, e spesso le famiglie e gli amici vengono a sapere loro notizie solo quando Kiev pubblica i video dei prigionieri. Ma chi ha avuto modo di leggerle, come il capo del team d’indagine giornalistica Bellingcat Christo Grozev, ha notato una notevole quantità di cognomi non slavi.Potrebbe ovviamente trattarsi di una coincidenza, ma la quota di soldati catturati o uccisi che non hanno cognomi russi sembra sproporzionata. Come Rafik Rakhmankulov, un carrista catturato dopo essere stato abbandonato insieme al suo carro rimasto a secco, che ora sua madre Natalia cerca di recuperare dall’Ucraina. Come Nurmagomed Gadzhimagomedov, del Daghestan, Konstantin Mandzhiev, della Calmucchia, e Ilnur Sibgatullin, del Tatarstan, o Viktor Isaikin, della Mordovia, commemorati ufficialmente dai capi delle loro regioni. Esperti militari ucraini avevano notato che già nel 2014 Mosca cercava di inviare nel Donbass soldati delle minoranze etniche della Russia, preferibilmente di religione musulmana. Il motivo è la parentela, linguistica, culturale, ma spesso anche di sangue tra russi e ucraini: nella parte europea della Russia è difficile trovare qualcuno che non abbia familiari dall’altra parte del confine, e comunque sparare a persone che parlano la stessa lingua può sembrare più faticoso.La frase di Putin che si è vantato, due giorni fa, di essere «daghestano e ceceno, inguscio e tataro, ebreo, mordvino e osseto», suona inquietante in questo contesto. Anche perché i ragazzi benestanti delle grandi città russe evitano la caserma, o iscrivendosi all’università, o pagando mazzette. Ad andare al fronte, dice Grozev, sono i figli delle province più remote e povere, di famiglie disagiate e poco istruite. Il politologo Abbas Galyamov scrive di fare fatica a credere a un livello di cinismo che scelga la carne da cannone per etnia, ma ammette che «un piano del genere potrebbe essere efficace: un morto in un villaggio sperduto della Yakuzia farebbe diventare nera di dolore la madre, farebbe ubriacare ai funerali i compaesani, e poi?». Molte famiglie non avrebbero il coraggio e gli strumenti per protestare, a volte nemmeno per scrivere un post di denuncia. E molte famiglie potrebbero addirittura non ricevere un corpo da piangere: gli ucraini sostengono di non riuscire a restituire le salme dei russi al loro comando. —