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 2022  marzo 04 Venerdì calendario

LA GUERRA IN UCRAINA SEGNA IL DECLINO DI SERGEJ LAVROV - IL MINISTRO DEGLI ESTERI RUSSO ERA CONTRARIO ALL’AZIONE MILITARE. E INFATTI E’ SPARITO DALLE SCENE PER GIORNI FINO A RIAPPARIRE IERI SOLO PER AVALLARE PUBBLICAMENTE LE MOSSE DI PUTIN - HA UN CONCETTO “SOVIETICO” DELLA VERITÀ: NEL 2015, ALLA CONFERENZA DI MONACO SULLA SICUREZZA, AFFERMÒ CHE IN CRIMEA LA RUSSIA NON AVEVA FATTO NULLA DI ILLEGALE - IN PIÙ OCCASIONI HA PERSO LA PAZIENZA, COME NEL 2008, QUANDO AL TELEFONO CON IL COLLEGA BRITANNICO DAVID MILIBAND GLI DISSE: “STAI CERCANDO DI DARMI UNA FOTTUTA LEZIONE?”

Quando qualche anno fa al Med, il Forum sul Mediterraneo organizzato dall'Ispi, gli chiesi se la Russia si sentisse poco rispettata nel mondo, Sergej Lavrov rispose con un proverbio russo: «Se mi temi, mi rispetti». Dell'universo misterioso e recluso di Vladimir Putin, Lavrov ha finora incarnato la finestra sul mondo, l'uomo incaricato di tradurre e lucidare nella grammatica della diplomazia le ambizioni geopolitiche e le ossessioni revansciste dello Zar.

Lo ha fatto sempre con riconosciuta professionalità, alternando durezza e blandizie, minacce e aperture, a volte riuscendo a tenere a freno alcuni eccessi del capo e arrivando perfino a passare per una «colomba», cosa che lui non è mai stato. Non c'è dubbio però che la crisi ucraina gli abbia tagliato le gambe, spezzando la corda sulla quale come un bravo equilibrista si era sempre mosso nei lunghi anni alla guida della politica estera russa. Lo sanno tutti, a Mosca e nelle cancellerie occidentali, che Lavrov era contrario all'azione militare.

E che i suoi dubbi siano stati ignorati da Putin e dal ministro della Difesa, Sergej Shoigu. Nei primi giorni dell'invasione, lui sempre onnipresente, Lavrov è come sparito dalla scena. Ma quando ieri è riapparso, per dire che una «soluzione si troverà», ha avallato tutto, sposando anche la menzogna che vorrebbe rovesciare sulle mani dell'Occidente il sangue versato dai bombardamenti russi contro le città dell'Ucraina. La vecchia scuola Sergeij Viktorovich Lavrov è un puro prodotto della vecchia scuola diplomatica moscovita, che è stata zarista, sovietica e russa.

Ha 72 anni ed è entrato in carriera nel 1972, dopo essersi laureato al prestigioso MGIMO, l'Istituto di Relazioni Internazionali dell'Università di Mosca, vera fucina della diplomazia del Cremlino. Parla perfettamente l'inglese, il francese e il singalese, che studiò e imparò per il suo primo incarico all'estero, in Sri Lanka. Quando arrivò allo Smolensky, la sede del ministero degli Esteri russo, il ministro era Andreij Gromyko, che era stato vice di Viaceslav Molotov sotto Stalin e sarebbe passato alla storia della Guerra Fredda come Mr. Nyet, signor no.

Un soprannome che nella sua lunga esperienza internazionale anche Lavrov si è guadagnato sul campo. Ma più che Gromyko, il suo modello di riferimento è stato Alexander Gorchakov, ministro degli Esteri e cancelliere dell'impero zarista nella seconda metà dell'Ottocento, che Lavrov una volta ha descritto come «impegnato a restaurare l'influenza della Russia in Europa dopo una guerra perduta, non con le armi ma con la diplomazia».

Una situazione secondo Lavrov molto simile a quella dopo la fine della Guerra Fredda, nonostante le azioni del Cremlino negli ultimi anni, dalla Crimea alla Siria e soprattutto a quella attuale in Ucraina, parlino soprattutto il linguaggio della forza. Di questo linguaggio, Sergej Viktorovich è stato traduttore diplomatico fedele e secondo i suoi critici fin troppo zelante. «Non puoi fare un tango con Lavrov, non è autorizzato a ballare», disse di lui nel 2017 l'allora segretario di Stato americano Rex Tillerson.

Prima di essere nominato da Putin ministro degli Esteri nel 2004, Lavrov è stato per dieci anni ambasciatore alle Nazioni Unite. Grande conoscitore dei migliori whisky, accanito fumatore, molti ricordano la battaglia ingaggiata con il segretario generale Kofi Annan, che aveva deciso di proibire il fumo nel Palazzo di Vetro. Ma le troppe sigarette non gli impediscono di fare molto sport: la partita settimanale di calcio con gli amici appartiene alle sue abitudini domenicali quando non è in giro per il mondo.

Del beautiful game Lavrov è anche appassionato tifoso. Racconta che riesce a resistere a lunghe notti di negoziati pensando alla sua squadra, lo Spartak di Mosca. Quando gli hanno chiesto se fosse più difficile per Mosca l'era di Ronald Reagan, quando l'Urss era «l'impero del male», ovvero quella attuale, Lavrov ha indicato senza esitare quest' ultima: «C'erano due imperi, che aizzavano conflitti l'uno contro l'altro in Paesi terzi, ma mai direttamente. Nessuno dei due ha mai varcato i confini di ciò che era permesso. Oggi non ci sono più regole».

Sembra una buona fotografia, solo che all'evidenza le regole vengono sistematicamente violate dalla sua parte. D'altronde, spesso la verità e Lavrov sono agli opposti: suscitò molta ilarità nel 2015, alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, quando affermò che in Crimea la Russia non aveva fatto nulla di illegale. Sarcastico e capace di battute fulminati, Lavrov non è ingessato come molti suoi predecessori. In più occasioni ha perso poco diplomaticamente la pazienza, come nel 2008, quando al telefono con il collega britannico David Miliband gli disse: «Stai cercando di darmi una fottuta lezione?».

O quando, mentre ascoltava il collega saudita durante una conferenza stampa congiunta, si lasciò scappare un «idioti», non si capisce riferito a chi. Ma forse l'aspetto più sorprendente di Lavrov è il suo amore per la poesia. Il ministro degli Esteri russo compone versi, alcuni dei quali sono stati anche pubblicati sulla rivista letteraria Russkij Pioner . In una di queste poesie, parla di un Paese che è stato spazzato via dalla storia: «Non c'è più questo Paese, ma un po' d'orgoglio rimane. Ora è tempo di tornare a casa». Se solo avesse il coraggio di dirlo all'esercito russo.