il Giornale, 5 marzo 2022
I disegni di PPP
Pier Paolo Pasolini, nato a Bologna il 5 marzo 1922, assassinato a Ostia nella notte tra l’1 e il 2 di novembre 1975, è l’ultimo intellettuale. Oggi, non sarebbe forse possibile l’emergere di un pensiero pur forte come il suo: il rumore di fondo dei social e la voracità dei media non lasciano scampo. Le idee sono consumate come prodotti e poi sostituite con altre. In fondo Pasolini l’aveva previsto.
Pier Paolo, che strano intellettuale: fu profetico, per certi versi, ma arrivava al termine di una lunga storia, la più nobile della cultura italiana. Non a caso ebbe come maestri il filologo Gianfranco Contini e lo storico dell’arte Roberto Longhi: uomini senza veri eredi. Pasolini non apprezzerebbe il paragone, ma prima di lui la figura più simile, per quanto dissimile negli esiti, fu Gabriele d’Annunzio. Come il Vate, Pasolini era depositario di una grande sapienza metrica in poesia (oggi i poeti vanno a capo nel punto sbagliato e pensano per questo di aver composto versi, non ragli d’asino). Come il Vate, e più del Vate, Pasolini sperimentò tutti i campi dell’arte: poesia (la sua specialità), narrativa, teatro, cinema, saggistica. Come il Vate è diventato una icona pop (ma Gabriele d’Annunzio lo fu in vita, Pasolini dopo la morte).
C’è anche la pittura di Pasolini. Quest’ultimo aspetto, forse il meno indagato, è il protagonista delle manifestazioni organizzate per il centenario della nascita, dal Centro Studi Pasolini di Casarsa, una splendida realtà, cresciuta grazie all’amore disinteressato di veri appassionati. Il Centro, diretto da Flavia Leonarduzzi, presenta un nuovo allestimento (curato da Patrizio De Mattio, con la consulenza scientifica di Franco Zabagli) della casa materna di Pasolini, Casa Colussi, arricchito da due mostre preziose, una permanente e una temporanea. La stanza che fu l’Academiuta, l’associazione fondata da Pier Paolo per valorizzare la poesia friulana, da oggi ospita una piccola ma fondamentale esposizione del Pasolini pittore. Prima cosa che cade sotto l’occhio del visitatore: il problema, durante e subito dopo il conflitto, era la mancanza di carta e altri materiali. Per questo alcuni quadri sono dipinti sia sul recto sia sul verso. Non è l’unica sorpresa. Pier Paolo aveva avuto come maestro Federico De Rocco, e il loro è un rapporto ancora da indagare. Apprendiamo però che Pasolini si recava a dipingere nell’aula dove l’amico insegnava educazione tecnica. Sul verso dei disegni, troviamo infatti i compiti in classe degli alunni di De Rocco, su alcuni c’è perfino il voto. Difficile dire se Pasolini fosse fortunato o avesse il potere di attrarre a sé compagni di strada di grande valore. È un dato di fatto che nella apparentemente rurale Casarsa, e nei dintorni, seppe trovare un gruppo di artisti di grande valore: non solo De Rocco, ma anche Virgilio Tramontin, Giuseppe Zigaina, Anzil. E che dire di Elio Ciol, fotografo di fama mondiale? Fu Pasolini a mettergli in mano la macchina per scattare le immagini che celebravano la nascita dell’Academiuta. Ciol era poco più che adolescente e lì decise la sua strada.
