la Repubblica, 6 marzo 2022
Le quattro guerre che si combattono in Ucraina
Adieci giorni dal suo inizio l’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin ha innescato quattro diversi conflitti il cui esito non è scontato e promette di ridefinire gli equilibri internazionali, non solo in Europa.
Il primo conflitto è quello più diretto e brutale, ed avviene sul terreno fra la poderosa forza di invasione russa e l’esercito ucraino. Sulla carta la superiorità bellica di Mosca è schiacciante – si tratta del secondo arsenale più potente del mondo – e la scelta dei generali del Cremlino di combattere ripetendo la tattica brutale della “guerra totale” contro le città, già vincente in Cecenia e in Siria, punta a schiacciare la resistenza della giovane democrazia nel più rapido e sanguinoso dei modi possibili. Ma la resistenza ucraina, basata sulla forte motivazione popolare e sulla profonda conoscenza dell’avversario, si sta dimostrando molto caparbia e disegna lo scenario di uno scontro prolungato, che può portare ad una resistenza organizzata lungo il Dnepr simile a quella che, dopo 10 anni di attacchi e imboscate, obbligò l’Urss a ritirarsi dall’Afghanistan nel 1989. Questo primo conflitto promette dunque di restare una ferita aperta nel cuore dell’Europa nel breve/medio periodo – anche in caso di capitolazione del presidente Volodymyr Zelensky – con il risultato di proiettare instabilità lungo i confini ucraini, dalla Polonia alla Bielorussia, dal Mar Nero ai Balcani. Tanto più a lungo durerà questo scontro armato diretto, con trincee da Prima guerra mondiale e stragi di civili che evocano la Seconda guerra mondiale, tanto più l’Ucraina sanguinerà e la Federazione Russa moltiplicherà perdite umane ed economiche.
Il secondo conflitto è l’estensione naturale del primo perché si nutre della contrapposizione diretta di Nato e Ue – sostenitori di Kiev – con la Russia riproponendo quasi alla lettera le dinamica della Guerra Fredda nel Novecento. Ovvero, le democrazie occidentali fanno quadrato con la nazione aggredita fornendo ogni sorta di aiuti – armi incluse – che ammettono ma non mostrano, ed anzi limitano, per evitare l’accusa di “complicità diretta con il nemico” che potrebbe innescare rappresaglie russe, incluse cyber o nucleari. In questo caso si genera una guerra d’attrito nel cuore dell’Europa con il pericolo di arrivare per inerzia oppure a causa di un incidente ad un punto di non ritorno, dove la linea rossa Washington-Mosca non riesce a disinnescare un’escalation sul terreno. La guerra d’attrito con Nato e Ue può inoltre spingere Putin ad aprire altri fronti di crisi militare: in Georgia o in Transnistria in nome della “Grande Madre Russia”, nel Sahel o Nordafrica per insediarsi davanti al fianco Sud dell’Alleanza; nel cyberspazio per minacciare le retrovie civili dell’Occidente.
Ma non è tutto perché la scelta di Putin di affiancare l’aggressione all’Ucraina ad un brusco inasprimento della repressione delle libertà civili in Russia apre lo scenario di un crescente conflitto interno fra autocrazia e opposizione. È lo scontro sul quale sappiamo di meno perché oltre le piazze delle manifestazioni anti-guerra, i dissidenti anti-Putin ed i sostenitori di Alexey Navalny dobbiamo ammettere di ignorare la reale entità del movimento democratico che potrebbe rivelarsi l’avversario più imprevisto e pericoloso per il Cremlino. La rapidità con cui Putin ha imposto il bavaglio ai media, tradizionali e digitali, lascia però intendere che sia questo il suo vero tallone d’Achille. Anche perché la Storia russa ci insegna che il dissenso interno cova a lungo e in silenzio prima di emergere e diventare incontenibile.
Ultimo ma non per importanza, c’è il conflitto sulla sorte della globalizzazione. Possono esserci pochi dubbi sul fatto che l’aggressione alla sovranità di uno Stato come l’Ucraina ha violato la carta dell’Onu, ogni lembo del diritto internazionale e dunque l’habitat di cooperazione e sviluppo che dalla fine della Guerra Fredda aveva portato alla globalizzazione delle relazioni economiche fra nazioni indipendenti.
Se la globalizzazione degli scambi si basa sulla scelta volontaria degli Stati di rinunciare progressivamente ai confini per far decollare i commerci di beni e servizi, la guerra di Putin azzera questo processo riproponendo la logica degli Imperi che badano a imporre con la forza i propri interessi su popoli e Stati sottomessi. Si spiega forse così la scelta della Cina Popolare di restare in bilico sull’Ucraina, bilanciando il legame strategico con la Russia e la difesa della sovranità di Kiev.
La Cina di Xi Jinping punta alla leadership della globalizzazione a danno degli Stati Uniti ma se Putin riporta indietro l’orologio della Storia è la globalizzazione a sparire, relegando di nuovo Pechino nel ruolo di ambiziosa potenza regionale.
Anche perché la Nuova Via della Seta di Xi è stata immaginata per essere senza frontiere, non certo disseminata di trincee. Da qui l’interrogativo se l’assalto russo a Kiev non possa innescare un riassetto degli equilibri fra Washington e Pechino a danno di Mosca.
La risposta può venire solo dalla leadership del partito comunista cinese, chiamata a scegliere fra l’alleanza con Mosca per aggredire l’Occidente aprendo un secondo fronte di crisi militare a Taiwan e la convergenza con Usa e Ue per risollevare la globalizzazione minacciata da Putin.
Insomma, la battaglia che infuria per il controllo di Kiev ha una posta in palio che vale assai più dell’Ucraina: è l’epicentro di sconvolgimenti militari nell’Est Europa, strategici fra Occidente e Russia, politici a Mosca e globali per il Pianeta intero.
Che possono cambiare le nostre vite.
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