il venerdì, 3 marzo 2022
Totò Cascio dopo Cinema Paradiso. Intervista
Prima diventò il bambino più famoso d’Italia, come l’Andrea Balestri che era stato Pinocchio per Comencini. Dopo diventò il bambino più famoso al mondo, quando la notizia del premio Oscar arrivò di notte dall’America, papà era sveglio davanti alla tv, lui crollato dal sonno e con la febbre. Tutti invitavano Totò Cascio, tutti lo volevano all’inizio degli anni Novanta dopo Nuovo Cinema Paradiso. Ha fatto a braccio di ferro in tv con Sylvester Stallone e ha cantato in un disco con Fabrizio Frizzi. Ha posato per la copertina di Tv Sorrisi e Canzoni insieme agli altri due Totò d’Italia al culmine della loro popolarità (uno era Cutugno e l’altro era Schillaci) ed è stato a cena con Roberto Baggio. S’è fatto regalare le maglie da Berlusconi per tutta la squadra di calcio del paese. Era il piccolo bimbo prodigio del cinema, quello che nel film prendeva il posto da proiezionista di Philippe Noiret e diventava i suoi occhi sul mondo, una volta che il vecchio Alfredo aveva perso la vista. "La vita non è come nei film" si era sentito dire, quando invece la stessa vita di Totò si stava indirizzando verso il buio. La sera che Adriano Celentano gli chiese di leggere un brano della Bibbia nel suo programma Svalutation, dovette farsi portare una lente di ingrandimento in aggiunta agli occhiali.
Era retinite pigmentosa con edema maculare. A Totò Cascio ormai dodicenne e alla sua famiglia lo confermarono i medici di Boston. Una condizione genetica, ne soffre anche uno dei fratelli. Un trauma vissuto inizialmente come una vergogna. Non doveva saperlo nessuno, e nessuno lo seppe. Totò sparì, si nascose in un guscio, la sua sfortuna era che nessuno lo dimenticava. Con i giornalisti che telefonavano per domandargli come mai il cinema gli avesse voltato le spalle, non sapeva più quale scusa inventare. "Ma tutto era iniziato molto prima, alle scuole elementari. Dovevo alzarmi dal mio posto e avvicinarmi alla lavagna per leggere". Ora Totò Cascio racconta i suoi anni difficili e di solitudine in un libro, La gloria e la prova (Baldini+Castoldi, pp.128, euro 16), perché - dice - "ho fatto in tempo a conoscere prima l’una e poi l’altra, la malattia non è arrivata in forma galoppante. Ho capito che il vero uomo non si vede nel successo, ma nell’incontro con le difficoltà". Giuseppe Tornatore ha scritto la prefazione, Andrea Bocelli la postfazione. "Con Peppuccio siamo rimasti in contatto, per molto tempo ho taciuto anche a lui come a tutti la mia condizione. Sul set mi trattava con rigore durante le riprese e con affetto fuori. Credo che il suo primo insegnamento sia stato farmi capire che esiste un momento per ridere e uno per essere seri. Non ho mai scordato una sua sfuriata per un mio capriccio".
Che cosa aveva combinato?
"Stavo iniziando a sentirmi fico. Tutti mi dicevano che ero bravo. Dovevamo girare la scena in cui le pellicole vanno a fuoco dentro casa. C’era tutto il paese che assisteva e io non la facevo come voleva lui. Non so cosa mi prese. Non era stanchezza, non c’entravano gli occhi. Era una forma di menefreghismo. Gliela feci ripetere un mucchio di volte, finché esplose, mi gridò che il produttore e che tutta Roma erano scontenti di me. Sono passati oltre trenta anni e la mortificazione ancora la ricordo. Mi servì".
Perché non parlò della sua condizione nemmeno a lui?
"Perché l’ho vissuta male a lungo, con un senso di vergogna. Avevo paura di essere considerato un diverso. Paura di non piacere più. Mi camuffavo. Ho dovuto fare un mio percorso di consapevolezza e di accettazione, mi sono fatto accompagnare da uno psicoterapeuta. Ancora adesso, per scrivere il primo capitolo del libro, ho sentito un nodo in gola all’idea che tante altre persone avrebbero saputo. Ma parlarne, ora, è terapeutico. Mi sono aperto un anno fa, quando l’ennesimo giornalista ignaro mi chiamò per un’intervista sulla lontananza dal cinema. Alla terza volta che lo chiedeva, presi fiato e glielo dissi. Fu liberatorio, ne avevo bisogno. Ho scoperto quella serenità mentale che mi era mancata. Ero affamato di storie di coraggio, cercavo testimonianze che mi dessero forza. Le ho trovate nella vita di Alex Zanardi, nella serenità di Andrea Bocelli, nella conversione di Claudia Koll, nella fermezza di Annalisa Minetti. Mi hanno dato sicurezza la conferenza stampa in cui l’allenatore Mihajlovic ha parlato della leucemia, o le parole di Gianluca Vialli sul suo cancro. Nel frattempo, ero riuscito ad aprirmi almeno con le persone più vicine: Peppuccio Tornatore, Leonardo Pieraccioni, Andrea Bocelli".
Come ha conosciuto Pieraccioni e Bocelli?
"Con Pieraccioni via Facebook. Un giorno posta una foto di Nuovo Cinema Paradiso e scrive delle belle cose. Per ringraziarlo chiamo la redazione del programma di Carlo Conti, che insisteva da tanto per avermi ospite. Io mi negavo per non mostrarmi. Lasciai il mio numero e poco dopo Leonardo richiamò. All’inizio non gli dissi tutto. Solo dopo il mio percorso terapeutico a Bologna, quando mi sono sentito pronto, gli raccontai della malattia. Gli chiesi di aiutarmi a incontrare Bocelli. Mi fece bene sentire da lui che credere di aver toccato il fondo non è la fine di niente e che il nostro buio non era un disonore. Ora mi sento pronto, mi piacerebbe tornare in tv e al cinema".
Che cosa le piacerebbe fare?
"Avere una rubrica dove parlare di disabilità senza commiserazione, in maniera leggera. Dove raccontare che si può attraversare la città da soli con un bastone bianco anziché farsi accompagnare da un badante. Dove parlare di autonomia, bisogni, responsabilità. Sono felice quando qualcuno dice che la mia storia lo ispira. Non ho la pretesa di lavorare a tutti i costi, ma fare qualcosa in un film con Ficarra e Picone, oppure con Checco Zalone, in questi anni mi sarebbe piaciuto, e forse potrei. Certo, non il ruolo del centralinista cieco. Non mi fraintenda. Dico così perché penso che manderei un cattivo messaggio. Ho conosciuto uno chef non vedente che continua i suoi corsi e la sua vita regolarmente. Ha un piano cottura a induzione magnetica senza gas, come io ho il programma voice over su iPhone che mi aiuta. Sto su Facebook, leggo libri, uso WhatsApp, scrivo i miei post. Volere è potere. Per anni ho seguito con ansia notizie di medicina, articoli di giornali su scoperte e tecnologie. So che sono in corso sperimentazioni. Io serenamente ho smesso di aspettare. Se sarà, quando sarà, vedremo. Se oggi ci fosse una sola retina in grado di ridare la vista, la lascerei a mio fratello".
Totò, c’è qualcosa che le manca?
"Non me lo sono mai chiesto. Non ho più paura di avere paura. Ho tolto la maschera. Il mio obiettivo più grande l’ho raggiunto. Ora che mi ci fa pensare, mi manca Philippe Noiret. Mi manca non aver potuto dire anche a lui chi sono diventato".
Sul Venerdì del 25 febbraio 2022