La Stampa, 5 marzo 2022
Chiamate la Merkel
Può la Nato battere la Russia senza farle la guerra? La risposta a questa domanda decide del conflitto in corso. Ieri Jens Stoltenberg, segretario generale dell’organizzazione militare del Patto Atlantico, ha scandito: «Non cerchiamo la guerra con la Russia». E ha quindi escluso l’imposizione di una zona di non sorvolo sull’Ucraina, che equivarrebbe all’apertura delle ostilità contro Mosca. Non volere la guerra significa volere la pace negoziata? Esprime invece la convinzione che le sanzioni, i rifornimenti di armi e volontari alla resistenza ucraina e la pressione internazionale piegheranno la Russia? O infine che l’Alleanza Atlantica non muoverebbe dito nemmeno se Putin occupasse Kiev? Nel primo caso, si tratta di interrompere subito le ostilità per intavolare un negoziato fra Putin e Zelinsky. Occorre un mediatore all’altezza. Personalità credibile, esponente di un importante paese europeo: Angela Merkel. Se l’ex cancelliera rientrasse dalle meritate vacanze e volasse a Mosca e a Kiev per negoziare i termini di un cessate-il-fuoco immediato che preludesse a un accordo duraturo sull’assetto dell’Ucraina, passerebbe alla storia come pacificatrice d’Europa nell’ora del pericolo massimo. Prima che i russi taglino agli ucraini l’accesso al mare, come tentano di fare marciando verso Odessa. E prima che per accidente o intenzione altri paesi siano coinvolti nel conflitto.
Ipotesi seconda: aspettiamo che la Russia alzi le mani. Improbabile che lo faccia mentre occupa buona parte del territorio ucraino, quale che sia l’effetto – comunque grave – delle sanzioni europee e americane sul popolo e sulla nomenklatura russa. Per piegare i russi, storia insegna, non basta isolarli e affamarli. Servirebbe comunque tempo. Non ne abbiamo molto. Si può sperare in un colpo di Stato che installi al Cremlino una personalità abilitata a trattare la pace. Con ciò ammettiamo di aver mandato gli ucraini allo sbaraglio, salvando l’anima nostra al prezzo dei loro corpi. Ci rimettiamo alla saggezza di un generale o di uno spione russo. Difficile anche solo da raccontare a noi stessi.
Terzo. Rassegnarsi alla conquista russa dell’Ucraina significa accettare la Grande Russia come attore protagonista in Europa, da sigillare dietro una cortina di acciaio essendoci tutti riarmati fino alla punta dei capelli. Oppure da coinvolgere in un precario ordine che marcherebbe la fine dell’egemonia americana sul Vecchio Continente. Quindi della Nato. Più che improbabile. O ancora, all’opposto, considerarla vittoria solo tattica di Putin e aprire la seconda fase del conflitto, fondata sul logoramento del nemico fino a decretarne la sconfitta strategica. Con disintegrazione della Federazione Russa analoga alla fine dell’Urss, ma ben più ampio spargimento di sangue. E avendo ridotto l’Ucraina a super-Afghanistan nel cuore d’Europa, con Polonia e Romania nelle vesti di Pakistan e Arabia Saudita, coperti da molto remoto alle spalle dagli Stati Uniti d’America. Potremmo dissanguare i russi, che però non sgombrerebbero l’Ucraina come fecero in Afghanistan perché troppo vicina alle mura del Cremlino. La Nato si spaccherebbe tra chi fosse o meno disposto a ingaggiare la guerriglia contro i russi. “Operazione militare speciale” alla rovescia, destinata a produrre quella guerra totale con la Russia che la Nato assicura di non volere. L’aggressione russa all’Ucraina ci ha abituato a tragici paradossi. Per evitare che sfoci nella follia definitiva, ovvero la guerra totale e la destabilizzazione permanente dell’Eurasia, esplorare la via negoziale parrebbe ipotesi degna di considerazione.