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 2022  marzo 05 Sabato calendario

Intervista a Piera Maggio, la mamma di Denise Pipitone



«Sicuro che non gli hai fatto male tu?», chiedono gli inquirenti a un ragazzino di undici anni, sulle braccia due trasferelli che lui chiama tatuaggi. «Le davo le sculacciate sul pannolino, ma per farla ridere», risponde lui, Kevin, fratello di Denise Pipitone, sparita all’età di quasi quattro anni da Mazara del Vallo il primo settembre 2004.
Il botta e risposta è uno spezzone di interrogatorio inedito contenuto nella docu-serie Denise — regia di Vittorio Moroni (scritto con Simona Dolce, prodotto da Palomar Doc per Discovery, in onda su Discovery+ dal 5 marzo, e sul Nove il 12 marzo).
Kevin, oggi trentenne, insieme alla mamma Piera, è una delle voci narranti della docu-serie che ripercorre le tappe della vicenda giudiziaria del sequestro di Denise, inclusi i sospetti iniziali sui familiari, sulla madre, poiché, spiega un carabiniere, «era successo da poco Cogne». Dunque la docu-serie non racconta solo le indagini, i processi, ma anche ciò che non si è visto, quello che hanno subito Piera, Kevin e Piero Pulizzi (padre naturale di Denise, nonché padre di Jessica Pulizzi, sorellastra di Denise e unica indagata – assolta in tre gradi di giudizio). Denise è la storia di una madre che da diciott’anni cerca la figlia. Impossibile non notare il cambiamento dal primo appello televisivo a qui. Come la ragazza impaurita, mai uscita da Mazara del Vallo (se non per il viaggio di nozze) si sia trasformata in una donna fortissima che non si lascia intimidire da niente, nonostante i tentativi di fermarla siano stati molti – minacce, calunnie.
Chi era la giovane mamma dell’inizio?
«Una ragazza inesperta che aveva visto pochissimo mondo al di fuori di Mazara».
La vita fino a quel momento?
«Dall’età di tre anni vivo in questa palazzina costruita da mio padre. Con il matrimonio ho cambiato semplicemente piano».
Piera adolescente?
«Testarda, in contrasto con una certa mentalità antica. Mi sono ribellata a certi no spiegando a mio padre perché non li ritenevo giusti. A volte l’ho convinto».
Esempio?
«Le ragazze non potevano uscire da sole, nemmeno da fidanzate: vietato uscire da sola con il fidanzato. Bisognava essere con altre coppie, obbligatoriamente di parenti».
La libertà più grande ottenuta?
«Una gita a Erice. Eravamo tre coppie, abbiamo passeggiato, mangiato il gelato, e siamo tornati a Mazara».
Distanza Erice-Mazara?
«62 chilometri».
Viaggi veri?
«Non ero mai uscita dal territorio. Il primo viaggio vero è stato quello di nozze, a Roma».
Matrimonio?
«A diciotto anni, un mese e un giorno. Io e Toni (Pipitone, ndr) non cercavamo subito figli, c’era il desiderio di riprendersi la libertà non vissuta».
Nomi dei figli: Kevin e Denise.
«Non volevo dare nomi di nonni o parenti. Volevo che i miei figli fossero persone nuove, senza l’ombra di altri sulle spalle».
Come li ha scelti?
«All’epoca non c’era internet. Ho comprato i libri dei nomi. Li sfogliavo, sottolineavo quelli che mi piacevano, e quelli che non avevo mai sentito».
Denise?
«Denise è stata una bambina voluta».
Figlia di Piero Pulizzi.
«Col mio primo marito era finita da tempo. Lui lavorava in Toscana. Era tornato da due anni a Mazara».
Primo settembre 2004.
«Quella mattina avevo il corso d’informatica e Denise faticava a lasciarmi andare. Le ho detto: “Mamma torna presto”. Mi ero presa agosto libero e lei si era abituata a stare ogni minuto con me. Dormivamo nel lettone».
Quell’ultima estate?
«C’è una foto di Denise col costume rosa che annaffia la sabbia, di fianco la cugina. Tra le due bambine passa un mese di differenza, sono cresciute insieme. La cugina timida, Denise chiacchierona, faceva tante domande, fermava le persone per chiedere dove avessero comprato le scarpe, aveva una passione per le scarpe. A casa si metteva le mie col tacco, “ci faccio un giro, mamma”, e camminava dalla camera alla cucina».
Cadeva?
«Si rialzava».
Giocattoli preferiti?
«La bambola di vetro, come la chiamava lei. In realtà una bambola di porcellana che io non volevo comprarle per paura che la rompesse e si potesse ferire coi cocci».
Invece?
«Da subito è stata attentissima, la trattava con grande cura, sapeva che poteva cadere e rompersi per sempre».
Altre passioni di Denise?
«Elisa di Rivombrosa. Si metteva sul divano con me a vedere la puntata dall’inizio alla fine. Era incantata dai vestiti sontuosi. Allora per carnevale, l’ultimo carnevale, le ho preso un vestito simile, di velluto bordeaux, con la corona in testa. Lei faceva le giravolte. Siamo andate a una festa di bambini. Ci sono i video di quel pomeriggio».
Li ha?
«Sono andata a chiederli tempo dopo il sequestro. Si vedono i bambini in gruppo. Bambini che corrono, lanciano coriandoli».
Si vede Denise?
«Passa veloce. Un braccio, un ciuffo di capelli».
Torniamo al primo settembre 2004.
«Ci siamo scambiate il nostro bacio a pizzicotto. Quella mattina le avevo dato il biberon. Lei prendeva il latte col biberon in dormiveglia, con gli occhi chiusi. A occhi aperti non lo voleva».
