Corriere della Sera, 5 marzo 2022
Marco Damilano lascia l’Espresso
Marco Damilano, 53 anni, romano, ha lasciato ieri la guida dello storico settimanale L’Espresso (andò in edicola per la prima volta il 2 ottobre 1955) e la redazione, entrata in stato di agitazione, ha annunciato la proclamazione delle «giornate di sciopero necessarie per impedire l’uscita del numero in lavorazione». «Non è una buona notizia – twitta il ministro del Lavoro, Andrea Orlando —. Le ragioni di questa scelta devono far riflettere sull’assetto dell’editoria italiana e sul futuro dell’informazione. La democrazia si nutre anche di questo».
È stato lo stesso direttore, ieri, in un lungo editoriale pubblicato sul sito del settimanale fondato da Eugenio Scalfari e Arrigo Benedetti, a spiegare le ragioni delle dimissioni. Una decisione presa dopo le voci di vendita della testata da parte del gruppo Gedi a Bfc Media di Danilo Iervolino (fresco patron della Salernitana calcio). Un editoriale amaro, quello di Damilano: «Questa mattina ho scritto una mail all’ingegnere John Elkann, presidente del gruppo Gedi, per comunicare la mia decisione di lasciare la direzione dopo 4 anni e mezzo. Non è una questione privata. Ho cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona. Lo faccio io».
Gli era stata offerta la possibilità di restare, ma Damilano pur ringraziando ha tirato dritto: «L’Espresso è sempre stato la mia casa. Ma se la casa viene cambiata, dall’arredamento alle suppellettili, fino a venderla, non resta altro da fare che prenderne atto. È una questione di dignità».
Al suo posto ieri Gedi ha nominato direttore Lirio Abbate, 51 anni, siciliano di Castelbuono, già vice di Damilano. E di fronte alle richieste del Comitato di redazione, l’ad Maurizio Scanavino ha risposto che l’azienda non ha ricevuto «alcuna proposta formalizzata» di acquisto.
Nel suo duro pezzo di commiato, Damilano racconta però di aver appreso della decisione della Gedi di vendere «da un tweet di un giornalista, mercoledì pomeriggio» e di aver «chiesto immediati chiarimenti all’ad come ho sempre fatto in questi mesi. Mesi di stillicidio continuo». Il Cdr ieri ha espresso «solidarietà» al direttore: «Recidere L’Espresso, la radice da cui è nato il gruppo, mette a rischio la tenuta di tutta l’azienda – avverte il sindacato interno dei giornalisti —. Siamo consapevoli dello stato di difficoltà in cui versa il giornalismo, ma Gedi è nel cuore di questa crisi, come dimostrano i numerosi avvicendamenti al suo vertice e alla guida delle sue principali testate. Un’assenza di strategia che ora si vuole far pagare all’Espresso».
«Giù il cappello e buon vento per il futuro», il tweet affettuoso rivolto a Damilano dal segretario del Pd, Enrico Letta. «Non possiamo vedere il giornalismo spegnersi», avverte Carlo Calenda di Azione. «Siamo preoccupati per le sorti de L’Espresso», afferma Marco Di Maio, vicepresidente di Italia viva alla Camera. E preoccupato si dice pure il leader di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni: «Continua l’opera di dissoluzione del gruppo Repubblica/L’Espresso che ha segnato decenni di battaglie civili e politiche del nostro Paese. Una nuova brutta pagina per il pluralismo e la qualità dell’informazione».