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 2022  marzo 04 Venerdì calendario

Intervista a Cristiano De André

“Era capricciosa come una ragazzina. Il fidanzato le trovò il vestito che desiderava. Lei impazzì di gioia, sullo yacht”.
Ma chi?
Brigitte Bardot.
Il fidanzato era Gigi Rizzi.
Papà frequentava il jet-set genovese, il giro dei playboy. Eravamo nella barca di un antiquario a St. Tropez, Brigitte restò due giorni. Conoscemmo pure Mick Jagger con Bianca.
Cristiano De André, non immagino un dialogo tra Fabrizio e Mick.
Jagger era un bel tipo, molto fuori. Mio padre non marciava bene con l’inglese. Quando Dylan venne a Milano e voleva incontrarlo, papà declinò.
E Dylan non è socievole.
Fabrizio temeva che non gli traducessero bene le sue parole. Preferiva scrivere: aveva paura di non riuscire a esprimersi compiutamente dialogando.
Qualcuno fraintese pure le sue opere. Cossiga lo fece pedinare dal Sisde per Storia di un impiegato.
Lo seguivano ovunque. La tesi è che De André fosse in contatto con i terroristi rossi, e che la tenuta dell’Agnata si rivelasse un covo di filocinesi. Scoperte le mosse dei servizi, ci ridemmo su. Ma anche i sessantottini presero male l’album. Rivedo mio padre e Giuseppe Bentivoglio che lo scrivono girando per casa come orsi incazzati, con Piovani che pazienta.
Un capolavoro che lei ha portato in tour prima della pandemia, e che si è trasformato in un film di Lena, ora sulle piattaforme.
È un intreccio di storie: un conflitto familiare, e attorno quelli politici e sociali. E un omaggio alla poesia di mio padre, che ha indicato una via più giusta, soprattutto in questi tempi di nuova violenza e odio. Di mancanza di pietà, rispetto e comprensione. Le sue canzoni restano di una temporale attualità.
L’ha perdonato?
Ho capito che non c’era niente da perdonare. L’urgenza di quel che aveva da dire al mondo gli faceva dimenticare chi aveva vicino. E c’era necessità di flagellare l’oscurantismo Dc, la lotta di classe, le Br, il potere che opprime. Nel film compaiono i nuovi dittatori: Erdogan, Orbán, Putin.
Come vivrebbe Faber questo tempo di guerra?
Sentiva le cose nel profondo, gli si spezzerebbe il cuore. Nell’ultimo tour ero con lui: mi confessava di essere abbattuto e disilluso. “Non è cambiato un cazzo”, diceva. Eppure vedo tanti ventenni di oggi ai concerti: la strada per una presa di coscienza anarchica è ancora aperta. Niente è perduto.
Lei, Cristiano, è tornato al Brancaccio…
Ho cantato le prime strofe con un filo di voce, tre anni fa. Mi sono ritrovato nello stesso camerino del live del ’98. C’eravamo finalmente riconosciuti, accettati, coltivavamo progetti insieme, mi aveva dato fiducia. È accaduto troppo tardi, ma per fortuna è accaduto.
L’ultima volta che lo vide?
Gli sono stato accanto senza dormire, nella crisi fatale. Tenendogli la mano finché non è spirato. Non aveva voluto vedermi nei mesi della malattia. Lo imbarazzava apparire fragile. Così come non mi faceva complimenti nel timore che non lavorassi sodo. Ma dopo la morte è tornato.
In che senso?
Il giorno dopo. Ho sentito distintamente il suo odore nel mio letto. Non era suggestione. È stato il suo estremo dono.
Suo padre sapeva essere deciso negli addii. Svegliò sua moglie Enrica per farle ascoltare Verranno a chiederti del nostro amore. Lei era bambino e origliava.
Mamma pianse di dolore, la canzone decretava la fine della loro storia. Io soffrivo per la sua dipendenza da papà, gli si aggrappava troppo, subiva. Ma come in quel verso, e nella vita, a un certo punto “finalmente sceglierai”.
Serve protezione, perché la ricanti dal vivo.
Anche per La canzone del padre. Fabrizio la dedicava al suo, io a lui e ai miei figli. Il passato mi è amico, adesso.
Papà fu crudele con lei: uccise la scrofa con cui giocava e gliela fece mangiare.
Fu un castigo, mi ero pappato l’unico peperone cresciuto a Savignone. Ero piccolo, la scrofa era il mio primo animale, la portavo in giro con la corda. Papà e Paolo Villaggio avevano già deciso di farne salsicce. Nel film sono in acqua in Sardegna mentre i cinghiali si avvicinano. Un modo per far pace con i miei mostri. Papà voleva diventassi veterinario, aveva paura che la musica mi schiacciasse.
Dov’era quando rapirono lui e Dori?
In Gallura. Sarei dovuto andare da loro quel giorno, ma era arrivato un mio amico da Genova, così rimandai. Seppi, dopo, che durante la prigionia i banditi dicevano che per il riscatto sarebbe stato più facile sequestrare me e papà.
Si era salvato.
Ci telefonavano gli sciacalli: “Nella tal strada troverete i resti dei corpi”. Accorrevamo, erano luride menzogne.
Il futuro?
Magari concerti con canzoni mie, di De André, il Battiato di Povera Patria. E Oceano di De Gregori. Lì Francesco mi regalò un verso enigmatico in risposta alla mia domanda sul perché “Alice guarda i gatti”.