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 2022  marzo 05 Sabato calendario

Intervista a Svetlana Aleksievich


Svetlana Aleksievich vive in Germania da quando ha dovuto lasciare ancora una volta la sua Bielorussia dopo la repressione delle manifestazioni democratiche del 2020. Ci eravamo sentiti al telefono quando lei aveva denunciato che uomini mascherati stavano tentando di entrare nel suo appartamento. Gli ambasciatori di vari Paesi europei andarono a casa sua fino a che non fu costretta ad andar via. Lukashenko era stato salvato da Putin. «Tutti erano stati arrestati o erano dovuti fuggire all’estero». Il premio Nobel per la Letteratura ricevuto nel 2015 non la proteggeva più.
Le notizie di queste ore sui giovani soldati russi morti in Ucraina e sui loro corpi che iniziano a tornare dalle madri mi ha fatto subito ripensare al suo «I ragazzi di zinco» sui tanti, tantissimi caduti della guerra in Afghanistan che contribuì al crollo del regime sovietico con il suo risultato disastroso.
«Sì, ci ho pensato anch’io. E sul fatto che i miei libri si ostinano a non voler diventare storia. Che la Russia torna sui suoi passi, cammina facendo dei giri. Ci ritroviamo in un punto assolutamente inaspettato della storia. Nessuno di noi pensava che qualcosa del genere fosse possibile».
Cosa le dicevano i sopravvissuti dell’Afghanistan quando li intervistava?
«A che serve il tuo libro? Perché? Come puoi raccontare veramente com’era? I cammelli morti e gli uomini morti in un’unica pozza di sangue. Chi lo vuole sapere?».
Svetlana è figlia di un padre bielorusso e di una madre ucraina. E per lei il coinvolgimento anche di Minsk è particolarmente doloroso.
Molti dicono che Putin sia impazzito, che quello che sta facendo non è razionale.
«È facile lanciare accuse, sarebbe una spiegazione semplice, ma non sappiamo la verità. Temo che le cose stiano diversamente. Sono stati pubblicati dati nuovi: oltre il 60 per cento dei russi sosterrebbero Putin e questa guerra».
Ma sono dati reali o è la propaganda del Cremlino?
«Non abbiamo altri sondaggi, ma è sicuro che molta gente lo appoggia e dice che non si sa niente, che è tutto un cumulo di fake, di notizie inventate. Non può essere, non è realistico... Ma ora, dopo che hanno chiuso la radio Eco di Mosca e la tv Dozhd, in pratica è rimasta solo Novaya Gazeta. Nessuno in Russia saprà la verità, sarà un Paese chiuso. E che cosa avverrà veramente è difficile immaginarlo».
Il presidente russo non è il solo, quindi a nutrire sentimenti di «rivincita»?
«Credo che Putin rispecchi l’opinione dei russi medi che vivono in periferia, di quei russi che non possono tollerare umiliazioni, come dicono loro. Per i miei libri ho viaggiato molto per la Russia e tanti di quelli che ho sentito parlavano di umiliazione più di ogni altra cosa: nessuno ha paura di noi. E come si sono tirati su di morale quando hanno potuto dire che Putin li ha fatti rialzare in piedi dacché erano in ginocchio di fronte al mondo! Temo che questo sentimento di “imperialità” sia molto radicato. Quando c’è stato il crollo dell’Urss nel 1991 abbiamo esultato che tutto fosse successo pacificamente. Abbiamo sopravvalutato la morte del comunismo. Non è per niente vero, nient’affatto. Ce ne stiamo accorgendo. Quest’uomo rosso, l’homo sovieticus, adesso capiamo che è vivo. Molto di quello che c’era ai tempi sovietici ci ha lasciato un’impronta, ha lasciato la menzogna».
È questa l’eredità del comunismo?
«Se guardiamo indietro alla nostra storia, sia quella sovietica che quella post sovietica, è una enorme fossa comune, un bagno di sangue continuo».
Putin oggi fa leva su una maggioranza orgogliosa della rinascita del Grande Paese?