Il massimo impegno nell’attività pittorica di Pasolini si colloca nel 1946-1947. Secondo la critica, i disegni e i quadri di Pier Paolo sono gracili e scorretti, eppure hanno una carica psicologica che lascia interdetti. Che siano dipinti, dai colori densi, o meno, c’è qualcosa che colpisce. Rubiamo le parole a Giancarlo Pauletto, autore del saggio che apre il piccolo ma prezioso catalogo Pasolini pittore a Casarsa, edito dal Centro Studi: «Così dunque, se noi osserviamo la Figura con fiore, una tempera su carta di ampie dimensioni che Naldini (il cugino di Pasolini, ndr) data al 1946/1947, troveremo in essa un uso del colore tanto emotivo, quanto le esclamazioni nei versi di Poesie a Casarsa, un cromatismo espressionista e carico di teatralità, a rendere, io credo, un’idea del femminile come forza primaria piena di attrazione, ma anche di un oscuro pericolo». Una serie piuttosto ampia è dedicata a uomini con strumenti. Sarà certo per influenza dell’amica Pina Kalc, violinista slovena sfollata a Casarsa, e delle lunghe serate trascorse assieme ascoltando musica. Tuttavia è impossibile non pensare all’atmosfera gioiosa e carica di tensione sessuale tipica delle sagre alle quali Pasolini partecipava così volentieri, al punto di vincere il primo premio come ballerino nella categoria «samba».
Per raccontare invece della mostra temporanea dedicata ai disegni relativi al film Medea, possiamo partire dall’immagine al centro di queste pagine. Ritrae Pasolini al lavoro a Grado, siamo probabilmente nel 1969. Intorno al regista vediamo disegni di scena, realizzati da Pier Paolo stesso. L’occhio esperto degli studiosi ha notato che alcuni disegni sul prato mancano tra il materiale rimasto dopo la lavorazione del film. È partita dunque una fruttuosa «caccia» ai collezionisti. Il risultato è una esposizione piccola, ma ancora una volta emozionante. Tra le immagini che colpiscono, tre ritratti della Callas nei panni di Medea e un buffo disegno di Ninetto Davoli, la copia di un lavoro di Pasolini. Sono esposti uno accanto all’altro, a conclusione del percorso.
Ci sarebbe a questo punto un’altra sorprendente storia da esaminare. Possiamo farlo qui solo per sommi capi, rimandando al catalogo per ulteriori dettagli: Pasolini. I disegni nella laguna di Grado edito dal Centro Studi.
Ricorda Zigaina, in un suo libro del 1995 (Verso la laguna, Marsilio), che Pasolini si innamorò di Grado. Nei pressi dell’isola, nel 1968, aveva trovato il set naturale della Medea tra barene, mote e casoni di fango e canne. L’anno successivo arrivò la troupe, sessanta persone circa, con gli attori Massimo Girotti e soprattutto Maria Callas. Durante le riprese nasce il sogno di organizzare un «contro-festival» in opposizione alla istituzionale Mostra del cinema di Venezia. La Settimana internazionale del cinema, nome del festival di Grado, ebbe tre edizioni dal 1970 al 1972. Arrivarono nomi importanti. Pasolini stesso lo scelse per presentare in anteprima Il Decameron nel 1971 e I racconti di Canterbury nel 1972.
La passione per il cinema aveva contagiato gli amici di Pier Paolo, mi spiega Piero Colussi, grande conoscitore di Pasolini, davanti a un caffè in un bar di Casarsa. Nico Naldini, ai tempi delle gloriose giornate di Grado, volle organizzare una rassegna sul cinema di propaganda. C’erano i cinegiornali fascisti, pellicole sovietiche e naziste. Non poteva mancare il classico Olympia di Leni Riefensthal: un inno al corpo statuario degli atleti bianchi, implicitamente in linea con l’ideologia razzista del Terzo Reich. Naldini contattò la regista, che non poteva muoversi. Gentilmente però mandò le pizze originali del film. Sono rimaste a Grado e poi a Gemona del Friuli per decenni, e ne esistono pochissime copie.
Torniamo a Pasolini e al rinnovato percorso di casa Colussi. Poter ammirare i manoscritti, i quaderni rossi, le lettere nel luogo in cui sono state scritte è una emozione impagabile. Se volete celebrare Pasolini, questo è il punto di partenza migliore, al di là delle meritevoli iniziative editoriali e no. A Casarsa, Pasolini passò anni difficili, ma tra i più felici della sua vita, tra la fine del 1942 e l’inizio del 1950. Il grande intellettuale nasce qui.