La Stampa, 5 marzo 2022
In fuga con bara
La tragicità della guerra che l’Ucraina patisce sta tutta in una foto, che è insieme dolcissima e crudele. Mostra due adulti, marito e moglie, che vanno a piedi per una strada, spingendo un carrello a due ruote sul quale sta caricata una bara. Una bara grande, quindi non di un bambino ma di un adulto. Una bara sepolta da tempo e riscavata adesso, per la fuga. I due adulti scappano dall’Ucraina, e portano con sé la cosa più preziosa che hanno in Ucraina, la più cara, quella per la quale gli è doloroso, anzi straziante, lasciare la loro patria, per la quale, evidentemente, eran tentati di restare. Ne avranno discusso a lungo, non con asprezza, i grandi dolori non danno asprezza, danno rassegnazione. I grandi dolori rendono più buoni. Penso che dentro la bara ci sia il corpo del padre o della madre di uno dei due fuggitivi. Forse la madre, che vive più a lungo. Ne avranno parlato certamente, quando han deciso di partire: «Che facciamo con tua (o mia) madre, sepolta qui da anni?». Poi la decisione: la portiamo con noi. Son tutt’e due a portarla, spingendo il carrello. Cioè: basta uno solo a spingerlo, e quest’uno è lui, l’uomo, ma la moglie vuol partecipare alla spinta, perciò tiene la sinistra sulla bara, mentre con la mano destra si asciuga gli occhi.
Sopra la bara è adagiata una lunga croce, una croce spoglia, senza il Cristo morto. Il Cristo morto è sotto, dentro la bara. Siamo alla periferia di Kiev, Kiev è in fiamme, è caduta o sta per cadere. Questi abitanti di Kiev che fuggono dalla città che brucia e van via senza voltarsi indietro, portando con sé un congiunto che non vogliono lasciare in mano ai nemici che avanzano, mi fa venire in mente Enea che scappa da Troia incendiata portando con sé il padre Anchise. Ma Enea protegge e porta via il padre ancora vivo. Vecchio, ma vivo. Questi due adulti che scappano da Kiev portano con sé un loro congiunto morto. Hanno un’idea di patria e di famiglia che comprende i viventi e i defunti, i defunti vivono con noi, in noi, tu devi stare dove stanno loro, se tu cambi terra, devi portarli con te nella nuova terra. La nuova terra potrà essere la tua terra solo se con te ci sono i tuoi antenati. Questa fuga degli ucraini da Kiev mi ricorda la fuga dei serbi dal Kossovo: partendo, i serbi caricavano sui carri tutte le masserizie che potevano, ma poi andavano al cimitero, dove c’eran le tombe di padre e madre, scavavano, portavano su le bare, e caricavano anche quelle. In questo modo non trasferivano soltanto se stessi e i loro figli, cioè il loro presente e il loro futuro, trasferivano tutta la stirpe, anche il loro passato. Noi siamo quel che siamo perché i nostri padri erano quel che erano. I nostri padri sono in noi. Trasferendo anche loro, ci trasferiamo interamente. Non abbiamo più nessuna ragione per tornare qui. Questo luogo non ci riguarda. Non ci è caro, non più. Ovunque fossimo, avendo qui i nostri morti, avevamo qui le nostre radici. Adesso ci sradichiamo. Questa coppia che se ne va a piedi da Kiev, portando con sé una bara, sta dicendo alla patria: maledetta la terra da cui portiamo via i nostri morti.