il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2022
I genitori siciliani del Jazz
Le tre navi si chiamavano tutte Montebello. Vi erano ricavate centinaia di cuccette per gli emigranti. Salpavano da Palermo: nel 1880 si imbarcò la famiglia di Girolamo La Rocca, destinazione New Orleans, il biglietto costava la metà rispetto a New York, e poi la Louisiana dei campi di cotone era una chance per gli agricoltori siciliani. I La Rocca erano di Salaparuta: nessuno, durante il viaggio, immaginava che la radice isolana avrebbe fatto nascere l’albero secolare del jazz.
Dominic James La Rocca, detto Nick, uno dei quattro figli di Girolamo, sarebbe diventato un cornettista provetto e bandleader. A New Orleans servivano musicisti per allietare i bordelli di Storyville, il “distretto” dove si offrivano i servizi elencati nei “libri blu”, sul cui frontespizio spiccava l’Honi Soit caro all’Ordine della Giarrettiera. Quando l’America entrò in guerra, troppi soldati si imboscavano a Storyville. E Washington voleva che il contingente da spedire in Europa avesse una solida “corazza morale”. Così, il distretto a luci rosse fu chiuso, nello stesso anno, il 1917, in cui veniva pubblicato il primo disco del genere, Livery Stable Blues. I musicisti erano proprio La Rocca e la sua Original Dixieland Jass Band. Attenzione: Jass con due s. Di quella misteriosa parola tutti ignoravano l’etimologia, ma indicava qualcosa tra il sesso e la gioia di vivere.
La Rocca e i suoi erano andati a incidere il 78 giri a Manhattan: era il momento in cui quei ritmi carichi di erotismo e improvvisazione inseguivano le puttane costrette a spostarsi da Storyville fino a New York e Chicago. Ma era fatta. Il seme siciliano aveva fecondato il Nuovo Mondo. “Possiedo quel disco, nella stampa originale”, nota orgoglioso Lino Patruno, storico divulgatore del jazz, una vita sui palchi a suonarlo come si deve. “La trasformazione delle due s in z deriva dagli scherzi dei monelli che in strada coprivano la j sui manifesti di Livery Stable Blues, così che restasse visibile solo ass, cioè culo. La Rca Victor chiese perciò a La Rocca una modifica: la parola divenne per sempre jazz”.
Accadeva prima degli anni Venti e delle registrazioni di Louis Armstrong, che stabilivano la continuità di un filone che nei Dieci aveva visto lavorare Jerry Roll Morton, ma senza tracce documentali. “La Rocca è stato il padre nobile del jazz: e da Salaparuta sono partiti alla conquista degli Usa anche il Louis Prima di Just a Gigolo e Leon Roppolo, leader della New Orleans Rhythm Kings. La colonia italiana era nutrita: da Joe Venuti, violinista precursore, al molisano Salvatore Massaro, in arte Eddie Lang, il primo prodigioso chitarrista. Suonava a Harlem, con il nero di tappo sul volto perché sembrasse di colore. Senza dimenticare Jimmy Durante, attore ed eclettico pianista”, spiega Patruno, che è stato appena onorato da un messaggio di Sergio Mattarella, che lo ringrazia per “lo studio che ha voluto inviarmi e che ho letto con interesse”. Il presidente ha sottolineato a Patruno “l’importanza di rivalutare figure come Nick La Rocca – e anche molti altri nostri connazionali – che hanno dato un contributo significativo alla diffusione del jazz. È interessante constatare come tale genere musicale abbia avuto, fin dall’origine, fra i suoi pionieri musicisti italiani”. Un’attenzione concreta, quella del capo dello Stato, visto che a Salaparuta esiste un Centro Studi intitolato a La Rocca.
Intanto Patruno è alla ricerca di una sede per la sua Foundation, alla quale donare la sua sterminata collezione di cimeli. “Qui a Roma ho incontrato Gualtieri, mi è parso interessato. Il sindaco suona bene la chitarra e canta. Chissà…”, sospira l’86enne Lino. A casa custodisce, tra gli altri, i dischi che gli affidò Carla Puccini, seconda moglie di Romano Mussolini, alla morte del figlio del Duce. “Suo padre non amava il jazz, genere osteggiato dal regime: i titoli dovevano essere tradotti in italiano. St. Louis Blues di Bing Crosby divenne Le tristezze di San Luigi! Erano 78 giri che Romano, Vittorio ed Edda ascoltavano a Villa Torlonia, di nascosto dal genitore”.
La vertigine del Novecento trascina in prima fila un insospettabile cultore. “Goebbels”, rivela Patruno. “A Monaco conobbi Freddy Brucksieter, già batterista nella Charlie and His Orchestra. Questo Charlie era un tedesco di padre inglese, riscriveva tutti i testi dei brani nella lingua germanica, rovesciandoli in una propaganda hitleriana. Goebbels, molto astuto, aveva ordinato di stravolgere il repertorio e il senso della musica detestata dal Führer. Per amore del jazz”.