Corriere della Sera, 6 marzo 2022
Israele prova a mediare
WASHINGTON Oltre a quelli umanitari, Vladimir Putin sta chiudendo sistematicamente tutti i «corridoi diplomatici». Ieri il presidente russo si è prodotto in una serie di minacce, una più grave dell’altra. Due sono per l’Occidente: «Le sanzioni equivalgono a una dichiarazione di guerra» (e si è fatto dare la lista di tutti gli Stati che ne hanno approvate contro Mosca). E poi: «Chi istituirà una “no-fly zone” (la chiusura dello spazio aereo ndr) sull’Ucraina, verrà coinvolto nel conflitto». L’ultimo avvertimento è per il governo di Kiev: «Se continuerà ad agire così, l’Ucraina non sarà più uno Stato».
Ma il resto del mondo si sforza di tenere aperto il dialogo. La novità più importante è l’impegno di tre Paesi che finora sono rimasti piuttosto defilati. Innanzitutto la Cina. Il ministro degli Esteri, Wang Yi, si è sentito per telefono con il Segretario di Stato, Antony Blinken. Da giorni gli americani stanno facendo pressione su Pechino, perché dia una mano per arginare l’offensiva di Putin. Wang Yi ora chiede che «vengano fermati i combattimenti al più presto per salvaguardare le vite umane ed evitare una grande crisi umanitaria». Il ministro cinese sollecita «negoziati diretti tra Russia e Ucraina» e «un’intesa più ampia» tra Nato e il Cremlino. È in campo il primo ministro israeliano Naftali Bennett: ieri ha incontrato Putin, per oltre un’ora, a Mosca. Oggi vedrà il cancelliere tedesco Olaf Scholz in Germania. Da segnalare anche l’iniziativa del presidente turco Recep Tayyip Erdogan: sempre oggi proverà pure lui, con una conversazione telefonica, a convincere Putin. La Turchia, pur essendo un Paese Nato, non aderisce alle sanzioni contro l’economia russa.
Per ora, comunque, il quadro complessivo resta tetro: non c’è molta fiducia sul terzo round di negoziati tra russi e ucraini in programma per domani. E il primo a esserne consapevole, naturalmente, è Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino continua la sua offensiva politico-mediatica. Ieri ha registrato un video per «supplicare» la Nato a costituire la «no-fly zone». Poi si è collegato via «zoom» con circa 300 tra deputati e senatori americani. Il meeting online non è stato trasmesso in diretta. Una scelta insolita. Zelensky è andato diritto al punto: «Abbiamo bisogno di aerei e subito; solo così potremmo battere i russi». In sostanza il leader ucraino sembra dire a Europa e Stati Uniti: se non volete chiudere voi lo spazio aereo, mandateci i velivoli che servono e lo facciamo noi. È un’estensione dell’altro concetto: non ci mandate soldati? Allora dateci le armi per difenderci da soli.
La richiesta di Zelensky sta trovando una sponda importante nel Congresso americano. Camera e Senato dovrebbero approvare a breve il massiccio piano di aiuti militari e umanitari promosso dalla Casa Bianca: 10 miliardi di dollari. Un cambio di passo impressionante, se si pensa che solo dieci giorni fa Joe Biden aveva stanziato un contributo di «solo» 600 milioni di dollari. Il presidente americano, però, non sta assecondando le spinte bipartisan per adottare una linea ancora più dura. La Speaker della Camera, Nancy Pelosi, per esempio, vorrebbe colpire l’export russo di greggio e di prodotti derivati dal petrolio.
L’Amministrazione, invece, si mantiene in equilibrio tra «fermezza» nei confronti di Putin, sostegno militare agli ucraini, coordinamento con gli alleati e ricerca di una via d’uscita. La diplomazia americana è al massimo dei giri. La vice presidente Kamala Harris sarà a Varsavia e a Bucarest tra mercoledì e venerdì della prossima settimana. Blinken è nel pieno di una lunga missione nell’Est Europa. Ieri era in Polonia, dove ha promesso 2,7 miliardi di dollari «alle nazioni che accoglieranno i profughi». Il Segretario di Stato si è poi spostato al confine con l’Ucraina per parlare con il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, che gli ha ripetuto la «preghiera» di Zelensky: dateci jet e sistemi di difesa . Nella notte Biden ha chiuso il cerchio chiamando direttamente Zelensky.