Gesti vostri.
«Uno dei primi pensieri appena sequestrata è stato: chi le darà il biberon adesso? Avrebbero dovuto imparare che lo prendeva al mattino, a occhi chiusi».
Ha sperato?
«Ho pregato che qualcuno lo imparasse per poterlo fare al posto mio».
Immediatamente dopo il sequestro?
«La nostra casa è stata invasa, tanta gente che andava e veniva. Carabinieri, poliziotti. Ho ricordi vaghi, ero annientata dal dolore. Ricordo che aprivano i cassetti. Aprivano i cassetti di Kevin e leggevano il suo diario».
Nella docu-serie ci sono immagini di repertorio di lei che non riesce a parlare. Agli inquirenti che la interrogano ripete: «Riportatemi mia figlia».
«Era l’unico pensiero».
A un certo punto cambia.
«Dovevo diventare una donna forte e adeguata per Denise. Così mi sono rimessa a studiare: ho preso il diploma di ragioneria, ho ricominciato il corso di informatica, quello interrotto il primo settembre».
Perché?
«Volevo avere gli strumenti per affrontare il mondo».
Lei non ha mai smesso di cercare Denise.
«Ho sempre detto “fino a prova contraria”. Se arriva la prova contraria, non la cerco più come bambina scomparsa. La cerco in un altro modo».
Grazie a lei oggi esiste la legge Denise.
«Quando non comprendo un fatto, una frase, voglio capire. E in questa vicenda erano tante le cose che non capivo. Le parole che mi andavo a cercare sul vocabolario. E i meccanismi in sé, per esempio perché nelle ricerche di Denise non impiegassero un numero maggiore di forze. Ho chiesto all’avvocato, così ho scoperto che non esisteva una legge specifica per il sequestro di minori».
Da quel momento?
«Mi sono battuta affinché venisse fatta. Sono arrivata a incatenarmi davanti al Quirinale».
La maggiore difficoltà?
«Far capire alle persone che non si trattava di una legge per mia figlia, ma per tutti i minori».
Le segnalazioni di questi anni.
«Le prime volte era molto traumatico, incontravo bambine che non erano Denise. La delusione m’immobilizzava per giorni, faticavo ad alzarmi dal letto».
Un incontro che l’ha segnata?
«Non dimentico quello di Marrakech. Mi mandano la foto di una bambina sulla porta di un negozio. Solo la foto, nessuna informazione. E sì, la piccola era molto somigliante a Denise. Me la sono andata a cercare io, insieme alla troupe di Chi l’ha visto?. Ho girato la Medina alla ricerca del negozio, una panetteria. Ho mostrato la foto al negoziante e lui ha mandato a chiamare la bambina che era sua figlia».
E?
«Ho visto venire verso di me questo scricciolo».
Sensazioni?
«Ho capito subito che non era Denise. Le ho sorriso, e le ho dato la bambola che avevo portato con me. Appena lei ha visto la bambola, credo che non avesse mai visto una bambola in vita sua, mi ha abbracciata fortissimo».
La funzione della bambola?
«Per non spaventarla. Ne avevo comprate diverse proprio per incontrare le bambine delle segnalazioni. Volevo che le piccole non avessero paura, che serbassero un bel ricordo di me».
Quante bambole?
«A casa ne ho ancora due. Non ci sono state le circostanze per darle».
Motivo?
«Negli anni io stessa ho avuto maggiore cautela. Preferendo strade burocratiche, come il test del Dna. Intanto il tempo passava, e io non stavo più cercando una bambina. Tutt’oggi devo sforzarmi di ricordarlo».
D’istinto?
«La sogno e la penso piccola».
In che modo la sogna?
«Qualcuno che suona alla porta, ed è lei. Anche per questo non ho cambiato casa».
Cioè?
«In alcuni momenti mi sarebbe piaciuta una casa magari appartata, con un piccolo giardino dove stare fuori a respirare senza essere vista. Non ci sono state le possibilità economiche, e soprattutto di fondo rimaneva l’idea che un giorno Denise potesse ritrovare la strada di casa. Ecco, io dovevo restare qui ad aspettarla».
Paura di non riconoscerla?
«La vera paura è quella di dimenticarla, di avere un ricordo via via meno nitido».
Nel senso?
«Ho faticato a capire che Denise è cresciuta».
Che cosa glielo ricorda?
«Mia nipote, coetanea di Denise, lei ha rappresentato e segnato la crescita di mia figlia. Vederla mi riporta alla realtà del tempo».
Sul sito cerchiamodenise.org ci sono foto, video e immagini di «age progression», processo di invecchiamento di un ritratto fotografico.
«Con il sito, e non solo con il sito, il nostro tentativo è quello di creare un filo che possa portare lei a trovare noi».
Il materiale nel sito?
«La foto di Serafino, il suo pupazzo preferito che, se gli schiacci la manina, recita le preghiere. Denise ha imparato le preghiere grazie a quel pupazzo. Poi i cartoni animati che guardava, come Hamtaro. Tutto materiale che potrebbe farle ricordare. Abbiamo accettato di realizzare la docu-serie per questo».
Ovvero?
«Sarà vista in molti Paesi, arriverà a tante persone. Magari anche a lei. Per noi la docu-serie significa dare la possibilità a questa ragazza di risvegliare i ricordi».
Come la immagina questa ragazza?
«Forte. E curiosa».
Sul sito si rivolge direttamente a lei: una delle frasi?
«Mi chiamo Piera Maggio, sono la tua mamma, in questa foto siamo insieme».