Il mio Paese? La Bielorussia è una macchina del tempo, un museo del passato La costrin-geranno alla guerra
«Sì, penso proprio di sì. Se non sentisse intuitivamente questo appoggio, non farebbe quello che sta facendo. Almeno in questo modo così insolente, aggredire un Paese sovrano parlandone con tanto odio. Mi riferisco a quello che ha detto quando ha fatto una lezione di storia piena di analfabetismo. Ma questa è la sua visione del mondo. Insomma anziché andare verso il futuro si marcia indietro verso il Medioevo».
Quanto lontano potrebbe andare? Quali sono i suoi obiettivi?
«Molto lontano, temo. Dubito che si fermi soltanto all’Ucraina, se riuscirà a vincere. Spero che l’Europa che si è schierata compatta, dica la sua, e anche gli Usa. Non a caso lui ci spaventa tutti con le armi nucleari».
È possibile che si arrivi a tanto?
«È impensabile per noi. Ma nella testa di quegli uomini... Durante la famosa riunione del Consiglio di sicurezza guardavo le facce e non tutti avevano lo stesso entusiasmo di Putin. Tutti capiscono in fondo di essersi spinti troppo. Lo sanno gli imprenditori, in molti lo capiscono...».
Qualcosa potrebbe accadere in Russia?
«L’attuale sistema autoritario rende tutti così coesi che è difficile uscirne fuori. Come diceva l’eroina di un mio libro: ci si sente come una farfalla nel cemento. Sei dissenziente, non lo accetti, ma non ti puoi tirare fuori. Tutti dicono ora, che fare? Che fare? Io penso che bisogna lavorare con quel 60 per cento che sembra sostenere Putin. Bisogna parlare, spiegare. Ci sarà il lutto, ci saranno le bare, e peccato che debba essere questo il prezzo per togliere la benda dagli occhi. Il popolo aprirà gli occhi perché l’arrivo di 5.000 bare è pesante».
Il suo Paese, la Bielorussia, cosa è diventato? Una provincia della Russia?
«È una macchina del tempo, un museo del passato. E ora anche questo: Lukashenko non ha nessuna autonomia, la Bielorussia è piena di truppe russe, e visto che le perdite sono tante, Putin lo costringerà a partecipare alle ostilità».
E la gente cosa pensa?
«È contraria. A differenza di quella russa, la società bielorussa non appoggerà la guerra. I bielorussi hanno sempre visto gli ucraini come fratelli e sorelle, come il nostro popolo fraterno. Non c’è nessun odio come tra russi e ucraini che si danno nomignoli spregiativi, moskal, piccolo moscovita; khokhol, ciuffetto (quello dei cosacchi che scende dalla testa rapata)».
Cosa si aspetta?
«Penso che il mondo e soprattutto i politici devono trovare dei modi per fermare Putin, ma quali non lo so. Lui nelle trattative chiede solo la capitolazione dell’Ucraina e basta. Credo che tutto il mondo debba aiutare l’Ucraina. E io appoggio la formazione di una legione straniera con migliaia di persone che sono venute in soccorso e le armi che vengono fornite in Ucraina. Quando ho telefonato a una mia parente dicendole “Tenete duro, adesso arrivano le armi”, mi ha risposto “Svetlana mia, le armi le avremo, ma dove andiamo a cercare i giovani? I nostri ragazzi sono morti a migliaia”. Mi fa molto piacere che in me scorra sangue ucraino. Sono fiera di migliaia di quei ragazzi e di quella gente, bambini, vecchi che nei villaggi si gettano contro i carri armati a mani nude, si mettono in ginocchio per non farli passare. Dio mio, Dio mio!».
Lei ha scritto «Preghiera per Chernobyl» con i racconti dei sopravvissuti e dei parenti dei tanti morti. E ora le notizie dalla centrale di Zaporizhzhia spaventano tutti.
«Usiamo ancora i vecchi concetti lontano-vicino, amici-nemici, ma dopo Chernobyl questo non vuol dire più nulla. Al quarto giorno la nube di Chernobyl sorvolava già l’Africa e la Cina. Noi-loro, amici-nemici non ha più senso perché è il vento che decide dove andare».